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2025-01-18
Space X, il razzo esplode in diretta. L’era Musk non conosce segreti
I detriti della Starship nel cielo di Haiti dopo l'esplosione (Ansa)
«Il successo è incerto, ma l’intrattenimento è garantito!». Con queste parole Elon Musk ha commentato le immagini del settimo test di volo della Starship, il veicolo di lancio più imponente della sua Space X, scelto addirittura dalla Nasa per il prossimo allunaggio (programmato, in teoria, per il 2027). Il risultato è solo parzialmente soddisfacente, perché dopo pochi minuti nella capsula della nave si è sviluppato un incendio che ha portato alla distruzione del mezzo. A causa dei detriti, l'Amministrazione federale dell’aviazione (Faa) statunitense ha dovuto bloccare o deviare alcuni voli, ma il traffico aereo è tornato presto regolare. La stessa Faa ha anche ordinato all'azienda di svolgere un’indagine sull'incidente, bloccando fino ad allora le attività di Starship. In Rete sono circolati tantissimi filmati, anche amatoriali, raffiguranti le spettacolari scie di colori che i pezzi dell’astronave, dopo l’esplosione, hanno generato in cielo. Tutti i detriti, ha comunque reso noto l’azienda di Musk, sono caduti nell’area di pericolo designata.
Secondo quanto riportato dalla stessa Space X, il primo stadio del sistema Starship, il razzo Super Heavy, ha funzionato senza problemi, garantendo al veicolo l’ascesa prevista. Dopo la separazione, il booster è rientrato alla base eseguendo perfettamente, per la seconda volta, la manovra di atterraggio. Fin qui un grande successo. Durante il secondo stadio, quello della navicella Starship, il sistema - si legge nel comunicato ufficiale - «ha acceso con successo i suoi sei motori Raptor, completando la fase di salita verso lo spazio. Tuttavia, prima del termine della manovra, si è persa la telemetria del veicolo dopo circa otto minuti e mezzo di volo». «I dati preliminari», continua sempre la nota, «indicano lo sviluppo di un incendio nella sezione posteriore del veicolo, che ha portato a una rapida disgregazione non pianificata». Il programma prevedeva che la navicella, dopo un volo di 66 minuti, facesse un ammaraggio controllato nell’Oceano indiano, ma l’imprevisto incidente ha fatto saltare tutto. Il nuovo modello della Starship, infatti, è stato progettato per essere interamente riutilizzabile. Alta 52 metri e con 9 metri di diametro, può trasportare fino a 150 tonnellate di carico. «Il volo spaziale non è facile», ha commentato Bill Nelson, amministratore della Nasa: «È tutt'altro che routine. Ecco perché questi test sono così importanti: ognuno di essi ci avvicina al nostro percorso verso la Luna e verso Marte attraverso Artemis».
Qualche ora prima, il patron di Tesla si era complimentato con il rivale, Jeff Bezos, per il successo ottenuto nel primo lancio in orbita del New Glenn, il razzo della sua Blue Origin, competitor di Space X. In quel caso l’obiettivo chiave, raggiungere l’orbita in sicurezza, è stato raggiunto, mentre il primo stadio non è riuscito a rientrare alla base, benché questo fosse considerato un traguardo arduo al primo test e del tutto secondario. «Congratulazioni per aver raggiunto l’orbita al primo tentativo», ha scritto Musk su X rivolgendosi al padre di Amazon. Il quale ha ricambiato la gentilezza augurando buona fortuna a lui e a Space X in vista dell’imminente lancio. Segni di distensione, dunque, dopo i bisticci del passato.
