2021-02-06
Sorpresa biancospino da corona di Gesù a toccasana cardiaco
Simbolo di fertilità e portafortuna, ma non per il Cristo in croce. Confettura, sciroppo o liquore, è apprezzato dagli chef in cucina.Coraggio gente freddolosa e costretta in casa oltre che dal freddo anche dal maledetto Covid, l'inverno sta per finire e, speriamo, anche le clausure forzate. E non perché lo diciamo noi che non siamo virologi, né meteorologi né Frate Indovino, ma perché lo affermano i proverbi, concentrato secolare di saggezza popolare e contadina. I veneti, popolo prudente che non si sbilancia, recita per la festa della Candelora (2 febbraio, presentazione di Gesù al tempio): «Quando vien la Candelora de l'inverno semo fora, ma se piove o tira vento de l'inverno semo dentro». Pochi giorni dopo, il 14 febbraio, San Valentino, patrono degli innamorati, non ha paura di compromettersi e annuncia nuovi voli e i primi fiori: «Per San Valentino l'allodola fa il nidino» e «Per San Valentino fiorisce lo spino».La stagione del biancospino dai frutti tanto piccoli da sembrare insignificanti inizia a giorni. È vero che non ci sono più le belle stagioni di una volta e che le siepi dei biancospini sono sempre più rare, ma i fiori del Crataegus monogyna, questo il nome scientifico del biancospino comune, rimangono sempre i bianchi e profumati messaggeri della primavera e della vita che si rinnova, insieme a primule, viole e agli azzurri occhi della Madonna. Sono fiori lucenti e solari, quelli del biancospino, più eleganti di una indossatrice di Dolce&Gabbana o di una top model di Victoria Beckham: «Oh! Valentino vestito di nuovo,/ come le brocche dei biancospini!», poetava incantato Giovanni Pascoli. Quando la scuola elementare forniva i primari elementi dell'istruzione allenando la memoria con i classici, non si usciva dalla quinta classe senza aver imparato a memoria la toccante poesia del poeta romagnolo: «Solo, ai piedini provati dal rovo/ porti la pelle dei tuoi piedini».Fermiamoci qui altrimenti intingiamo troppo la penna nell'inchiostro della nostalgia, sentimento piagnucolone rivolto al passato. Torniamo all'incantevole arbusto che è il biancospino comune, bellissimo da vedere, ma da toccare con attenzione perché più spinoso di Vittorio Sgarbi. Le «brocche» del Pascoli sono proprio questi rametti che nella bella stagione si rivestono di germogli e fiori bianchi che, nell'autunno avanzato, diventano frutti rossi, piccole drupe cremisi che i ragazzini di un tempo contendevano a merli e stornelli.Il biancospino deve il nome scientifico, crataegus, alla durezza del legno: kratos in greco significa «duro». Appartiene alla famiglia delle rosacee. I frutti rossi, di pochi millimetri di diametro, hanno una polpa bianca, dolciastra, che avvolge un nocciolo. È chiamato la pianta del cuore perché combatte ipertensione, aritmie, lievi cardiopatie e stati d'ansietà. Il biancospino è, inoltre, febbrifugo e usato contro l'insonnia. I frutti maturi sono utili contro la diarrea e la ritenzione dell'urina. «Attenzione, però», avverte Maria Antonietta Carrozza, biologa e nutrizionista, «i prodotti farmaceutici ricavati dal biancospino vanno sempre assunti sotto controllo medico».Pochi lo sanno, ma c'è anche un buon uso gastronomico di questi piccoli frutti. Sono drupe salutari, ricche di vitamina C, di cui, stando al ritrovamento di semi in siti preistorici, ci si nutriva già agli albori della storia. Con i frutti del biancospino si fa un'ottima confettura con o senza l'aggiunta di altri frutti o di spezie: è buona e fa bene. Basti pensare che apporta ossigeno alle cellule e previene l'affaticamento. Essendo frutti piccoli e dotati di un semino che può dare fastidio ci vuole pazienza: vanno passati al setaccio, ma il risultato- aggiungendo magari un po' di cannella o di vaniglia- è ottimo. Dalle drupe lavorate in altro modo si ottiene una gelatina apprezzata dai gourmet che l'abbinano a formaggi stagionati.Con i frutti del biancospino si possono preparare tè e tisane benefiche, ma