
L’annuncio di Urso dopo l’incontro con il suo omologo turco e Arcelik, che controlla il marchio di elettrodomestici. Il ministro: «Al lavoro anche sulla fabbrica di Siena».Ci sono buone notizie per i lavoratori italiani della Beko, la ex Whirlpool venduta ai turchi l’anno scorso. Ieri, il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, ha incontrato a Istanbul il ministro dell’Industria e della tecnologia, Mehmet Fatih Kacir, alla presenza dei dirigenti della multinazionale Arcelik. Durante l’incontro è stato discusso il piano industriale di Beko Europe, controllata da Arcelik, che in Italia prevedeva la chiusura di due stabilimenti (Comunanza e Siena) e il taglio di quasi 2.000 posti di lavoro. La buona notizia è che il sito produttivo di Comunanza, in provincia di Ascoli Piceno, non chiuderà. Ad annunciarlo è stato ieri proprio Urso, durante la sua visita. «Lunedì prossimo illustreremo ai sindacati un piano che prevede il mantenimento del sito di Comunanza, oggi il più a rischio, e che, grazie agli investimenti programmati, rafforzerà il ruolo dell’Italia come piattaforma produttiva di alta gamma nel settore degli elettrodomestici», ha dichiarato Urso. Il ministro ha sottolineato l’importanza del dialogo, annunciando un ulteriore incontro con i sindacati per definire il percorso verso un piano industriale ambizioso e sfidante, che includa investimenti significativi per l’ammodernamento degli impianti e il potenziamento della ricerca e sviluppo. Questa strategia mira a rilanciare gli stabilimenti che un tempo facevano parte di Whirlpool Merloni, evidenziando come il mantenimento del sito di Comunanza, insieme con quelli delle Marche e della Lombardia, rappresenti un segnale positivo rispetto alle prospettive negative di pochi mesi fa.«Domani (oggi, ndr), al ministero, incontrerò il presidente della Regione Toscana e il sindaco di Siena per discutere la questione della proprietà dello stabilimento di Siena, affinché venga acquisito da una struttura pubblica e reso disponibile a potenziali investitori», ha dichiarato Urso. «Attualmente, con l’affitto che Beko versa per lo stabilimento, il costo è fuori mercato e nessuno riesce a mantenere una produzione competitiva. Pertanto, affronteremo il nodo di Siena alla radice, in modo che lo stabilimento possa essere preparato ad accogliere un nuovo investitore. Nel frattempo, Beko continuerà la produzione fino al 2025, garantendo l’occupazione per altri due anni», ha spiegato Urso. Il ministro ha aggiunto che questa soluzione potrebbe assicurare una «effettiva continuità produttiva».Del resto, ieri, il ministro ha espresso un crescente ottimismo sul dossier Beko, dichiarando di essere «ancora più fiducioso» dopo l’incontro con il ministro turco e i titolari dell’azienda. «Riteniamo che l’investimento della famiglia Koc nella filiera degli elettrodomestici italiani, vero orgoglio del made in Italy, possa essere ulteriormente valorizzato», ha aggiunto. Urso ha poi sottolineato come la fiducia sia cresciuta ulteriormente dopo il confronto con i dirigenti dell’impresa, evidenziando che i colloqui proseguono con i rappresentanti del Mimit, in particolare con il viceministro Fausta Bergamotto.Nel corso dell’incontro, inoltre, i ministri hanno deciso di dare vita a un tavolo di lavoro congiunto per definire accordi tra i Paesi, con particolare riferimento alle materie prime critiche, all’innovazione digitale e alle tecnologie green. «La relazione tra Italia e Turchia ha un valore strategico che va oltre la dimensione economica. I nostri due Paesi sono il ponte naturale tra l’Europa, il Mediterraneo e il Medio Oriente. Rafforzare la nostra cooperazione industriale significa contribuire alla stabilità della regione e creare nuove opportunità di sviluppo anche nel continente africano, così come indicato dal Piano Mattei del governo Meloni», ha concluso Urso.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