La corsa allo spazio continua e, tra i principali contendenti, troviamo proprio i due uomini più ricchi del mondo. In palio ci sono anche gli appalti militari del Pentagono Usa del valore di 5,6 miliardi di dollari: oltre a Space X e Blue Origin, però, a questa gara partecipa pure la joint venture United launch alliance (Ula) di Boeing e Lockheed Martin. Giochi che avvengono lontano dall’Europa, mentre nel Vecchio continente, che registra un ritardo al momento incolmabile nel settore aerospaziale, preoccupano di più le interferenze di Musk rispetto all’arretratezza tecnologica. Non che sia illegittimo diffidare delle grosse concentrazioni di potere e ricchezza nelle mani di una persona, ma contestualmente andrebbe anche rilevato che la vulcanica produzione del patron di Tesla sul suo social network, X, così come la libertà di espressione per ora consentita al suo interno, nei fatti garantiscono una trasparenza che prima d’ora ci era preclusa. Il lancio di Starship, per esempio, è stato interamente trasmesso in diretta.
Hanno un fondamento i sospetti legati alle varie situazioni di monopolio od oligopolio che si sta costruendo, ma è altrettanto visibile che, con i suoi modi poco ortodossi, il magnate ci mette la faccia. Un atteggiamento molto diverso da quello di un Bill Gates, che invece ama operare nell’ombra. Ogni anno, con la sua fondazione, mister Microsoft muove miliardi in tutte le direzioni. Lo abbiamo visto durante il Covid, quando in maniera tutt’altro che trasparente ha avuto un ruolo da protagonista nei vaccini. Ma sono molti i super ricchi che - vedi George Soros - spostano gli equilibri politici con i loro soldi all’insaputa di quasi tutti. O si pensi anche a un Mark Zuckerberg, il quale solo anni dopo ha rivelato di aver ceduto alle pressioni della Casa Bianca per censurare gli utenti Facebook. Elon Musk, invece, ha due difetti: non è di sinistra e non nasconde il suo potere. Se sul primo si può discutere, il secondo è quantomeno preferibile.
Mentre la fuga politica da X continua
Ancora fughe annunciate dalla piattaforma X di Elon Musk: stavolta a capeggiare la grottesca rivolta ideologica contro il tycoon, aperto sostenitore del free speech, sono due istituzioni scientifiche europee: l’Institut Pasteur, fondazione scientifica privata fondata a Parigi, e il Robert Koch Institute (Rki), agenzia del governo federale tedesco, responsabile del controllo e della prevenzione e delle malattie. «L’Institut Pasteur», si legge in una nota diffusa su X, «ha deciso di lasciare la piattaforma a causa di gravi derive riscontrate su quest’ultima dalla sua acquisizione da parte di Elon Musk». Un’indignazione a scoppio alquanto ritardato: sono passati infatti quasi tre anni da quando Musk ha fatto la sua prima offerta per comprare X, ad aprile 2022. Il Pasteur si dichiara «estremamente preoccupato» per l’influenza esercitata dal miliardario amico di Donald Trump nel promuovere alcuni account, la cui colpa consisterebbe nell’esprimere idee «che ci sembrano incompatibili con i principi di razionalità, di umanesimo e di diversità che sosteniamo all’istituto da molti anni». C’è sempre una prima volta, si dirà, ma non era mai accaduto che un istituto di ricerca scientifica assumesse una posizione politica così netta: «La direzione dell’Institut Pasteur è in totale opposizione al progetto di influenza politica intrapreso da Musk per indebolire le democrazie e destabilizzare l’Europa nelle sue fondamenta istituzionali, nel suo regime giuridico e nei suoi principi etici unificanti».
Prima ancora del Pasteur si è mosso il Rki, con un laconico thread in cui è stato annunciato che l’istituto non userà più la piattaforma, facendo seguito all’annuncio di oltre 60 università e centri di ricerca tedeschi che nei giorni scorsi l’hanno abbandonata per «incompatibilità dell’attuale orientamento di X con i valori fondamentali delle istituzioni coinvolte: apertura al mondo, integrità scientifica, trasparenza e discorso democratico». Una presa di posizione curiosa, considerando che proprio il Robert Koch Institute, tra il 1933 e il 1945, mise al servizio del regime nazista di Adolf Hitler la propria attività di ricerca, licenziando nella primavera del 1933 tutti i lavoratori di origine ebraica per poi finire subordinato, nel 1935, all’Ufficio sanitario del Reich. Senza andare troppo lontano, la Stiko (commissione permanente per le vaccinazioni del Rki), dopo aver tentato di opporsi, con valide motivazioni scientifiche, all’estensione della vaccinazione anti Covid a bambini, adolescenti e giovani, il 16 agosto 2021 ha gettato la spugna, finendo per adottare lo slogan criticato sino al giorno prima («I vantaggi del vaccino superano i rischi»).