è sempre meglio chiedere consigli al medico o all'erborista per le controindicazioni. Molto buono e salutare è lo sciroppo che si prepara con le drupe mature, zucchero, acqua e una stecca di cannella. Il procedimento è abbastanza facile: in una pentola con acqua tiepida si lasciano cuocere per pochi minuti i frutti del biancospino che poi si tolgono e si asciugano. Nel frattempo si mette sul fuoco una pentolina con acqua e zucchero. Quando lo sciroppo comincia a bollire si uniscono le drupe che devono cuocere bene, mescolando spesso fino a ottenere un bell'amalgama. A questo punto si mette lo sciroppo nei vasi con un po' di cannella, si lascia raffreddare, si chiudono ermeticamente i vasetti e si ripongono in cantina al buio. Con i frutti del biancospino si ottiene anche un liquore.Molti chef lo usano in cucina. Dimitri Mattiello, cuoco vicentino di Casa Dimitri in Val Liona accompagna la marmellata di biancospino col fegato d'oca scottato abbinato a pan brioche e gelatina. Giovanni Santini, chef del ristorante Dal Pescatore (tre stelle Michelin) dice che dal biancospino le api ricavano un miele eccezionale: «Con questo preparo un piatto molto apprezzato: il risotto con caprini della Via lattea e miele di biancospino». E pensare che in passato le classi sociali più povere, s'accontentavano di essiccare le drupe, macinarle riducendole in farina e mescolarle alla pasta del pane.I frutti del biancospino sono conosciuti in tutt'Italia con nomi dialettali diversi. I veronesi li chiamano marandèle; gli emiliani chegapoi (cacapolli) o cagabosoi; i bresciani pignatine; i bergamaschi brügnì e - sia la pianta che il frutto, da nord a sud - sono chiamati in cento altri modi: russulidda, spinazzo, cerasedda, spinapolice, calavrign, brissulin, prisset, beccabò, bruzzulino, bruscolino, pappa de volp, pom d 'la Madona...Quest'ultimo nome rimanda ad antiche leggende e simbologie cristiane. Una leggenda vuole che la corona di spine di Gesù sia stata intrecciata con rametti di biancospino. Questo arbusto, che nel linguaggio dei fiori indica la prudenza (necessaria per raccogliere i frutti senza pungersi), è associato alla Vergine Maria sia per i fiori bianchi, simbolo di purezza, che per i frutti rossi che simboleggiano i suoi dolori. Il biancospino è anche la pianta che offrì a Maria i rami perché vi stendesse i panni del Bambino ad asciugare. Immediatamente sui rami secchi sbocciarono meravigliosi, candidi fiori. Secondo una tradizione cristiana, Giuseppe d'Arimatea, il discepolo che chiese il corpo di Gesù a Pilato per deporlo nel suo sepolcro, giunto in Britannia, piantò a terra il bastone in legno di biancospino e quello immediatamente fiorì.Prima di Cristo i Greci, ritenendolo apportatore di fertilità, lo usavano per addobbare gli altari delle cerimonie nuziali. I Romani appendevano rametti di alba spina sulle culle dei neonati per allontare gli spiriti maligni. Prima ancora degli uni e degli altri la pianta fu venerata dagli ittiti, popolo dell'Asia Minore, che la pregavano: «Tu sei il cespuglio di biancospino: in primavera ti vesti di bianco, al tempo della raccolta sei vestito di rosso sangue. Tu raccogli la lana della pecora che passa sotto di te, allo stesso modo, porta via da questo iniziato, che cammina attraverso il cancello della tua siepe, ogni male, impurità e collera degli dèi». Per secoli le siepi di biancospino hanno segnato i confini delle proprietà. Poi sono arrivati il catasto, i topografi, gli avvocati e milioni di cause in tribunale.I Celti ritenevano i luoghi dove cresceva dimore di creature magiche e di spiriti silvani. In una loro leggenda il mago Merlino, ammaliato da Viviana, cade in un sonno profondo proprio sotto un biancospino. Nel Medioevo si pensava che una sorta di unguento ricavato dalla cenere del biancospino e spalmato sulle piaghe, potesse curare la lebbra. Ancora adesso, in tanti luoghi, lo si considera un portafortuna averlo nell'orto di casa. Guai a tagliarlo, però, e portarlo in casa. Si otterrebbe l'effetto contrario.