2018-07-09
«Sono andato in tv per colpa di mio padre»
Massimo Giletti, il conduttore di Non è l'Arena torna sull'addio alla Rai: «Non dirò mai chi mi ha fatto fuori, ma Mario Orfeo fu il suo complice». Poi racconta la lite che gli fece mollare l'azienda di famiglia. «Papà mi disse: “Ti dimetti? Lo voglio per iscritto". E chiamai Minoli...».Massimo, la tua vita è cambiata in una notte. Dalla tessitura alla televisione, per via di un incidente ad un motore e delle sue conseguenze. «(Sospiro) Non ci avevo mai pensato in questi termini. Però è vero. Lavoravo nella impresa della mia famiglia, potremmo dire che ero qualcosa di meno di un dirigente e qualcosa di più di un caporeparto. Ed ero il figlio del padrone». Quanto lavoravi?«Sempre. Dalla mattina alla sera, e anche con grande soddisfazione, se così si può dire». Poi, una notte...«Una notte mi telefonano dalla fabbrica e mi dicono: “Dottore, si è verificata una catastrofe"». Ed era vero?«Assolutamente sì. Si era rotto il cuore dell'impianto, la sfilacciatrice. È la macchina con cui si disfano le balle dei tessuti. Senza di quella la produzione non può partire. Bisognava rimetterla in moto prima che si aprissero i cancelli».E allora?«Tiro giù dal letto due tecnici e corro in fabbrica, per provare a ripararla». Difficile?«Immagina di doverti arrampicare su una cattedrale d'acciaio alta sei metri, con due motori in spalla, tirati su con le catene».Come va a finire?«Apparentemente con un trionfo. Ci mettiamo tre ore. Alla fine tutto intorno a noi è macchiato di grasso e di olio, siamo sporchi, stremati, ma i due meccanici riescono a riavviare la sfilacciatrice. Dal basso parte un applauso. “Dottore, puliamo?", mi fanno loro. E io dico loro: “Ragazzi, andate a dormire che ve lo siete meritato!"».La mattina presto arriva tuo padre, il vero sovrano della fabbrica. «Bisogna capire che tipo d'uomo era, ed è: ancora oggi, a novant'anni, va tutti i giorni in ufficio a lavorare». «Giletti, dal 1882». L'industria tessile che ha cambiato Ponzone Biellese, il paese dove sei cresciuto, e un'intera provincia. «Tre generazioni prima di me: l'ospedale Giletti, la scuola Giletti, le case Giletti, e persino il cimitero Giletti, gratis! Un bisnonno accusato di essere “socialista" per le troppe concessioni ai lavoratori, un nonno di essere “di destra", per troppa durezza, e poi questo padre: straordinario, impeccabile, mai soddisfatto di noi figli».E cosa ti dice lui, quella sera?«Sulla macchina riparata, nulla. Non una parola di soddisfazione per il lavoro fatto. Con una espressione gelida mi guarda e mi fa: “Dove hai imparato che alla fine di un lavoro non si pulisce e non rimette a posto?"». E tu?«Sono fuori dalla grazia di Dio. Non è un singolo episodio. È la sintesi di un intero rapporto, il nostro, che si concentra in questo dialogo surreale. Gli dico: “Ciao papà, me ne vado". E lui, ti giuro, mi risponde: “Stai dando le dimissioni? Sappi che nei luoghi seri le dimissioni non hanno valore se non si danno per iscritto"».E tu?«Non ho detto più nulla. Me ne sono andato, non ci siamo parlati per due anni. Ero laureato in giurisprudenza con il massimo dei voti, la fabbrica mi piaceva, ma quel giorno ho pensato: “Devo fare televisione"». Permettetemi di scrivere questa intervista dando del tu all'intervistato. Conosco Massimo Giletti da anni, siamo diventati colleghi a La7, spesso sono ospite del suo programma, ma solo durante una giornata che abbiamo passato insieme in Veneto, ospiti di una bella rassegna letteraria - «Sorsi d'Autore» - Massimo mi ha raccontato il punto di svolta della sua biografia, una delle più atipiche che si possa immaginare tra quelli che lavorano nel mondo della televisione italiana. Una gavetta d'autore. Come è avvenuto questo passaggio dal tessile alla tv? «In un modo stranissimo. Io non avevo la vocazione, non sognavo di fare il giornalista da ragazzo. Vivevo in questa bellissima provincia, studiavo, lavoravo». E cosa è accaduto?«Guardavo la tv da spettatore. Ero appassionato di Mixer, quello degli anni d'oro, condotto da Giovanni Minoli. Il mio unico rapporto era che nelle sere in cui mi appassionavo a quei reportage pensavo: “Come mi piacerebbe girarli..."».E così, abbandonato tuo padre te ne vai a Londra, ma inizi una attività tutta particolare. «So che i lettori penseranno che fossi matto: ma tutti i giorni - e intendo proprio 300 giorni l'anno, escluse solo ferie e feste - bombardo di telefonate Doria Ricci, la segretaria di Minoli dicendole: “Sono Massimo Giletti, vorrei un appuntamento con il dottore"».E la signora Dora?«Un giorno, estenuata, mi chiede: “Dottor Giletti, scusi, ma a lei chi la sostiene?". E io: “Come chi? Nessuno"». Fantastico. E poi?«Deve essersi convinta che fossi un matto, penso di averla presa per sfinimento. Immagino che un giorno abbia detto a Minoli: “Dottore, la prego, gli parli, sennò questo non mi lascia più in pace". Ed era vero». Quindi ti ci fa parlare e inizi a lavorare?