2023-11-11
Divisi e senza capi: socialisti europei a pezzi
Il congresso di S&D a Malaga vede Elly Schlein isolata sulla questione Albania. Sull’assise pesa anche l’inchiesta che ha travolto il portoghese Antonio Costa: era lui l’erede designato per la successione a Charles Michel al Consiglio europeo. E un altro leader non si trova...In Spagna Pedro Sanchez si accorda pure con i baschi. Paolo Gentiloni dà «il pieno appoggio» al nuovo governo con secessionisti e filo Hamas.Lo speciale contiene due articoli.Elly Schlein arriva a Malaga, al congresso dei Socialisti europei, e pochi minuti dopo sul capo della segretaria del Pd piomba una bella tegola politica, sotto forma di dichiarazione della vicepresidente dell’Europarlamento, Katarina Barley, pezzo da novanta della Spd tedesca, già ministro della Giustizia, ministro del Lavoro e ministro della Famiglia del governo di Berlino. A proposito dell’accordo tra Italia e Albania sull’immigrazione, la Barley smentisce qualche centinaio di dichiarazioni dei dem italiani, che hanno gridato allo scandalo: «Esternalizzare la gestione dei migranti», dice la Barley all’Ansa, «non è sempre sbagliato, dipende dalle situazioni. Quello che stiamo ipotizzando in Germania è di creare delle possibilità per le persone che voglio scappare dai loro Paesi di chiedere asilo senza prima arrivare in Europa. Questo significa creare strutture in cui possono presentare la richiesta di asilo e magari restare mentre la loro richiesta è analizzata». Avete letto bene: mentre il Pd addirittura chiede di espellere il premier albanese Edi Rama dal Partito socialista europeo, in seguito all’accordo sottoscritto con Giorgia Meloni, una esponente di primissimo piano dello stesso Partito socialista europeo elogia l’accordo. Una figura barbina, l’ennesima della attuale classe dirigente del Pd, un partito che sbanda a ogni curva. Evidentemente nessuno informa la Schlein delle parole della Barley, probabilmente per una forma di affettuosa protezione, ma il risultato è esilarante, visto che Elly a Malaga si avventura in una dichiarazione che a questo punto suscita ilarità più che stupore: «Noi possiamo anche parlare lingue diverse», dice la Schlein, «ma lottiamo per le stesse battaglie e dobbiamo essere coraggiosi. Noi in Italia vediamo in faccia la destra, dobbiamo alzarci e combattere per la giustizia sociale, la solidarietà europea. Occorre combattere per una missione di ricerca e soccorso europea, per fermare l’esternalizzazione della gestione della migrazione ai nostri confini». È certamente vero che in Europa si parlano lingue diverse, ma la dichiarazione della Barley è stata tradotta in italiano. Siamo di fronte, come è evidente, a una tragicommedia politica. Pure Enzo Maraio, segretario del Partito socialista italiano, ex consigliere regionale della Campania, si smarca dalla linea Elly: «L’accordo sui migranti fra Italia e Albania lascia perplessi», argomenta Maraio, ma resta «un accordo tra due Paesi amici la cui storia, molte volte, li ha visti vicini. Si interviene su un tema che dovrebbe interessare tutta l’Europa e che non può essere più delegato ai singoli Stati». Proprio ieri, nella sua rubrica social «Gli appunti di Giorgia», il premier è tornato sulla questione: «Chi non è d’accordo» con l’intesa con l’Albania sui migranti «può dire quello che vuole ma non sostenere che vogliamo deportare qualcuno in una nazione candidata a entrare nell’Ue». La Meloni parla di «un accordo storico che può diventare un modello per le altre nazioni dell’Unione europea e ne sono fiera». Nel dettaglio, l’accordo «prevede che l’Albania dia all’Italia le aree dove realizzare due strutture. Una sarà un centro di prima accoglienza al porto, e nell’area più interna ci sarà una seconda struttura sul modello dei Cpr», ha aggiunto. Nell’arco di un anno potranno essere gestiti in Albania fino a 36.000 migranti. Non va meglio, più in generale, ai Socialisti europei, al cui vertice è stato confermato Stefan Lofven, ex premier svedese (per lui 196 voti a favore, 2 contrari, un’astensione e un voto non valido). Sul congresso, infatti, incombe il caso del premier portoghese Antonio Costa, che si è dimesso in seguito a un’inchiesta su corruzione. Il socialista Costa era il più probabile candidato alla successione di Charles Michel come presidente del Consiglio europeo a partire dal novembre 2024, quando il belga terminerà il suo mandato. Far presiedere il Consiglio europeo a un indagato per corruzione, tra l’altro dopo lo scandalo-Qatar, non è il massimo della vita, e quindi ora si Socialisti tocca risolvere una nuova grana. Chi collocare al posto di Michel? Il socialista in questo momento più in auge è il premier spagnolo Pedro Sanchez, che però è a sua volta zavorrato da una coalizione di maggioranza assai pasticciata. Insomma, c’è penuria di socialisti in grado di assumere ruoli apicali come quello di presidente del Consiglio europeo: Politico.eu passa in rassegna un po’ di nomi e li bruciacchia uno dopo l’altro. L’ex premier finlandese Sanna Marin, per esempio, viene descritta da un