2025-11-01
Soldi, poca trasparenza e veti. Il Comitato del «No» alla riforma della giustizia parte male
Nello statuto della creatura nata nella sede dell’Anm a difesa della Costituzione per il No, fondi e un budget da 500.000 euro.Si chiama Comitato nazionale a difesa della Costituzione per il No. La sede è negli uffici dell’Associazione nazionale magistrati a Roma. Non è un’associazione. È qualcosa di più sfuggente: un comitato a trazione togata. Con uno statuto firmato e approvato il 13 giugno 2024. Non ha «scopo di lucro», ma un intento immediato: promuovere la vittoria del «No». La missione dei nemici della riforma finisce qui. È una creatura a tempo determinato, programmata per promuovere una battaglia e poi dissolversi. La catena di comando, però, è chiara. Il Comitato «darà attuazione alle direttive generali fissate dal Comitato direttivo centrale dell’Associazione nazionale magistrati». A livello organizzativo è tutto disciplinato. Il Consiglio direttivo è composto dal presidente pro tempore dell’Anm Cesare Parodi e dai soci fondatori. Ma c’è una cinquina nominata «dai soci costituenti con decisione unanime». Un presidente esecutivo: Antonio Diella, presidente della Prima sezione penale del tribunale di Foggia e già presidente per diversi mandati dell’Unitalsi, l’associazione cattolica che si occupa del servizio per gli ammalati e del loro trasporto nei vari pellegrinaggi. Proprio a Diella nell’ottobre 2021 i cronisti di Report, la trasmissione Rai condotta da Sigfrido Ranucci, chiesero lumi su una strana storia di fondi che sarebbero stati distratti da dirigenti per comprare ville in Sardegna e auto di lusso ma anche per elargire benefit familiari. Il tutto con i fondi dei pellegrini. Una storia di denaro, ricostruì Report, tra assegni girati, furti in cassaforte e perfino un video a luci rosse che in quel momento incrinò l’immagine dell’associazione. E proprio Ranucci, a margine del servizio, commentò: «Ci sono piaciuti moltissimo soprattutto i volti puliti dei volontari che aiutano l’associazione. Ci è piaciuto un po’ meno, invece, sapere che la denuncia per questi fatti sia stata presentata da una sezione locale e non dalla presidenza nazionale Unitalsi, anche se aveva a capo un magistrato». Nella cinquina ci sono poi due vicepresidenti. Uno vicario: Marinella Graziano, giudice del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. L’altro ha anche funzione di segretario: è Gerardo Giuliano, giudice della Corte d’appello di Napoli e già presidente della sezione avellinese dell’Anm. Infine, c’è una tesoriera: Giulia Locati, pasionaria di Magistratura democratica, in prima fila a Torino all’inaugurazione dell’anno giudiziario con Costituzione in mano e coccarda tricolore sul petto. Sarà lei ad amministrare le donazioni raccolte. Che, stando allo statuto, finiscono tutte nel «fondo nazionale del Comitato». La quota stabilita (che non è nello statuto e probabilmente è stata fissata durante una delle assemblee) è di 20 euro pro capite, alla quale si aggiungono le donazioni delle correnti e un finanziamento del Comitato direttivo centrale dell’Anm, che, secondo quanto ha ricostruito Il Dubbio, il 15 settembre scorso, ha deliberato (con l’astensione di Natalia Ceccarelli e di Andrea Reale del gruppo dei CentoUno) che il Comitato del No potrà spendere massimo 500.000 euro per la campagna referendaria. «Somma che», secondo il quotidiano, «potrà essere oggetto di revisione». Con molta probabilità gran parte delle donazioni raccolte finirà in azioni di comunicazione. O, almeno, è quello che si deduce da un comunicato del Comitato direttivo centrale, che «ha stanziato i fondi necessari perché si possa coordinare una campagna comunicativa moderna ed efficace, attingendo alle proprie risorse interne e contando anche sulle maggiori entrate garantite dall’aumento della quota associativa già deliberata nel luglio scorso». Di certo non ci sarà un rientro di quelle somme, visto che per questo tipo di referendum non sarebbero previste contribuzioni pubbliche. Sarà la tesoriera a «rendicontare trimestralmente al Consiglio direttivo gli incassi e le spese effettuate e a presentare il bilancio finale di cessazione del Comitato». Con un limite: nello statuto non si fa riferimento a come le donazioni devono essere registrate, non si dice se debbano essere tracciate e neanche se debbano essere pubblicate. Il tesoriere, stabilisce lo statuto, «può effettuare pagamenti deliberati dal Consiglio direttivo in favore di terzi, rilasciando quietanza». La trasparenza, in fondo, è un concetto elastico. Al quale va collegato, però, un dettaglio che rivela grande prudenza: «Perché il Comitato inizi la sua attività […] dovrà essere stata stipulata la polizza assicurativa per la responsabilità civile». È l’articolo 12. Secco come un colpo di martello. Una clausola inserita, con molta probabilità, perché l’ultimo punto dello statuto richiama alle responsabilità: «Per quanto non espressamente previsto si applicano gli articoli 39 e seguenti del Codice civile». Ovvero quelli che ricordano agli amministratori, tutti giuristi, che rispondono con i propri beni personali per eventuali debiti o impegni. Le riunioni si possono convocare anche «telefonicamente in caso di urgenza». Può entrare chi «manifesterà disponibilità rispondendo all’interpello dell’Amn» e chi «condividerà integralmente le finalità del Comitato». Ma è vietato l’ingresso a chi «abbia o abbia avuto incarichi in partiti politici» o «abbia svolto attività con finalità elettorali». Un concetto sbandierato anche pubblicamente dai promotori. Le delibere di ammissione o esclusione vengono prese dal Consiglio direttivo a maggioranza assoluta. C’è pure una clausola reputazionale: è fuori chi «manca di requisiti che possano inficiare il decoro dell’azione civica promossa dal Comitato». Non è dato sapere chi stabilisca i codici di decoro, ma il tono lascia intendere che la selezione sarà severa. E questa volta sembra che ci sia poco spazio per le interpretazioni.Ultima notizia: per non farsi mancare nulla, il comitato ha anche un presidente onorario, figura senza poteri ma dal valore simbolico: rappresenta «i principi ispiratori del Comitato». Si chiama Enrico Grosso, 59 anni, torinese, costituzionalista della scuola di Gustavo Zagrebelsky e proviene da una dinastia di giuristi (e di politici): è figlio del penalista Carlo Federico e nipote dell’ex sindaco torinese scudocrociato Giuseppe. Un antenato politico per una battaglia tutta politica.
Edmondo Cirielli (Imagoeconomica)
Il palazzo dove ha sede Fratelli d'Italia a Parma
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