
Per colpire Ivan Scalfarotto, l'autore della discussa legge spara sull'omofobia: termine vago.Da quando domenica, in prima pagina su Repubblica, è uscita la notizia di alcuni emendamenti da parte di Italia viva al ddl Zan, il clima festoso tra i sostenitori della legge contro l'omotransfobia è improvvisamente venuto meno, lasciando spazio a critiche velenose, frecciatine, perfino insulti. Così, dove prima risplendeva l'arcobaleno, ora volano stracci. Ad accendere la miccia dello scontro ci ha pensato direttamente il primo firmatario del ddl, Alessandro Zan. Il deputato del Pd, in una diretta su Facebook lunedì pomeriggio, ha preso di mira il partito di Matteo Renzi e, in particolare, l'idea di Italia viva di espungere dal testo già approvato alla Camera a novembre il concetto di identità di genere, riprendendo quelli di omofobia e transfobia contenuti nel ddl a suo tempo proposto da Ivan Scalfarotto. Una proposta giudicata irricevibile. «La locuzione “contro tutte le discriminazioni motivate da omofobia e transfobia" del testo Scalfarotto», ha spiegato Zan, «non si può utilizzare da un punto di vista giuridico. Perché in una proposta di legge si devono inserire termini neutri, per garantire la tassatività dell'azione penale». «Per questo abbiamo usato “identità di genere", “orientamento sessuale" e “sesso", che sono parole che comprendono tutti», ha concluso il dem. Ora, a parte che il ddl Scalfarotto fu firmato appena due anni fa pure dallo stesso Zan, il quale dunque dovrebbe spiegare come mai ieri sottoscriveva proposte che invece oggi boccia così sonoramente, comunque il parlamentare Pd sul punto ha ragione. Nel senso che, in effetti, «omofobia e transfobia» sono termini che difettano di precisione e univocità. Beninteso, la stessa identità di genere è in realtà un concetto di vaghezza notevole - tanto che il suo significato ricade nell'inafferrabile sfera delle «percezioni di sé» -ma non si può dire che «omofobia e transfobia» siano parole il cui senso sia da tutti condiviso.Da tale constatazione, però, scaturisce un dilemma di non poco conto, e cioè: perché allora questi termini, così poco «neutri» da non poter rientrare in una norma a detta di Zan, possono restare centrali sui media e, ancor prima, nel dibattito pubblico? L'ambiguità non dovrebbe esser rifiutata sempre? L'impressione è che omofobia e transfobia, proprio per la loro vaghezza, siano clave lessicali perfette in mano al movimento Lgbt, che grazie ad esse può bollare in malo modo chiunque si opponga ai diktat arcobaleno. Del resto, gli indizi che vanno in questo senso abbondano. Per dire, nel marzo 2017 perfino Repubblica venne accusata di omofobia solo perché in un articolo aveva definito «compagno» - anziché marito - il partner del premier lussemburghese Xavier Bettel. A muovere l'accusa sul suo profilo Facebook, manco a dirlo, fu proprio Ivan Scalfarotto. Lo stesso che oggi, per aver detto che «il ddl Zan è un'ottima legge, ma senza modifiche non passerà», è sotto il fuoco delle critiche. Per rendersene conto, basta farsi un giro su Twitter, dove Scalfarotto è descritto in un modo al cui confronto Giuda Iscaritota diventa un emblema di fedeltà: «Stai deludendo tanti di noi», «non ti vergogni?», «ipocrita», «pagliaccio». Questo il tenore dei commenti grandinati a decine sul suo profilo in queste ore.Per completezza, va precisato che i critici non sono stati più teneri con Matteo Renzi. Contro l'ex sindaco di Firenze e quanti osano giudicare emendabile il ddl Zan sono infatti scesi in campo nientemeno che i Ferragnez. «Fate schifo», è stato il raffinato commento della reginetta delle influencer postato sotto una foto di Renzi, mentre il marito, per non essere da meno, ha rincarato la dose: «Stai sereno Matteo, oggi c'è la partita. C'è tempo per spiegare quanto sei bravo a fare la pipì sulla testa degli italiani dicendogli che è pioggia».Così, tra richiami urinari e accuse di tradimento, sia Renzi sia Scalfarotto sono finiti nel tritacarne social di chi osa dissentire dal verbo Lgbt. Il risultato è quindi che il ddl Zan finirà nell'aula del Senato il 13 luglio, e non solo manca un accordo tra le forze di governo, ma potrebbero davvero non esserci i numeri. Del resto, se si pensa che l'ago della bilancia è ancora una volta nelle mani di Italia viva - che, come dimostra il naufragio del Conte bis, quando si impunta poi son dolori -, c'è da aspettarsi di tutto. Nel frattempo, per tornare a noi, non si può che ringraziare Alessandro Zan per aver confermato che omofobia e transfobia sono termini da prendere con le molle. Peccato che siano tra quelli che lui per primo, ogni santo giorno, usa di più.
Emanuele Fiano (Ansa)
L’ex deputato pd chiede di boicottare un editore ospite alla fiera patrocinata da Gualtieri e «reo» di avere un catalogo di destra.
Per architettare una censura coi fiocchi bisogna avere un prodotto «nero» ed etichettarlo con la dicitura «neofascista» o «neonazista». Se poi scegli un ebreo (si può dire in questo contesto oppure è peccato?) che è stato pure censurato come testimonial, hai fatto bingo. La questione è questa: l’ex parlamentare Pd, Emanuele Fiano, che già era passato alla cronaca come bersaglio dei pro Pal colpevoli di non averlo fatto parlare all’Università Ca’ Foscari di Venezia e contro il quale qualche idiota aveva mimato la P38, sta premendo per censurare una casa editrice colpevole di pubblicare dei libri pericolosi perché di destra. Anzi, di estrema destra.
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.






