2021-11-27
Fra le strofe d’odio di Pietrangeli e il delitto Calabresi c’è di mezzo Sofri
Il mandante dell'omicidio del commissario ricorda «Contessa» e scrive: «Parole grosse al riparo dai fatti». Non per lui e i suoi... Povero Paolo Pietrangeli, questa non se la meritava. Tutti l'hanno ricordato per Contessa, la sua canzone che inneggiava alla violenza proletaria, e già questo non dev'essere piacevole per uno che nella vita ha fatto qualcosa di diverso e di migliore, oltre che invitare la gente a sfasciare i crani altrui a martellate. Se poi questo inno alla liquidazione del nemico per via sommaria viene difeso da colui che della liquidazione del nemico per via sommaria è stato il capostipite, beh, c'è di che rimanere più che basiti. Che cosa ha fatto di male Paolo Pietrangeli per avere un avvocato simile? Adriano Sofri che difende Contessa dicendo che quella canzone con la violenza non c'entrava nulla è un po' come Poldo il Mangione che difende il menù a base di hamburger dicendo che non fa ingrassare. O la Banda Bassotti che difende il deposito di Paperone dicendo che non è detto che qualcuno ci vada a rubare. Non è una difesa. È un'offesa. O forse peggio. Di sicuro una condanna certa. «Nel mondo di Contessa di Pietrangeli c'era bisogno di parole grosse», ha spiegato sul Foglio l'ex leader di Lc, «e le parole grosse erano ancora al riparo dai fatti». Davvero? Le «parole grosse» erano «al riparo dai fatti»? E anche il commissario Calabresi era al riparo? O no? Ci vuole un certo coraggio a dire che c'era bisogno di «parole grosse», visto la scia di morti che sono venuti dietro a quelle «parole grosse». E ci vuole ancora più coraggio a dire che comunque, allora le «parole grosse erano al riparo dai fatti», se a dirlo è chi, in base alle sentenze dei tribunali della Repubblica italiana, quelle parole grosse le ha trasformate per la prima volta in fatti, diventando il mandante di un omicidio che ha aperto la stagione del terrorismo. Non era il caso che Sofri ne tenesse sommessamente conto? Perché offendere in questo modo la memoria dell'autore di una canzone, oltre a quella di tante vittime? Non è possibile non rendersi conto che tanti ragazzi quelle parole di violenza le presero sul serio. Anche perché i primi a prenderle sul serio furono proprio quelli che lui mandò sotto casa di Calabresi. Perciò l'articolo è un capolavoro di ipocrisia. A cominciare dalla testatina: «L'inno del '68 tra ironia e intransigenza». Ironia? E dove sta l'ironia? C'era uno che scriveva «Vogliamo vedervi finire sottoterra». E poi c'era uno che mandava sotto terra un commissario di polizia. È ironico tutto ciò? Sofri è meticoloso nella ricostruzione, quasi filologico (molto filo, poco logico): confessa di aver fatto anche una ricerca sulle esatte parole della canzone. «Ho cercato il testo per controllare se dicesse “sputategli addosso" o “sparategli addosso". Sputategli nell'originale. L'altra fu la variante più intransigente. Più di sinistra. Più». Al commissario Calabresi, mi par di ricordare, non si limitarono a sputare addosso. Spararono proprio. Si vede che Sofri e i suoi ragazzi preferivano la variante più intransigente. Più di sinistra. Più. L'ex leader di Lc ricorda poi un'intervista di Pietrangeli (uomo «cordiale, generoso e anche ironico») a Claudio Sabelli Fioretti. Parlava di «violenza metaforica» e alla domanda «ma i ragazzi del movimento capivano che era metaforica?», rispondeva senza tentennare: «Certo che lo capivano. Non c'era clima di violenza in quegli anni. Qualche anno dopo le cose cambiarono. Lo avevo anche scritto in una canzone: Mio caro padrone domani ti sparo. Era talmente granguignolesca che nessuna persona con un minimo di sale in zucca poteva pensare che fosse un invito a sparare. Eppure, durante un concerto, dei compagni mi chiesero: “Come dobbiamo fare?"». Nell'intervista di Pietrangeli, purtroppo, non si dice che qualcuno poi trovò da solo la risposta a quella domanda. Impararono in fretta come fare. E Sofri, in realtà, dovrebbe ricordarlo bene. E io non so quanto si possa considerare granguignolesco l'omicidio di un commissario, non so quanto si possa considerare metaforico sparare sotto casa un uomo dello Stato, ma so che il «ricordo affettuoso di Pietrangeli» (come lo definisce l'ex leader di Lc) si trasforma in un monumento alle cose inopportune. Perché Pietrangeli aveva ragione a dire che quando quella canzone fu scritta (nel 1966) il clima era diverso e che nessuno con il sale in zucca poteva prendere sul serio l'invito a sparare, ma qualche anno dopo le cose cambiarono. E stando alle sentenze dei tribunali italiani, quando le cose cambiarono, i primi a prendere sul serio quell'invito a sparare furono proprio i ragazzi di Sofri, con o senza sale in zucca chi lo sa. Da quel momento le «parole grosse» non furono più «al riparo dei fatti». E il primo colpevole è stato proprio quello che oggi si diletta su quel testo dissertando lievemente di «letture letterali». Senza ricordare che troppe persone per quelle «letture letterali» sono finite al cimitero.
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