2022-05-13
Sono tornati i finti segreti di Amara. Chi ha interesse a inquinare i pozzi?
Piero Amara (Imagoeconomica)
Sulla stampa spuntano presunte nuove rivelazioni del faccendiere che servono soltanto a restituirgli credibilità. In particolare, grazie alle vecchie accuse contro Massimo D’Alema e i vertici del Cane a sei zampe.Negli ultimi giorni su alcuni quotidiani è tornato in auge Piero Amara, il faccendiere accusato di aver calunniato decine di persone con le sue dichiarazioni fiume. Qualche cronista ha rispolverato vecchi verbali depositati l’anno scorso a Milano e li ha proposti ai lettori, non sappiamo quanto consapevolmente, come inediti o, addirittura, «segreti». Superficialità o strategia mirata? La stagione di Amara sembrava finita in una cella di Terni e i suoi verbali parevano destinati a diventare coriandoli per Carnevale. E, invece, adesso qualcuno starebbe spaccando l’Amara in quattro per tirarne fuori un distillato a prova di smentita. Una specie di concentrato di accuse che possa reggere nei Tribunali e affondare questo o quell’imputato. Ovviamente l’opera di rivergination del sicofante siciliano non può prescindere dai media. E questi non darebbero spazio agli attacchi di Amara all’Eni se non fossero a conoscenza di un qualche ritorno di fiamma giudiziario da parte degli inquirenti nei confronti del Cane a sei zampe. O, forse, più banalmente, del tentativo last minute da parte dei pm di salvaguardare il teste d’accusa Amara almeno in qualche processo secondario. Di certo il mondo dell’avvocato siracusano non era un mondo qualsiasi, ma in esso convivevano personaggi di primo piano della magistratura, della politica e dell’impresa.Versioni incredibiliIl crollo dell’attendibilità di Amara rischia di mettere in salvo tutti, anche qualche potenziale mariuolo. Infatti il faccendiere, forse troppo interessato a scodellare per i pm le pietanze che riteneva di loro gusto, ha mescolato ingredienti di prima qualità, con altri scadenti o persino velenosi. Come quando ha dichiarato di essere stato ingaggiato dal nemico pubblico numero uno della magistratura progressista, Cosimo Ferri, toga in aspettativa e parlamentare renziano, per far superare il test d’ingresso a Medicina ai figli di noti giudici. Un racconto che si è rivelato una panzana, come ha certificato il procuratore di Perugia Raffaele Cantone. Così, per restituire credibilità al presunto pentito, qualcuno deve aver pensato di aver trovato il modo ideale: rispolverare le sue dichiarazioni contro Massimo D’Alema accusato da Amara ben prima del Colombia-gate di aver fatto, con la scusa dell’«interesse nazionale», da mediatore tra un’azienda di energia e l’Eni in cambio di provvigioni sottobanco. Un tema di stretta attualità. Qui, però, il punto non è se Amara abbia incontrato l’ex primo ministro come ha fatto con altri collaboratori di Baffino, bensì se l’ex capo del Copasir sia effettivamente riuscito, in cambio di una lauta parcella, a convincere i vertici del Cane a sei zampe a firmare un’esosa transazione da 130 milioni con un suo amico ed ex socio. E di questo non esiste, a quanto ci risulti, alcuna prova. Anzi diversi documenti attestano una realtà ben diversa. E allora cui prodest? Abbiamo dei sospetti, ma tali restano. In ogni caso l’attenta analisi dei verbali resi dal finto pentito Amara ai pubblici ministeri di Milano consente di ricostruire le motivazioni che hanno spinto l’avvocato siracusano a «collaborare» con la giustizia. In particolare nella convocazione che gli ha notificato la Procura di Milano il 15 novembre 2019 sono contestate ipotesi di reato che devono aver atterrito il faccendiere siciliano, a partire dalla calunnia nei confronti dei dirigenti di Eni Claudio Descalzi e Claudio Granata, per le accuse che il sedicente pentito aveva inserito contro di loro dentro a una memoria consegnata ai pm. Amara e, all’unisono, i sodali Giuseppe Calafiore e Vincenzo Armanna avevano infatti, nel luglio del 2019, denunciato alla Procura di Milano il cosiddetto e mai dimostrato patto della Rinascente, che sarebbe stato siglato con Granata per «comprare» il testimone Armanna, facendogli ritrattare alcune pesanti accuse nei confronti dei vertici dell’azienda petrolifera. Un’altra contestazione dei pm andava a toccare Amara nel portafogli e cioè contestava a lui e a un gruppetto di complici l’impiego di denaro provento di reato per i 