Cos’abbia spinto i due istituti di ricerca a lasciare il social di Musk, è facile immaginarlo: l’ideologia. Nel caso del Rki, colpito peraltro da una fuga di follower, la recente intervista del patron di X ad Alice Weidel, leader della destra tedesca, non è stata digerita dalla galassia socialista tedesca, al punto che ieri perfino il cancelliere, Olaf Scholz, ha attaccato a testa bassa il tycoon dichiarando che «non dobbiamo criticare il fatto che un miliardario dica qualcosa, ma quello che dice». E siccome Musk ha la colpa di sostenere il secondo partito politico in Germania, l’Afd, e «sostiene l’estrema destra in tutta Europa, ciò è assolutamente inaccettabile, mette in pericolo lo sviluppo democratico dell’Europa e la nostra comunità: va criticato», ha dichiarato Scholz.
Per finire, ieri anche la Commissione europea ha stretto la morsa, e la mordacchia, intorno a Musk, adottando tre ulteriori misure investigative su X. La piattaforma dovrà fornire entro il 15 febbraio la documentazione interna sul suo sistema di raccomandazione e conservare i documenti interni sugli algoritmi per il periodo compreso tra il 17 gennaio e il 31 dicembre 2025. Infine, la Commissione ha chiesto di accedere ad alcune interfacce tecniche che consentono la viralità ad alcuni account. L’Ue insomma teme che Musk, proprietario di X, manipoli gli algoritmi per rendere visibili alcuni contenuti: i suoi. Il problema è che quei contenuti, siccome non aderiscono alle politiche woke, non piacciono all’Europa.
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Riduci
Fallisce in mondovisione per un incendio il settimo test di volo della Starship. La Nasa: «Ogni tentativo ci avvicina all’obiettivo». Ma la Faa, dopo aver bloccato le tratte aeree per i detriti, pretende un’indagine.Il francese Institut Pasteur e il tedesco Koch Institute lasciano il social X criticando le posizioni del suo proprietario. E Scholz alza il tiro: «Pericolo per la democrazia».Lo speciale contiene due articoli.«Il successo è incerto, ma l’intrattenimento è garantito!». Con queste parole Elon Musk ha commentato le immagini del settimo test di volo della Starship, il veicolo di lancio più imponente della sua Space X, scelto addirittura dalla Nasa per il prossimo allunaggio (programmato, in teoria, per il 2027). Il risultato è solo parzialmente soddisfacente, perché dopo pochi minuti nella capsula della nave si è sviluppato un incendio che ha portato alla distruzione del mezzo. A causa dei detriti, l'Amministrazione federale dell’aviazione (Faa) statunitense ha dovuto bloccare o deviare alcuni voli, ma il traffico aereo è tornato presto regolare. La stessa Faa ha anche ordinato all'azienda di svolgere un’indagine sull'incidente, bloccando fino ad allora le attività di Starship. In Rete sono circolati tantissimi filmati, anche amatoriali, raffiguranti le spettacolari scie di colori che i pezzi dell’astronave, dopo l’esplosione, hanno generato in cielo. Tutti i detriti, ha comunque reso noto l’azienda di Musk, sono caduti nell’area di pericolo designata.Secondo quanto riportato dalla stessa Space X, il primo stadio del sistema Starship, il razzo Super Heavy, ha funzionato senza problemi, garantendo al veicolo l’ascesa prevista. Dopo la separazione, il booster è rientrato alla base eseguendo perfettamente, per la seconda volta, la manovra di atterraggio. Fin qui un grande successo. Durante il secondo stadio, quello della navicella Starship, il sistema - si legge nel comunicato ufficiale - «ha acceso con successo i suoi sei motori Raptor, completando la fase di salita verso lo spazio. Tuttavia, prima del termine della manovra, si è persa la telemetria del veicolo dopo circa otto minuti e mezzo di volo». «I dati preliminari», continua sempre la nota, «indicano