
Si sprecano le critiche (faziose) al regime forfettario per le partite Iva, ma questa è l'unica misura che fa calare la pressione fiscale. Sbagliato dire che farà crescere l'evasione: le nuove soglie sono meno distorsive delle vecchie e non è facile «manovrare» le fatture.Stupisce l'accoglienza riservata dai grandi media all'estensione del regime forfetario a tutte le partite Iva fino a 65.000 euro annui. Al di sotto di questa soglia, pagando il 15% sui ricavi, al netto di una percentuale di deduzione si assolve ogni obbligo tributario. In una legge di bilancio che, per la prima volta dal 2010, interrompe la tendenza alla riduzione del deficit/Pil e aumenta (di pochi decimali, dal 1,8% al 2,04%) il rapporto deficit/Pil rispetto all'anno precedente, ma in cui la pressione fiscale è prevista aumentare al 42,3% del Pil (dal 41,9% del 2018), la norma costituisce una delle poche misure a favore di imprese individuali e professionisti.Il minor gettito è stimato in 3,5 miliardi in tre anni. L'altra misura rilevante è l'Ires ridotta al 15% su utili reinvestiti e nuove assunzioni che dovrebbe generare un minor gettito di 4,5 miliardi, sempre in tre anni. Viene quindi da chiedersi quale peccato mortale si nasconda dietro questo beneficio fiscale, anche perché i rilievi sono giunti da autorevoli accademici e colleghi, pensando che l'emissione di fattura sia un fatto discrezionale, manovrabile per cifre rilevanti a piacimento come se non esistessero committenti o cessionari.Resta necessario sgombrare il campo da un equivoco lessicale: questa norma non è la flat tax, per due motivi che ne negano il carattere di universalità. Ovvero, il limite a 65.000 euro annui segmenta la platea di beneficiari, ed essa riguarda solo reddito di impresa prodotto in forma individuale e reddito da lavoro autonomo, escludendo quindi reddito da lavoro dipendente e pensioni.A parte ciò, le accuse contro di essa sono sostanzialmente quattro:1 incentiverebbe l'evasione e disincentiverebbe la produzione, per effetto della soglia a 65.000 euro. Tale accusa dovrebbe essere rivolta a tutte le soglie e, a maggior ragione, anche al precedente regime che prevedeva soglie differenziate da 25.000 a 50.000 euro in relazione alla natura dell'attività. L'intero sistema tributario è infarcito di soglie. Ora viene da chiedersi, perché solo questa è distorsiva? Perché solo ora si scopre la distorsività della soglia? Ma, e qui viene l'aspetto più importante, ammesso e non concesso che la soglia sia distorsiva, erano le precedenti soglie a esserlo molto di più. Analizzando i dati delle dichiarazioni fiscali del 2017, si rileva che beneficiano già del regime forfetario con le vecchie soglie circa 935.000 contribuenti. L'estensione a 65.000 euro di ricavi/compensi dovrebbe riguardare almeno altri 500.000 contribuenti, situati nelle classi di fatturato fino a 65.000 euro. Per un totale di circa 1,5 milioni di partite Iva. Ciò significa che poco meno del 70% delle persone fisiche con dichiarazione Iva rientrerà in questo nuovo regime. Se si considera che tali nuovi soggetti entranti costituiscono, con quelli già presenti, anche le classi di reddito più affollate (solo il 13% dei contribuenti Iva ha un reddito superiore a 50.000 euro), si può concludere che tale nuova soglia è molto meno divisiva della precedente. 2 Consentirebbe di tassare al 15% anche redditi milionari, perché l'esclusione dal regime opererebbe dall'anno successivo. Ma anche questo rilievo non si capisce perché venga fuori solo ora, con una soglia peraltro meno divisiva, come illustrato in precedenza.Anche il regime forfetario voluto dalla prima legge di bilancio di Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan a fine 2014 prevedeva l'esclusione solo dall'anno successivo al superamento della soglia. Pertanto, nell'anno in cui se ne beneficiava non c'era alcun limite di ricavi o reddito. Certamente ci potrebbero essere modesti arbitraggi a cavallo d'anno per non perdere il beneficio, ma una sistematica e massiccia operazione di spostamento di compensi professionali (perché solo di questi può trattarsi), in modo da poter beneficiare ad anni alterni del regime forfetario, sembra confinato a pochi casi limite su una platea di ben 1,5 milioni di contribuenti. E sarebbe, in ogni caso, una legittima scelta del contribuente che rinuncerebbe a cospicui incassi un anno per poi riceverli l'anno successivo. 3 Incentiverebbe la rinuncia al lavoro dipendente per beneficiare del più vantaggioso carico fiscale delle partite Iva. Ma ciò non è possibile, poiché è escluso dal regime chi esercita prevalentemente nei confronti di datori di lavoro con cui sono in corso o erano intercorsi rapporti di lavoro nei due anni precedenti. In ogni caso, simulare un rapporto professionale è comunque rischioso e invece viene fatto passare come un'alternativa possibile. 4 Creerebbe disparità tra contribuenti, poiché dipendenti e pensionati continuerebbero a essere tassati progressivamente con l'Irpef. Il rilievo appare corretto. Ma allora perché non farlo per tutte le altre categorie di redditi (locazioni, capitale…) che risultano tassate con aliquota sostitutiva unica e quindi da tempo sottratte all'Irpef, in barba a qualsiasi progressività?In un sistema tributario infarcito di imposte sostitutive, sorge all'improvviso il problema del rispetto dell'equità orizzontale per il solo fatto che poco più del 1% dei contribuenti Irpef passi a pagare un'aliquota unica? È difficile pensare che accuse così focalizzate, coordinate e di dubbia consistenza non siano l'esito di un pregiudizio.
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