25 milioni di euro incassati in modo presumibilmente fraudolento dall’Eni e utilizzati per acquistare un impianto petrolchimico iraniano.La paura dell’ex legaleA seguito di quella convocazione Amara deve aver sentito franare il terreno sotto i piedi soprattutto per l’attacco al tesoretto milionario che era riuscito a preservare dai sequestri nonostante fosse finito in carcere. Decide, quindi, di alzare la posta e riferisce numerose vicende che, nel suo intento, avrebbero dovuto attestare la sua attendibilità e consolidare il suo status di «collaboratore» al fine, con ogni probabilità, di evitare ulteriori misure cautelari e soprattutto la confisca del denaro incassato dall’Eni o dello stabilimento petrolchimico iraniano acquistato con il malloppo contestato. Questi verbali, redatti nel cosiddetto fascicolo Complotto e messi a disposizione dei numerosi indagati lo scorso dicembre (per questo per nulla segreti), sono datati 18 e 24 novembre 2019. Il primo rappresenta l’introduzione a quel Paese delle meraviglie più dettagliatamente descritto tra dicembre 2019 e gennaio 2020, quando Amara svelerà l’esistenza della fantomatica loggia Ungheria. Le trascrizioni di novembre, pur rappresentando soltanto un antipasto, lasciano perplesso il pm Paolo Storari che il 2 dicembre 2019 contesta ad Amara la perfetta coincidenza tra le sue dichiarazioni e quelle dei suoi sodali, tanto da ipotizzare un «accordo». Eppure il 18 e il 24 novembre il «super testimone» aveva servito agli inquirenti su un piatto d’argento le teste dei vertici dell’Eni, accusati di aver ordito un complotto per affossare il procedimento avviato dalla Procura di Milano nei confronti dell’azienda. Un piano a cui avrebbe partecipato, si legge nel primo verbale, anche l’intero Giglio magico renziano, mentre nel secondo il legale sposta il mirino sui rapporti di D’Alema e dei suoi amici con la compagnia petrolifera.Il «corvo» in azioneDavanti ai pm Amara svela anche i dettagli di una denuncia anonima che avrebbe preparato di suo pugno per colpire alcuni consiglieri del cda di Eni: «Nell’esposto ho indicato alcuni fatti veri […] con l’intenzione di offrire alla Procura dei riscontri e dare quindi credibilità all’esposto». Insomma, in quel momento stava rivelando agli inquirenti gli ingredienti segreti della specialità della casa. La stessa che magistrati e giornalisti provano ogni tanto a tirare fuori dal frigo e a propinare a lettori e giudici. Ma Storari e la Pedio non devono essere sembrati particolarmente convinti da quel menù e allora, il 6 dicembre 2019, Amara «confessa» l’esistenza di Ungheria, una vicenda che, secondo i ben informati, sarebbe prossima all’archiviazione su richiesta della Procura di Perugia, la quale, anche su questo caso, sarebbe pronta a sconfessare il finto pentito siracusano come ha già fatto nel clamoroso affaire dell’ex consigliere del Csm Marco Mancinetti, ora giudice civile a Roma, accusato di aver tentato di corrompere alcuni docenti universitari per consentire al figlio di superare il test d’ingresso a Medicina. È lo stesso procuratore Cantone che nella richiesta di archiviazione del 16 giugno 2021 scrive: «[…] il racconto dei fatti offerto da Amara, e supportato in parte da Calafiore, sembra essere smentito (e quindi non veritiero) sotto più aspetti». Per esempio, a proposito del coinvolgimento di Ferri, «la versione di Amara appare illogica e decisamente poco credibile». Tanto che il procuratore non solo ha chiesto l’archiviazione, ma ha trasmesso gli atti a Milano per procedere per il delitto di calunnia nei confronti di Amara e Calafiore. La Procura meneghina ha successivamente chiesto il rinvio a giudizio per costoro, ma pure per il lobbista Fabrizio Centofanti, anch’egli già coccolato teste d’accusa.Di fronte a questo quadro sconfortante c’è da domandarsi quale sia il fine ultimo dell’improvviso accanimento terapeutico degli organi di informazione che tentano in tutti i modi di rianimare un collaboratore ormai privo di credibilità come certificato anche dalla Procura di Perugia e paradossalmente confessato dallo stesso Amara che, vale la pena di ricordarlo, davanti al Gip di Potenza il 10 giugno 2021 ha candidamente dichiarato alla pagina 10 dell’interrogatorio: «Lo stesso Calafiore quando fu sentito a Roma e a Messina, un po’ come me, raccontò della favola di Pinocchio».
Il cpr di Shengjin in Albania (Getty Images)