2025-10-22
Kiev perde il Donbass pure di diritto
Volodomyr Zelensky (Ansa)
Non c’è solo la realpolitik: le norme internazionali prevedono che si abbia sovranità su un territorio solo quando si riesce a esercitarvi un potere ordinato alla giustizia.La questione dello status giuridico del Donbass, al crocevia tra il diritto costituzionale ucraino e il diritto internazionale pubblico, rappresenta una delle più complesse tensioni della modernità giuridica, dove la forma dello Stato si dissolve nella sostanza dei rapporti di forza e la norma positiva fatica a contenere il principio, più antico e profondo, di giustizia politica. La Costituzione della Repubblica di Ucraina del 1996, all’art. 2, proclama il principio di unità ed indivisibilità, sancendo che l’Ucraina è uno Stato unitario e che il suo territorio all’interno dei confini esistenti è indivisibile e inviolabile. Tale formulazione colloca l’integrità territoriale tra i fondamenti costituzionali dell’ordinamento, riconducendo ogni pretesa secessionista nell’alveo dell’illiceità interna. Tuttavia, come spesso accade nelle situazioni di crisi politica, la rigidità del Testo costituzionale si è trovata di fronte alla flessibilità del diritto internazionale e, più ancora, al realismo della storia. Il diritto internazionale contemporaneo, infatti, non può ignorare il principio di autodeterminazione dei popoli, che costituisce una delle pietre angolari della Carta delle Nazioni Unite del 1945 (art. 1, § 2) e del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 (art. 1). Tale principio, come affermato anche nella giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia, possiede una duplice dimensione: interna, che implica la libertà di un popolo di determinare il proprio assetto politico all’interno di uno Stato esistente, ed esterna, che può giungere, in casi estremi, fino alla secessione, qualora un popolo sia privato dei mezzi per esercitare la propria autodeterminazione all’interno dell’ordine costituzionale. Nell’interpretazione restrittiva prevalente, tuttavia, l’autodeterminazione esterna, la c.d. «remedial secession», è ammissibile solo in presenza di violazioni gravi e sistematiche dei diritti fondamentali, tali da rendere impossibile la partecipazione effettiva alla vita politica dello Stato. Ora, nel caso del Donbass, il principio di autodeterminazione è stato invocato da attori locali e dalla Federazione russa in un contesto di conflitto armato e di interferenze geopolitiche e questo ne rende ambigua la qualificazione giuridica. Formalmente, le «Repubbliche popolari» di Donetsk e Luhansk hanno proclamato la loro indipendenza nel 2014 sulla base di consultazioni popolari non riconosciute né dal governo di Kiev, né dalla comunità internazionale, violando il principio di integrità territoriale sancito dalla Carta Onu (art. 2, § 4). Sul piano sostanziale, però, esse hanno invocato la medesima ratio che aveva giustificato, in altri casi, processi di autodeterminazione, dall’Eritrea al Sud Sudan, sostenendo l’impossibilità di convivere all’interno di uno Stato percepito come ostile alla loro identità linguistica, culturale e storica. La Corte costituzionale dell’Ucraina, sia pure con riferimento alla Crimea, nella decisione n. 3-рп/2014, ha ritenuto, com’era ampiamente prevedibile, incostituzionale il referendum per l’indipendenza della Crimea e della città di Sebastopoli proclamata in data 20 marzo 2014, affermando che il territorio dell’Ucraina è inviolabile e non può essere modificato se non attraverso un referendum di tutta la nazione. Tutto questo dimostra che è sul piano della legittimità più che su quello della legalità che si gioca la questione del Donbass. La forza normativa del diritto internazionale, che in materia di autodeterminazione ha assunto oramai una dimensione di «ius cogens», impone di interrogarsi sul limite della sovranità costituzionale quando essa cessi di essere ordinata al bene comune. In questo senso, la riflessione del diritto naturale classico ci mostra come la supremazia politica e giuridica perda la propria legittimità quando la volontà di governo si traduce in forme di controllo su comunità che non si riconoscono più in quell’ordine politico e che non trovano in esso possibilità di fioritura. Ciò non implica che il Donbass «appartenga» alla Federazione russa secondo un titolo giuridico riconosciuto, ma che l’Ucraina, nella misura in cui non riesce più a esercitare un potere ordinato alla giustizia su quella regione, ne ha perduto la sovranità in senso sostanziale. La sovranità, infatti, non è solo un fatto, ma una relazione di giustizia: si possiede un territorio non perché lo si controlla, ma perché si è in grado di ordinare il suo bene. La tesi, spesso evocata in termini pragmatici dal presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, secondo cui il Donbass è perduto per l’Ucraina, trova così una lettura non nel linguaggio della geopolitica, quanto in quello più profondo del diritto naturale e della filosofia politica. *Ssml/Istituto di grado universitario San Domenico di Roma
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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