funzionario della Ue come una «piantagrane»; Frans Timmermans, ex socialista della Commissione europea, ha appena lasciato Bruxelles per tornare nei Paesi Bassi. Se vincerà le elezioni di questo mese, sarà il primo ministro olandese e difficilmente vorrà andarsene; se invece fallirà, non sarà mai stato primo ministro, un criterio informale per l’incarico al vertice del Consiglio. Altri nomi in lizza? Löfven, Paolo Gentiloni e perfino Mario Draghi, che però non è iscritto a nessun partito. Per quel che riguarda la guerra in Medio oriente, la Schlein a Malaga ha in agenda in due bilaterali separati, con la deputata del partito laburista israeliano Merav Michaeli ed il rappresentante di Fatah, Faraj Zayroud. Gli incontri avranno al centro la situazione a Gaza e la richiesta di un cessate il fuoco umanitario, la posizione dei Socialisti europei.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/socialisti-europei-a-pezzi-2666229923.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sanchez-si-accorda-pure-con-i-baschi-cortei-e-disordini-in-tutta-la-spagna" data-post-id="2666229923" data-published-at="1699645666" data-use-pagination="False"> Sanchez si accorda pure con i baschi. Cortei e disordini in tutta la Spagna Lunedì il Psoe farà firmare la legge sull’amnistia alle formazioni che sosterranno l’investitura di Pedro Sanchez con 179 seggi, tre più della maggioranza assoluta richiesta. Oltre ai socialisti (121), firmeranno Sumar (31), Junts (7), Erc (7), Pnv (5), Bildu (6), Bng (1) e Cc (1). Ieri, la macchina da guerra del premier ha travolto le ultime resistenze al Nord e al Sud del Paese, stipulando accordi con il Partido nacionalista vasco (Pnv) e Coalición Canaria (Cc), che spaccano ulteriormente l’unità della Spagna. In cambio, ha garantito il riconoscimento dei Paesi Baschi come nazione, l’autonomia (in un paio d’anni) dal sistema centralizzato di previdenza sociale (ci saranno pensionati spagnoli e pensionati baschi), la riforma dello statuto dei lavoratori in Euskadi. Nelle Canarie, dove i nazionalisti governano con il Pp, Sanchez è riuscito comunque a strappare il sostegno garantendo circa 1.000 milioni di euro, trasporti gratuiti, maggiori interventi pro Lgbt e con la promessa di dare il via a nuove regole per i minori extracomunitari non accompagnati, che arrivano numerosi pure nell’arcipelago. Cristina Valido, deputato di Cc, ha però detto che rimane contraria all’amnistia promessa agli indipendentisti catalani. L’accordo con Carles Puigdemont, l’ex presidente del governo catalano latitante in Belgio (e privato dell’immunità parlamentare lo scorso luglio, per decisione del tribunale dell’Unione europea) è un attentato alla Costituzione come molti giudici spagnoli stanno denunciando allarmati. Composto di quattro pagine firmate giovedì dal segretario dell’Organizzazione del Psoe, Santos Cerdán, assieme al segretario generale di Junts, Jordi Turull, include l’amnistia per i casi di lawfare, in cui sarebbero stati utilizzati strumenti di tipo giuridico per conseguire obiettivi strategici. In questo modo verranno amnistiati politici separatisti e cittadini, finiti a processo prima e dopo le consultazioni popolari del 2014 e il referendum illegale del 2017. Puigdemont non sarà processato per terrorismo. Sempre secondo l’accordo, sarà consentita l’indipendenza fiscale, senza dover versare imposte allo Stato spagnolo, ed è stato promesso un referendum per l’autonomia della Catalogna. Sull’amnistia concessa da Sanchez lo scontro è continuo. Avvocati e procuratori catalani non ne vogliono sapere perché è un attacco allo stato di diritto. Giovedì sera, a Madrid, nel settimo giorno di protesta davanti alla sede del Psoe c’erano 8.000 persone a dire no agli accordi con Junts. Manifestazione pacifica, che aveva preso il via davanti alla sede del Parlamento europeo (doveva essere presente anche il cofondatore di Vox, Alejo Vidal-Quadras, ferito in un agguato poche ore prima), e poi degenerata per colpa di alcuni provocatori che hanno mandato in ospedale sette poliziotti. Sugli striscioni comparivano pure scritte in inglese, come «Europa salvaci da terrorismo» e «Il Psoe sta uccidendo la democrazia spagnola». Nelle stesse ore si protestava a Granada, a Barcellona scandendo «Viva Spagna» ma anche «Spagna cristiana, non musulmana», contro i ministri del governo simpatizzanti per Hamas. Manifestazioni si sono svolte a Valencia, Alicante, con la partecipazione di Vox, e ci sono stati attacchi vandalici ieri contro diverse sedi del Psoe, imbrattate da scritte. Sulle vetrate della sede a Bruxelles si leggeva «traditori», oltre a insulti nei confronti dei socialisti. Da ieri sera Sanchez è a Malaga, alla convention del Partito socialista europeo. «Un congresso cruciale per presentare le nostre priorità per le elezioni europee del prossimo anno», declamava. Al commissario Ue Paolo Gentiloni non è sembrato vero di poter esprimere «pieno appoggio» al processo di formazione del governo in Spagna. Quello che sta facendo il premier «è coerente con il nostro modello democratico europeo», ha detto.