lo sviluppo di un incendio nella sezione posteriore del veicolo, che ha portato a una rapida disgregazione non pianificata». Il programma prevedeva che la navicella, dopo un volo di 66 minuti, facesse un ammaraggio controllato nell’Oceano indiano, ma l’imprevisto incidente ha fatto saltare tutto. Il nuovo modello della Starship, infatti, è stato progettato per essere interamente riutilizzabile. Alta 52 metri e con 9 metri di diametro, può trasportare fino a 150 tonnellate di carico. «Il volo spaziale non è facile», ha commentato Bill Nelson, amministratore della Nasa: «È tutt'altro che routine. Ecco perché questi test sono così importanti: ognuno di essi ci avvicina al nostro percorso verso la Luna e verso Marte attraverso Artemis».Qualche ora prima, il patron di Tesla si era complimentato con il rivale, Jeff Bezos, per il successo ottenuto nel primo lancio in orbita del New Glenn, il razzo della sua Blue Origin, competitor di Space X. In quel caso l’obiettivo chiave, raggiungere l’orbita in sicurezza, è stato raggiunto, mentre il primo stadio non è riuscito a rientrare alla base, benché questo fosse considerato un traguardo arduo al primo test e del tutto secondario. «Congratulazioni per aver raggiunto l’orbita al primo tentativo», ha scritto Musk su X rivolgendosi al padre di Amazon. Il quale ha ricambiato la gentilezza augurando buona fortuna a lui e a Space X in vista dell’imminente lancio. Segni di distensione, dunque, dopo i bisticci del passato. La corsa allo spazio continua e, tra i principali contendenti, troviamo proprio i due uomini più ricchi del mondo. In palio ci sono anche gli appalti militari del Pentagono Usa del valore di 5,6 miliardi di dollari: oltre a Space X e Blue Origin, però, a questa gara partecipa pure la joint venture United launch alliance (Ula) di Boeing e Lockheed Martin. Giochi che avvengono lontano dall’Europa, mentre nel Vecchio continente, che registra un ritardo al momento incolmabile nel settore aerospaziale, preoccupano di più le interferenze di Musk rispetto all’arretratezza tecnologica. Non che sia illegittimo diffidare delle grosse concentrazioni di potere e ricchezza nelle mani di una persona, ma contestualmente andrebbe anche rilevato che la vulcanica produzione del patron di Tesla sul suo social network, X, così come la libertà di espressione per ora consentita al suo interno, nei fatti garantiscono una trasparenza che prima d’ora ci era preclusa. Il lancio di Starship, per esempio, è stato interamente trasmesso in diretta. Hanno un fondamento i sospetti legati alle varie situazioni di monopolio od oligopolio che si sta costruendo, ma è altrettanto visibile che, con i suoi modi poco ortodossi, il magnate ci mette la faccia. Un atteggiamento molto diverso da quello di un Bill Gates, che invece ama operare nell’ombra. Ogni anno, con la sua fondazione, mister Microsoft muove miliardi in tutte le direzioni. Lo abbiamo visto durante il Covid, quando in maniera tutt’altro che trasparente ha avuto un ruolo da protagonista nei vaccini. Ma sono molti i super ricchi che - vedi George Soros - spostano gli equilibri politici con i loro soldi all’insaputa di quasi tutti. O si pensi anche a un Mark Zuckerberg, il quale solo anni dopo ha rivelato di aver ceduto alle pressioni della Casa Bianca per censurare gli utenti Facebook. Elon Musk, invece, ha due difetti: non è di sinistra e non nasconde il suo potere. 