2020-07-05
Sotto la magnolia, una città aggrovigliata
Nel giardino di villa Grismondi Finardi, a Bergamo, riposa dal Settecento una grandiflora monumentale. La chioma è stata ridimensionata di recente, ma protetto dai rami resiste un «gomitolo» di radici gibbose che pullula di vita. E invita a sostare.Dopo due visite piemontesi, fra castagni di confine e platani di città, torniamo a veleggiare in Lombardia. Cercheremo, nelle prossime puntate, di visitare alcuni alberi urbanizzati che radicano a contatto con le attività umane da almeno un secolo. Partirei dalla mia città natia, Bergamo. Come sappiamo la città e le valli sono state percosse dalla paura e dal dolore che il contagio da Covid19 ha purtroppo innescato. Dedicarci quindi adesso a qualcosa che può sembrare ameno quanto la bellezza estetica di un albero potrebbe apparire insensibile, ma non vuole in alcun modo esserlo. Abbiamo anzi imparato, una volta di più, quanto la cura del verde urbano e del patrimonio naturale in toto sia una preziosa risorsa, anche in situazioni emergenziali.Pur abitando da tempo in Piemonte, torno spesso in Lombardia, e ogni tanto torno a far visita ai parenti della bassa, a incontrare amici nel capoluogo, Bérghem o Birgum. Per me la città, quando ero bambino. I miei sono cresciuti e si sono conosciuti nei paesi della pianura, in quella zona di campagne tutte uguali, casolari, gelsi (inutile resistere, non si può non citare il film dei film, per i bergamaschi, L'albero degli zoccoli del compianto Ermanno Olmi), capannoni e stalle per vacche da latte. Le grosse chiese e qualche singolare castello medioevale ben mantenuto. Quando iniziai ad aggirarmi nel paesaggio italiano in cerca di alberi eccezionali e/o particolari, in Città Bassa esistevano ancora alcuni campioni. Come ad esempio il curioso faggio che cresceva sopra la grotta del Parco Marenzi, caduto a fine giugno di quattro anni fa, albero monumentale, oltre sei metri e mezzo la circonferenza del tronco a petto d'uomo, trentacinque i metri d'altezza. Altri faggi al Parco Suardi sono stati dapprima capitozzati e poi rimossi. Ma il vero protagonista era stato, per anni, un cedro del Libano a Villa Brembati, messo a dimora a meta Ottocento e abbattuto per ragioni di sicurezza a inizio millennio. Resiste, sebbene menomato, un ippocastano bicentenario al Monastero di Astino, sui colli. Oggi non ci resta che rifarci gli occhi con la coriacea magnolia monumentale del giardino di villa Grismondi Finardi, prossima allo stadio di calcio dove impera l'Atalanta.L'edificio nasce come semplice casa di campagna, in un tempo in cui la città sorgeva dietro le mura e in posizione sopraelevata, quella che oggi chiamiamo Città Alta. Lentamente la bassa si è popolata, e quella che era aperta campagna è diventata anch'essa città. Ma oltre il portone d'ingresso ci si ritrova catapultati in un altro secolo. L'edificio fu ammodernato negli anni Cinquanta del secolo XIX, con affreschi e decori interni sontuosi, mentre l'aspetto esterno è rimasto altero, quell'essenzialità quasi luterana che hanno le cascine di campagna, a mala pena coperte di biacca, o di un colore chiaro che col tempo assume le più diverse sfumature terrestri. Qui abbiamo un ocra e un giallo.Il giardino offre il consueto caleidoscopio di specie nazionali ed esotiche: aceri, roveri, lagerstroemia, cedri, bagolari, ippocastani, criptomerie, tuie, lecci, ovvero Europa, India, Giappone, Turchia, Nord America. Gli alberi notevoli erano un faggio rosso, purtroppo schiantato anni fa, e la monumentale magnolia grandiflora, tutt'ora impegnata in una profumata fioritura tardiva. L'albero è stato messo a dimora sul finire del Settecento. Bisogna girare intorno alla casa per raggiungerla, addossata, a pochi metri, al muro. Una chioma densa la protegge dai venti e dal sole, e per indovinare quanta complessità giaccia nelle ombre custodite là sotto bisognerà avvicinarsi e girarle intorno. Nelle ville italiane ho ammirato alcune magnolie ultrasecolari, ricordo ad esempio la magnolia dei giardini mistici di Valsanzibio, nel padovano, o le diverse magnolie che impreziosiscono le residenze signorili lacustri, attorno al Lago Maggiore e al Lago del Garda. La magnolia di Villa Grismondi Finardi a Bergamo è ancora diversa, e magnifica. Il terreno è costellato di radici emerse, un groviglio di matasse legnose si solleva e si concentra in un unico punto, come se là sotto riposasse una città aggrovigliata. Il tronco sale dritto, tornito, costolato, una serie di gibbosità evidenti che sembrano imitare la spina dorsale d'un cetaceo proiettato al cielo.A diverse altezze dal tronco spuntano ramificazioni serpentiformi, la corteccia brunastra spesso pigmentata del verde brillante dei muschi. Da una radice si è sollevato un secondo tronco che risale parallelo al tronco principale. Allungando il naso sotto la gonna di questo gigante silenzioso si può ammirare che le due punte tendono ad avvicinarsi, quasi a toccarsi, a riabbracciarsi dopo alcuni metri di inattesa solitudine. Misura del tronco: 330 cm, a circa 80 cm dal suolo.Restandomene qui, appartato, occhi che distinguono e pensiero improduttivo, mi sovvengono i versi di una poesia del giovane Ezra Pound, A girl, Una ragazza: «L'albero è penetrato nelle mie mani / la linfa mi è salita per le braccia, / l'albero mi è cresciuto dentro al petto, / dall'alto in basso, / da me crescendo i rami sorgono come braccia» (la traduzione è di Roberto Sanesi, dall'antologia Poeti americani, uscita nel siderale 1958 per le edizioni Feltrinelli).L'albero oramai è più alto della casa, il diametro della chioma appisolata sull'erba sfiora i 15 metri. L'altezza dell'albero è stimabile intorno i 20 metri. Recentemente parte della chioma è stata ridimensionata, data la vicinanza dell'albero all'abitazione. La foto che mostriamo ritrae l'albero prima dell'intervento.Scelta musica del giorno: ci sono alberi che ti sembrano maschili, magari perché sono dritti e poderosi, e altri che suggeriscono una dimensione materna. Non è soltanto un riverbero del genere di appartenenza che la lingua impone, è anche una sensazione intima, personale. Le magnolie per me sono, come le querce, femminili. Le sequoie invece mi dividono, ma le vedo più come identità maschili, un discorso che allargherei alle conifere. Vado quindi a pescare una voce femminile. Dal buio che si architetta dentro il legno mi richiama l'americana Laurie Anderson, la suadente signora di New York, vedova Lou Reed; uno dei suoi album magnifici, Life on a String (cofanetto d'antologia, Nonesuch), uscì pochi giorni prima del terribile 11 settembre 2001. Diverse sono le canzoni di qualità ma qui mi soffermo sulla terza traccia, Pieces and Parts. In Alabama, nel 1842, alcuni schiavi di colore dissotterrarono i resti di un'antica balena, dalle dimensioni ultraterrene: guardandola dissero: «These must be the bones of a fallen angel». Tradotto: Devono essere le ossa di un angelo caduto. C'è qualcosa nelle forme dei nostri grandi alberi che ci fanno sospettare, noi, e loro, così radicalmente diversi.