Giorgia Meloni (Ansa)
Alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles, Giorgia Meloni ha riferito alle Camere tracciando le priorità del governo italiano su difesa, Medio Oriente, clima ed economia. Un intervento che ha confermato la linea di continuità dell’esecutivo e la volontà di mantenere un ruolo attivo nei principali dossier internazionali.
Sull’Ucraina, la presidente del Consiglio ha ribadito che «la nostra posizione non cambia e non può cambiare davanti alle vittime civili e ai bombardamenti russi». L’Italia, ha spiegato, «rimane determinata nel sostenere il popolo ucraino nell’unico intento di arrivare alla pace», ma «non prevede l’invio di soldati nel territorio ucraino». Un chiarimento che giunge a pochi giorni dal vertice dei «volenterosi», mentre Meloni accusa Mosca di «porre condizioni impossibili per una seria iniziativa di pace».
Ampio spazio è stato dedicato alla crisi in Medio Oriente. La premier ha definito «un successo» il piano in venti punti promosso dal presidente americano Donald Trump, ringraziando Egitto, Qatar e Turchia per l’impegno diplomatico. «La violazione del cessate il fuoco da parte di Hamas dimostra chi sia il vero nemico dei palestinesi, ma non condividiamo la rappresaglia israeliana», ha affermato. L’Italia, ha proseguito, «è pronta a partecipare a una eventuale forza internazionale di stabilizzazione e a sostenere l’Autorità nazionale palestinese nell’addestramento delle forze di polizia». Quanto al riconoscimento dello Stato di Palestina, Meloni ha chiarito che «Hamas deve accettare di non avere alcun ruolo nella governance transitoria e deve essere disarmato. Il governo è pronto ad agire di conseguenza quando queste condizioni si saranno materializzate». In quest’ottica, ha aggiunto, sarà «opportuno un passaggio parlamentare» per definire i dettagli del contributo italiano alla pace.
Sul piano economico e della difesa, la premier ha ribadito la richiesta di «rendere permanente la flessibilità del Patto di stabilità e crescita» per gli investimenti militari, sottolineando che «il rafforzamento della difesa europea richiede soluzioni finanziarie più ambiziose». Ha poi rivendicato i recenti riconoscimenti del Fondo monetario internazionale e delle agenzie di rating, affermando che «l’Italia torna in Serie A» e «si presenta in Europa forte di una stabilità politica rara nella storia repubblicana».
Nel passaggio ambientale, Meloni ha annunciato che l’Italia «non potrà sostenere la proposta di revisione della legge sul clima europeo» se non accompagnata da «un vero cambio di approccio». Ha definito «ideologico e irragionevole» un metodo che «pone obiettivi insostenibili e rischia di compromettere la credibilità dell’Unione».
Fra i temi che l’Italia porterà in Consiglio, la premier ha citato anche la semplificazione normativa - al centro di una lettera firmata con altri 15 leader europei e indirizzata a Ursula von der Leyen - e le politiche abitative, «a fronte del problema crescente dei costi immobiliari, soprattutto per i giovani». In questo ambito, ha ricordato, «il governo sta lavorando con il vicepresidente Salvini a un piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie».
Nel giorno del terzo anniversario del suo insediamento, Meloni ha infine rivendicato sui social i risultati del governo e ha concluso in Aula con un messaggio politico: «Finché la maggioranza degli italiani sarà dalla nostra parte, andremo avanti con la testa alta e lo sguardo fiero».
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