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Un’indignazione a scoppio alquanto ritardato: sono passati infatti quasi tre anni da quando Musk ha fatto la sua prima offerta per comprare X, ad aprile 2022. Il Pasteur si dichiara «estremamente preoccupato» per l’influenza esercitata dal miliardario amico di Donald Trump nel promuovere alcuni account, la cui colpa consisterebbe nell’esprimere idee «che ci sembrano incompatibili con i principi di razionalità, di umanesimo e di diversità che sosteniamo all’istituto da molti anni». C’è sempre una prima volta, si dirà, ma non era mai accaduto che un istituto di ricerca scientifica assumesse una posizione politica così netta: «La direzione dell’Institut Pasteur è in totale opposizione al progetto di influenza politica intrapreso da Musk per indebolire le democrazie e destabilizzare l’Europa nelle sue fondamenta istituzionali, nel suo regime giuridico e nei suoi principi etici unificanti». Prima ancora del Pasteur si è mosso il Rki, con un laconico thread in cui è stato annunciato che l’istituto non userà più la piattaforma, facendo seguito all’annuncio di oltre 60 università e centri di ricerca tedeschi che nei giorni scorsi l’hanno abbandonata per «incompatibilità dell’attuale orientamento di X con i valori fondamentali delle istituzioni coinvolte: apertura al mondo, integrità scientifica, trasparenza e discorso democratico». Una presa di posizione curiosa, considerando che proprio il Robert Koch Institute, tra il 1933 e il 1945, mise al servizio del regime nazista di Adolf Hitler la propria attività di ricerca, licenziando nella primavera del 1933 tutti i lavoratori di origine ebraica per poi finire subordinato, nel 1935, all’Ufficio sanitario del Reich. Senza andare troppo lontano, la Stiko (commissione permanente per le vaccinazioni del Rki), dopo aver tentato di opporsi, con valide motivazioni scientifiche, all’estensione della vaccinazione anti Covid a bambini, adolescenti e giovani, il 16 agosto 2021 ha gettato la spugna, finendo per adottare lo slogan criticato sino al giorno prima («I vantaggi del vaccino superano i rischi»). Cos’abbia spinto i due istituti di ricerca a lasciare il social di Musk, è facile immaginarlo: l’ideologia. Nel caso del Rki, colpito peraltro da una fuga di follower, la recente intervista del patron di X ad Alice Weidel, leader della destra tedesca, non è stata digerita dalla galassia socialista tedesca, al punto che ieri perfino il cancelliere, Olaf Scholz, ha attaccato a testa bassa il tycoon dichiarando che «non dobbiamo criticare il fatto che un miliardario dica qualcosa, ma quello che dice». E siccome Musk ha la colpa di sostenere il secondo partito politico in Germania, l’Afd, e «sostiene l’estrema destra in tutta Europa, ciò è assolutamente inaccettabile, mette in pericolo lo sviluppo democratico dell’Europa e la nostra comunità: va criticato», ha dichiarato Scholz. Per finire, ieri anche la Commissione europea ha stretto la morsa, e la mordacchia, intorno a Musk, adottando tre ulteriori misure investigative su X. La piattaforma dovrà fornire entro il 15 febbraio la documentazione interna sul suo sistema di raccomandazione e conservare i documenti interni sugli algoritmi per il periodo compreso tra il 17 gennaio e il 31 dicembre 2025. Infine, la Commissione ha chiesto di accedere ad alcune interfacce tecniche che consentono la viralità ad alcuni account. L’Ue insomma teme che Musk, proprietario di X, manipoli gli algoritmi per rendere visibili alcuni contenuti: i suoi. Il problema è che quei contenuti, siccome non aderiscono alle politiche woke, non piacciono all’Europa.
Gabriele D'Annunzio (Ansa)
Il patrimonio mondiale dell’umanità rappresentato dalla cucina italiana sarà pure «immateriale», come da definizione Unesco, ma è fatto di carne, ossa, talento e creatività. È il risultato delle centinaia di migliaia di persone che, nel corso dei secoli e dei millenni, hanno affinato tecniche, scoperto ingredienti, assemblato gusti, allevato animali con amore e coltivato la terra con altrettanta dedizione. Insomma, dietro la cucina italiana ci sono... gli italiani.
