2019-02-28
Solita bocciatura Ue. Certo, le fotocopiano...
Nel «country report» la Commissione critica ancora la manovra e i suoi effetti. Peccato che i giudizi siano uguali a quelli del 2018 e del 2017. Nel mirino quota 100 e (meno) reddito di cittadinanza. Ma a far paura è l'ossessione di Bruxelles per le tasse sulla casa.Puntuale come un orologio svizzero, è arrivata ieri l'ennesima sprangata degli euroburocrati sui nostri conti pubblici. L'occasione questa volta era rappresentata dalla pubblicazione dei Country report, le relazioni annuali indirizzate dalla Commissione europea ai singoli Stati membri e contenenti indicazioni specifiche per ciascun Paese. L'intero documento non è nient'altro che una lunga e severa critica alle soluzioni messe in campo dall'attuale esecutivo. Tutto sbagliato, dicono da Bruxelles, facendo sottintendere che quello trascorso dall'insediamento del governo a oggi è stato solo tempo perso. Durissima la reazione del premier Giuseppe Conte: «Le scelte di politica economica e sociale possono essere varie. Noi siamo convinti della nostra ricetta, e siamo convinti di dover evitare l'errore di politiche recessive quando il ciclo economico non è favorevole».Nel mirino, com'era prevedibile, finiscono i provvedimenti che costituiscono la spina dorsale della manovra (la quale, è bene ricordarlo, è stata approvata dall'Ue dopo settimane di trattative estenuanti sotto la minaccia costante della procedura di infrazione): la riforma delle pensioni e il reddito di cittadinanza. Riguardo a quota 100, secondo la Commissione «le nuove disposizioni sulle pensioni dovrebbero peggiorare la sostenibilità di bilancio», dal momento che «aumenteranno considerevolmente la spesa pensionistica nei prossimi anni». Un po' meno tranchant, ma pur sempre negativo, il giudizio sul reddito di cittadinanza. Come si legge nel testo pubblicato ieri, «il regime potrebbe risultare di difficile attuazione e costituire un onere considerevole per la Pubblica amministrazione». Inoltre, osservano i tecnici, «l'effettivo impatto sull'occupazione dipenderà dall'efficacia delle politiche di attivazione e dei controlli». E spunta anche un vago riferimento alla patrimoniale, un tema molto dibattuto nelle ultime settimane. Uno degli obiettivi suggeriti da Bruxelles, infatti, è quello di «spostare la pressione fiscale dal lavoro», per esempio «riducendo le agevolazioni fiscali e riformando i valori catastali non aggiornati». Un punto sul quale, lamentano gli autori del rapporto, l'Italia non ha compiuto nessun progresso. L'assist, nemmeno tanto velato, va in direzione della reintroduzione della tassa sulla prima casa abrogata nel 2015, che se da un lato fornirebbe al governo risorse preziose per correggere il bilancio, d'altro canto finirebbe per affossare il gradimento dei partiti di maggioranza. Dal punto di vista degli squilibri macroeconomici, la fonte di preoccupazione maggiore è rappresentata dal debito pubblico, definito «grave fattore di vulnerabilità». «Rimaniamo preoccupati», ha affermato a margine della presentazione dei report il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, «che il debito non scenda a causa dei piani economici deboli del governo». Bruxelles non crede alle promesse italiane sulla riduzione del debito nei prossimi anni: l'ipotesi che il rapporto debito/Pil cali dell'1% nel 2019 viene infatti giudicata «irrealistica». Ora, che il nostro governo non vada a genio a questa Commissione è un fatto piuttosto limpido. Ma l'appuntamento di ieri somigliava più a un comizio elettorale che a una semplice esposizione di dati finanziari e raccomandazioni. Man mano che si avvicinano le elezioni europee, dalle quali scaturirà anche il nuovo esecutivo europeo, l'ansia per una possibile vittoria delle forze populiste monta ogni giorno che passa. E da questo punto di vista, l'Italia rappresenta l'incarnazione del pericolo che l'attuale assetto istituzionale vigente a Bruxelles venga scardinato. Se le previsioni pubblicate dallo stesso Parlamento europeo pochi giorni fa dovessero avverarsi, infatti, Popolari europei e Socialdemocratici (le due forze oggi al timone del continente) non avrebbero i numeri per formare la maggioranza. L'eventualità che il Ppe si rivolga a Matteo Salvini per formare la nuova Commissione non è più solo fantapolitica. Oltretutto, è sufficiente sfogliare le relazioni degli anni scorsi per rendersi conto che il ritornello ero lo stesso anche quando al governo c'erano Paolo Gentiloni e Matteo Renzi, tant'è che in alcuni punti sembra quasi che Bruxelles abbia fatto «copia e incolla». Come nel rapporto di quest'anno, anche nel biennio precedente il debito pubblico viene considerato una «fonte importante di vulnerabilità». Riguardo al rischio di contagio agli altri Paesi dell'Ue, uno dei punti più caldi di ieri, dovrebbe fare riflettere che anche nei documenti dei tre anni passati la Commissione abbia ritenuto opportuno specificare che «data la sua importanza sistemica, l'Italia potrebbe generare ricadute sul resto della zona euro». Stesso discorso per la crescita della produttività (quest'anno «fiacca», gli altri anni «debole»), per la disoccupazione (sempre «elevata»), le politiche fiscali («il sistema fiscale ostacola l'efficienza economica e la crescita»), l'istruzione («sottofinanziata»), gli investimenti («stagnanti» e «in costante calo»), le politiche sociali e la competitività. Ma considerata la lontananza temporale con le elezioni e il fatto che a Roma sedessero governi amici, non c'era poi tanto bisogno di calcare la mano.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)