«Magari. Facciamo un primo colloquio, mi dice: “Ti metterò alla prova"». Bene. E il provino con chi lo fai? «Con un mostro sacro della Rai, Michele Guardì. Mi fa simulare dieci interviste una dietro l'altra. Partiamo lenti, poi, mentre mi chiede di immaginare che lui sia di volta in volta un personaggio diverso, acceleriamo. Gli piace il mio ritmo. Alla fine mi dice: “Sei bravo"». Perfetto. «Mica tanto. Minoli mi rimanda di mese in mese. Avrò fatto 12 incontri, fino a un giorno in cui ero a Londra, dove nel frattempo stavo lavorando per una multinazionale, e mi arriva una ennesima chiamata della Rai». Non mi dire che esiti.«Ci penso su, perché il biglietto per Roma, dato il preavviso, mi costava mezzo milione di allora. Sono stanco. E quando vedo Minoli lo esprimo nel modo peggiore». Cosa gli dici?«Parliamo pochi minuti. Capisco che lui mi sta congedando ed esplodo: “Mi perdoni, dottor Minoli! Ma questi dieci minuti mi sono costati mezzo milione di lire"».E lui?«Si mette a urlare, e forse giustamente dal suo punto di vista: “Lei è un arrogante! Un maleducato. Qui c'è gente che farebbe la fila per un colloquio!". Però quell'arrabbiatura è il punto di non ritorno. Mi spiego: “L'esame è durato abbastanza, mi dia solo una opportunità"». E…?«E incredibilmente Minoli mi guarda e mi dice: “D'accordo". Giovanni è stato un grande maestro».Battesimo del fuoco, con Giulio Andreotti, il giorno della sua condanna. Minoli ha raccontato che dormisti davanti a casa del Divo Giulio, in macchina. «Sapevo che andava a messa alle sette del mattino, da solo, era chiaramente quello l'unico momento in cui si poteva intercettarlo. Però la stessa idea l'avevano avuta altri due colleghi. Solo che la prendono molto larga e gli fanno domande del tipo: “Lei la prossima settimana sarà a un convegno sulla cultura cattolica…». E tu?«“Presidente, cosa si prova ad essere condannato per mafia?"».Una bomba atomica. «Sì, anche se sono stato un po' ingenuo. Mentre chiude il portone di casa, Andreotti mi chiede: “Scusi, lei come si chiama, per chi lavora?". E io, tutto orgoglioso: “Massimo Giletti, Rai Mixer!". Accadde un putiferio e capii che in alcuni casi bisogna contenere i propri ardori». Dalla Rai te ne sei andato con molta sofferenza. «È vero. Non hanno avuto il coraggio di dirmelo fino alla fine. Speravano che con poco preavviso non trovassi un'alternativa. Sbagliavano». Perché è stata chiusa L'Arena? «Per volontà di una persona. Mario Orfeo è stato il complice, ma il nome del mandante, che io so, non lo dico nemmeno sotto tortura». È passato un quarto di secolo, ma la tua passione è intatta. «Vero». Ho assistito a un tuo svenimento a Non è l'Arena perché stavi male ma non volevi mollare il programma. «A volte esagero. Quella sera ho perso addirittura conoscenza. Mi risvegliai in ambulanza, in tempo per sentire un infermiere che diceva, con un bell'accento romano: “Portiamolo di corsa all'Umberto I perché questo sta messo così male che non arriva vivo". Ah ah ah...». Resti a La7 malgrado a ogni uscita pubblica arrivi un dirigente della Rai a corteggiarti. «Magari sono amici... Quando sono andato via mi avevano proposto il doppio dello stipendio per non lavorare. Ma a me piace lavorare, e a La7 lavoro molto bene». Presenti ancora le tue fidanzate a tua madre? «No, per due motivi. Il primo è che vedo che lei ci soffre. Si affeziona alle persone, e poi quando una storia si interrompe le dispiace di più. Quando ne incontra una la saluta così: “Sei tu la prossima vittima?"». Capisco. E poi?«Mamma è molto riservata. Ma i giornalisti no. Ricordo una volta che un collega chiamò a casa, le parlò e le promise riservatezza».Risultato?«Un titolo di copertina: “Antonella Clerici è la nuova fidanzata di Massimo. E io le voglio bene"». Ah ah ah. Ma non ti preoccupa restare “signorino"?«Ti rispondo con un aneddoto. Una volta, anni fa, mi ritrovo a Gallipoli, dove dovevo ritirare un riconoscimento, con altri due premiati: un mostro sacro del cinema, Alberto Sordi, e una giovanissima e verace ragazza: Sabrina Ferilli. Come capita in queste occasioni, diventiamo in breve una compagnia di viaggio. Ci vengono a prendere a Bari, con un furgone Mercedes un po' scassato, Sabrina fa battutacce in romanesco, Sordi è incredulo: “Ma lo sanno chi sono? Me portano co' 'sto catorcio?"». E poi?«Ore in macchina insieme, si parla di tutto, e alla fine Sordi mi fa: “Massimo, fidati, tu sei fatto come me. Nun te sposa' mai!"». Esilarante. Ma mica mi vorrai convincere che non ti sposi per tenere fede ad un consiglio che ti ha dato Albertone a Gallipoli! «Penso di poterti dire una cosa molto personale, se prometti di non raccontarla a nessuno... Nei rapporti, quando finisce la passione, non riesco a sostenere la routine. È un mio limite personale, lo riconosco, non mi piace fingermi quello che non sono». Perché?«Ho trovato solo una compagna nella mia storia personale a cui ho dato veramente tutto. E con cui sono fidanzato per la vita». E chi è?«(Sorriso gilettiano col sopracciglio alzato) «La televisione».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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