Ed è a tutti questi peones e protagonisti della nostra storia che il riconoscimento va intestato. Ma anche a chi assapora le pietanze in un ristorante, in un bistrot o in un agriturismo. Alla fine, se ci si pensa, la cucina italiana siamo tutti noi: sono i grandi chef come le mamme o le nonne che si danno da fare tra le padelle della cucina. Sono i clienti dei ristoranti, gli amanti dei formaggi come dei salumi. Sono i giornalisti che fanno divulgazione, sono i fotografi che immortalano i piatti, sono gli scrittori che dedicano pagine e pagine delle loro opere ai manicaretti preferiti dal protagonista di questo o quel romanzo. Insomma, la cucina è cultura, identità, passato e anche futuro.
Giancarlo Saran, gastropenna di questo giornale, ha dato alle stampe Peccatori di gola 2 (Bolis edizioni, 18 euro, seguito del fortunato libro uscito nel 2024 vincitore del Premio selezione Bancarella cucina), volume contenente 13 ritratti di personaggi di spicco del mondo dell’italica buona tavola («Un viaggio curioso e goloso tra tavola e dintorni, con illustri personaggi del Novecento compresi alcuni insospettabili», sentenzia l’autore sulla quarta di copertina). Ci sono il «fotografo» Bob Noto e l’attore Ugo Tognazzi, l’imprenditore Giancarlo Ligabue e gli scrittori Gabriele D’Annunzio, Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri. E poi ancora Lella Fabrizi (la sora Lella), Luciano Pavarotti, Pietro Marzotto, Gianni Frasi, Alfredo Beltrame, Giuseppe Maffioli, Pellegrino Artusi.
Un giro d’Italia culinario, quello di Saran, che testimonia come il riconoscimento Unesco potrebbe dare ulteriore valore al nostro made in Italy, con risvolti di vario tipo: rispetto dell’ambiente e delle nostre tradizioni, volano per l’economia e per il turismo, salvaguardia delle radici dal pericolo di una appiattente omologazione sociale e culturale. Sfogliando Peccatori 2, si può possono scovare, praticamente a ogni pagina, delle chicche. Tipo, la passione di D’Annunzio per le uova e la frittata. Scrive Saran: «D’Annunzio aveva un’esperienza indelebile legata alle frittate, che ebbe occasione di esercitare in diretta nelle giornate di vacanza a Francavilla con i suoi giovani compagni di ventura in cui, a rotazione, erano chiamati “l’uno a sfamare tutti gli altri”. Lasciamogli la cronaca in diretta. Chi meglio di lui. “In un pomeriggio di luglio ci attardavamo nella delizia del bagno quando mi fu rammentato, con le voci della fame, toccare a me le cura della cucina”. La affronta come si deve. “Non mancai di avvolgermi in una veste di lino rapita a Ebe”, la dea della giovinezza, “e di correre verso la vasta dimora costruita di tufo e adornata di maioliche paesane”. Non c’è storia: “Ruppi trentatré uova e, dopo averle sbattute, le agguagliai (mischiai) nella padella dal manico di ferro lungo come quello di una chitarra”. La notte è illuminata dal chiaro di luna che si riflette sulle onde, silenziose in attesa, e fu così che “adunai la sapienza e il misurato vigore... e diedi il colpo attentissimo a ricevere la frittata riversa”. Ma nulla da fare, questa, volando nel cielo non ricadde a terra, ovvero sulla padella. E qui avviene il miracolo laico. “Nel volgere gli occhi al cielo scorsi nel bagliore del novilunio la tunica e l’ala di un angelo”. Il finale conseguente. “L’angelo, nel passaggio, aveva colta la frittata in aria, l’aveva rapita, la sosteneva con le dita” con la missione imperativa di recarla ai Beati, “offerta di perfezione terrestre...”, di cui lui era stato (seppur involontario) protagonista. “Io mi vanto maestro insuperabile nell’arte della frittata per riconoscimento celestiale”.
La buona e sana cucina, dunque, ha come traino produttori e ristoratori «ma ancor più valore aggiunto deriva da degni ambasciatori e, con questo, i Peccatori di gola credo meritino piena assoluzione», conclude l’autore.
