2025-06-03
Se dà fastidio alla sinistra non votare diventa un reato
Referendum, la Meloni: andrò alle urne senza ritirare le schede. Atto lecito e normalissimo, ma Schlein e Conte si scatenano: «Vergogna, prende in giro l’Italia». Ecco cosa dicevano i progressisti fino a ieri.Votare è un diritto, ma se conviene alla sinistra diventa un dovere. Così il presidente del Consiglio non può dire che la prossima domenica, in occasione del referendum su lavoro e cittadinanza, ha intenzione di recarsi ai seggi e di ritirare la scheda elettorale ma non di votare. È un diritto di qualsiasi cittadino, il quale può decidere se votare oppure no, perché la legge non lo obbliga, ma lo lascia libero di scegliere. Però, siccome alla Cgil e al Pd e ai loro compagni la riuscita del plebiscito serve per sentirsi vivi e per rilanciare l’immagine dei propri leader, ecco che la volontà di esprimere la propria opinione - dicendo che non si metterà la croce né sul Sì né sul No all’abrogazione delle norme del Jobs act e delle regole per concedere la cittadinanza o per limitare la responsabilità civile in caso di infortunio -diventa un caso.Nei giorni scorsi ho già spiegato qual è la mia opinione sui quesiti imposti da Maurizio Landini in vista del suo addio al sindacato. La legge che regola il mercato del lavoro è in vigore da dieci anni, cioè da quando fu introdotta da Matteo Renzi, all’epoca segretario del Partito democratico. Perché il capo della Cgil in tutto questo tempo non ha ritenuto di dover convocare gli italiani per chieder loro se le modifiche allo Statuto dei lavoratori erano gradite o andavano cancellate? La risposta è ovvia: all’epoca i governi erano di sinistra e Landini non poteva attaccare i compagni. Dunque ha aspettato dieci anni, cioè un governo di centrodestra, per impugnare la bandiera della difesa degli interessi dei lavoratori. Guarda caso, il periodo della campagna coincide con l’approssimarsi della fine del suo mandato ai vertici della Confederazione e l’inizio della sua esperienza politica. Inutile dire che la mossa di Landini ha spinto Schlein e compagni ad accodarsi, per evitare di regalare troppo spazio al leader sindacale. Già questo basta e avanza per non prendere sul serio le motivazioni con cui la sinistra sta chiamando a raccolta gli elettori. Quella in corso non è una partita per cambiare il Paese, come dice il capo della Cgil, ma una sfida che mira a cambiare gli equilibri a sinistra. In pratica, una faccenda interna, dove Schlein e soci più che al futuro del lavoro sono interessati al proprio.Tuttavia, non c’è solo la debolezza delle argomentazioni a sostegno dei referendum (quello sulla cittadinanza punta solo a trasformare un po’ di immigrati in elettori, nella speranza che alle prossime consultazioni premino la parte che ha regalato loro il diritto di voto): c’è pure la risibile polemica sul dovere di votare. Siccome Landini e Schlein sperano di raggiungere il quorum (senza il quale il plebiscito non ha validità) o per lo meno di raccogliere un numero di votanti che li faccia sognare di poter diventare un giorno maggioranza nel Paese, la decisione di Meloni di non ritirare la scheda ha scatenato una serie di reazioni. La segretaria del Pd ha accusato il presidente del Consiglio di prendere in giro gli italiani e di voler affossare il referendum. Giuseppe Conte, invece, si dice indignato ma non stupito, aggiungendo che il messaggio del premier è vergognoso, soprattutto perché arriva il 2 giugno, festa della Repubblica (il 31 maggio o il 3 giugno evidentemente andavano meglio: dunque è solo una questione di date).La realtà è che in passato ognuno ha sponsorizzato i referendum che gli facevano comodo, cercando di affossare con la mancata partecipazione quelli avversati. Tanto per dire, Giorgio Napolitano da presidente della Repubblica difese il diritto di non votare il plebiscito sulle trivelle in Adriatico, dicendo che era «un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa». Sergio Mattarella, da vicepresidente del Consiglio (governo D’Alema) disse che «ogni elettore aveva diritto di scegliere cosa fare», cioè se votare oppure no. I Ds, cioè la versione precedente della sinistra al potere, addirittura nel 2003 fecero campagna elettorale per l’astensione, con tanto di manifesti di cui ancora in archivio si trovano le copie.Dunque? Rinunciare a votare, usando l’astensione per affossare i referendum, si può, è un diritto e anche un modo per «esprimersi sull’inconsistenza di un quesito», disse il capo dello Stato nel 2015. Altro che paura del voto, come sostiene Elly Schlein: sono il Pd e la Cgil a temere il flop. Per questo si agitano tanto.
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