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Riduci
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Dal primo luglio 2026, in tutta l’Unione europea entrerà in vigore un contributo fisso di tre euro per ciascun prodotto acquistato su internet e spedito da Paesi extra-Ue, quando il valore della spedizione è inferiore a 150 euro. L’orientamento politico era stato definito già il mese scorso; la riunione di ieri del Consiglio Ecofin (12 dicembre) ne ha reso operativa l’applicazione, stabilendone i criteri.
Il prelievo di 3 euro si applicherà alle merci in ingresso nell’Unione europea per le quali i venditori extra-Ue risultano registrati allo sportello unico per le importazioni (Ioss) ai fini Iva. Secondo fonti di Bruxelles, questo perimetro copre «il 93% di tutti i flussi di e-commerce verso l’Ue».
In realtà, la misura non viene presentata direttamente come un’iniziativa mirata contro la Cina, anche se è dalla Repubblica Popolare che proviene la quota maggiore di pacchi. Una delle preoccupazioni tra i ministri è che parte della merce venga immessa nel mercato unico a prezzi artificialmente bassi, anche attraverso pratiche di sottovalutazione, per aggirare le tariffe che si applicano invece alle spedizioni oltre i 150 euro. La Commissione europea stima che nel 2024 il 91% delle spedizioni e-commerce sotto i 150 euro sia arrivato dalla Cina; inoltre, valutazioni Ue indicano che fino al 65% dei piccoli pacchi in ingresso potrebbe essere dichiarato a un valore inferiore al reale per evitare i dazi doganali.
«La decisione sui dazi doganali per i piccoli pacchi in arrivo nell’Ue è importante per garantire una concorrenza leale ai nostri confini nell’era odierna dell’e-commerce», ha detto il commissario per il Commercio, Maroš Šefčovič. Secondo il politico slovacco, «con la rapida espansione dell’e-commerce, il mondo sta cambiando rapidamente e abbiamo bisogno degli strumenti giusti per stare al passo».
La decisione finale da parte di Bruxelles arriva dopo un iter normativo lungo cinque anni. La Commissione europea aveva messo sul tavolo, nel maggio 2023, la cancellazione dell’esenzione dai dazi doganali per i pacchi con valore inferiore a 150 euro, inserendola nel pacchetto di riforma doganale. Nella versione originaria, l’entrata in vigore era prevista non prima della metà del 2028. Successivamente, il Consiglio ha formalizzato l’abolizione dell’esenzione il 13 novembre 2025, chiedendo però di anticipare l’applicazione già al 2026.
C’è poi un secondo balzello messo a punto dall’esecutivo Meloni. Si tratta di un emendamento che prevede l’introduzione di un contributo fisso di due euro per ogni pacco spedito con valore dichiarato fino a 150 euro.
La misura, però, non sarebbe limitata ai soli invii provenienti da Paesi extra-Ue. Rispetto alle ipotesi circolate in precedenza, l’impostazione è stata ampliata: se approvata, la tassa finirebbe per applicarsi a tutte le spedizioni di piccoli pacchi, indipendentemente dall’origine, quindi anche a quelle spedite dall’Italia. In origine, l’idea sembrava mirata soprattutto a intercettare le micro-spedizioni generate da piattaforme come Shein o Temu. Il punto, però, è che colpire esclusivamente i pacchi extra-europei avrebbe reso la misura assimilabile a un dazio, materia che rientra nella competenza dell’Unione europea e non dei singoli Stati membri. Per evitare questo profilo di incompatibilità, l’emendamento alla manovra 2026 ha quindi «generalizzato» il prelievo, estendendolo all’intero perimetro delle spedizioni. L’effetto pratico è evidente: la tassa non impatterebbe solo sulle piattaforme asiatiche, ma anche sugli acquisti effettuati su Amazon, eBay e, in generale, su qualsiasi negozio online che spedisca pacchi entro quella soglia di valore dichiarato.
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Riduci
Ansa
Insomma: il vento è cambiato. E non spinge più la solita, ingombrante, vela francese che negli ultimi anni si era abituata a intendere l’Italia come un’estensione naturale della Rive Gauche.
E invece no. Il pendolo torna indietro. E con esso tornano anche ricordi e fantasie: Piersilvio Berlusconi sogna la Francia. Non quella dei consessi istituzionali, ma quella di quando suo padre, l’unico che sia riuscito a esportare il varietà italiano oltre le Alpi, provò l’avventura di La Cinq.
Una televisione talmente avanti che il presidente socialista François Mitterrand, per non farla andare troppo lontano, decise di spegnerla. Letteralmente.
Erano gli anni in cui gli italiani facevano shopping nella grandeur: Gianni Agnelli prese una quota di Danone e Raul Gardini mise le mani sul più grande zuccherificio francese, giusto per far capire che il gusto per il raffinato non ci era mai mancato. Oggi al massimo compriamo qualche croissant a prezzo pieno.
Dunque, Berlusconi – quello junior, stavolta – può dirlo senza arrossire: «La Francia sarebbe un sogno». Si guarda intorno, valuta, misura il terreno: Tf1 e M6.
La prima, dice, «ha una storia imprenditoriale solida»: niente da dire, anche le fortezze hanno i loro punti deboli. Con la seconda, «una finta opportunità». Tradotto: l’affare che non c’è, ma che ti fa perdere lo stesso due settimane di telefonate.
Il vero punto, però, è che mentre noi guardiamo a Parigi, Parigi si deve rassegnare. Lo dimostra il clamoroso stop di Crédit Agricole su Bpm, piantato lì come un cartello stradale: «Fine delle ambizioni». Con Bank of America che conferma la raccomandazione «Buy» su Mps e alza il target price a 11 euro. E non c’è solo questo. Natixis ha dovuto rinunciare alla cassaforte di Generali dov’è conservata buona parte del risparmio degli italiani. Vivendi si è ritirata. Tim è tornata italiana.
Il pendolo, dicevamo, ha cambiato asse. E spinge ben più a Ovest. Certo Parigi rimane il più importante investitore estero in Italia. Ma il vento della geopolitica e cambiato. Il nuovo asse si snoda tra Washington e Roma Gli americani non stanno bussando alla porta: sono già entrati.
E non con due spicci.
Ieri le due sigle più «Miami style» che potessero atterrare nel dossier Ilva – Bedrock Industries e Flacks Group – hanno presentato le loro offerte. Americani entrambi. Dall’odore ancora fresco di oceano, baseball e investimenti senza fronzoli.
E non è un caso isolato.
In Italia operano oltre 2.700 imprese a partecipazione statunitense, che generano 400.000 posti di lavoro. Non esattamente compratori di souvenir. Sono radicati nei capannoni, nella logistica, nelle tecnologie, nei servizi, nella manifattura. Un pezzo intero di economia reale. Poi c’è il capitolo dei giganti della finanza globale: BlackRock, Vanguard, i soliti nomi che quando entrano in una stanza fanno più rumore del tuono. Hanno fiutato l’aria e annusato l’Italia come fosse un tartufo bianco d’Alba: raro, caro e conveniente.
Gli incontri istituzionali degli ultimi anni parlano chiaro: data center, infrastrutture, digitalizzazione, energia.
Gli americani non si accontentano. Puntano al core del futuro: tecnologia, energia, scienza della vita, space economy, agritech.
Dopo l’investimento di Kkr nella rete fissa Telecom - uno dei deal più massicci degli ultimi quindici anni - la direzione è segnata: Washington ha scoperto che l’Italia rende.
A ottobre 2025 la grande conferma: missione economica a Washington, con una pioggia di annunci per oltre 4 miliardi di euro di nuovi investimenti. Non bonus, non promesse, ma progetti veri: space economy, sostenibilità, energia, life sciences, agri-tech, turism. Tutti settori dove l’Italia è più forte di quanto creda, e più sottovalutata di quanto dovrebbe.
A questo punto il pendolo ha parlato: gli americani investono, i francesi frenano.
E chissà che, alla fine, non si chiuda il cerchio: gli Usa tornano in Italia come investitori netti, e Berlusconi torna in Francia come ai tempi dell’avventura di La Cinq.
Magari senza che un nuovo Mitterrand tolga la spina.
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Riduci