2025-02-06
È rinsecchito come i suoi sponsor, ma la sinistra non sa proprio rinunciare all’Ulivo
Walter Veltroni e Romano Prodi (Ansa)
Da Prodi a Franceschini, i padri nobili dell’accozzaglia tornano a spingere il progetto che ha lasciato dietro di sé tradimenti, faide, voltagabbana e quattro governi defunti.«Ulivo lì, ulivo là, ulivo lì, ulivo Saclà». Venghino, siori, venghino: nel bazar della politica, è ricicciato l’Ulivo di prodiana memoria. La confusione regna sovrana, nel campo (santo) dell’opposizione.Mentre ferve er dibbattito sulla provocazione di Dario Franceschini, marciare divisi alle prossime elezioni, colpire uniti nei collegi uninominali.Il «lodo Franceschini», per quel sofisticato leguleio che è Giuseppe Conte, ma solo perché «frodo» se l’è già accaparrato Arianna Meloni, in tutt’altro contesto.In prima fila nella celebrazione del trentennale ulivista è da giorni Repubblica, riproponendo le cronache dell’epoca, come quella di Gianluca Luzi del 3 febbraio 1995, che annunciava urbi et orbi: «Corteggiato, sollecitato, pregato, Romano Prodi ha rotto gli indugi: è disposto a scendere in campo». L’edizione bolognese del quotidiano ha financo ricordato come la prima sede del comitato a Bologna fosse sopra la salumeria della famiglia di Giovanni Tamburini.«Ancora oggi il diretto interessato», scrive il giornale, «si sente in parte responsabile del nomignolo malevolo affibbiato dagli avversari: Mortadella. “Forse fu colpa mia, perché, dopo le riunioni, venivano tutti a mangiare giù in negozio”».L’Ulivo come un magic moment, tra epica e mistica, etica e cotica, toni aulici e nostalgici, «penso che un sogno così non ritorni mai più / mi dipingevo le mani e la faccia di olio di oliva».Ma fu vera gloria?1 Superò nel 1996 il centrodestra di Silvio Berlusconi, trionfante nel 1994 contro la «gioiosa macchina da guerra» di Achille Occhetto. Ma il Polo delle Libertà (a conferma del fatto che le coalizioni felici si assomigliano tutte, quelle infelici lo sono ognuna a modo suo) si sfasciò dopo pochi mesi. Il Ppi di Rocco Buttiglione e la Lega di Umberto Bossi, alleati di Silvio, si schierarono con il Pds per far fuori il puzzone di Arcore. Il tutto siglato con il celebre «patto delle sardine» gustate con pan carrè, una mappazza preparata dal Senatur che a casa non aveva altro. «Preferii digiunare», raccontò poi Massimo D’Alema «quel frugale pasto fu consumato da Bossi e Buttiglione». Che peraltro in seguito torneranno alla mensa del Cavaliere. 2 Siccome nella politica italiana «la linea più breve tra due punti è l’arabesco» (Ennio Flaiano), alle elezioni del 1996 si arriverà con il primo «governo tecnico», formula evergreen cui si ricorre per dissimulare una manovra di Palazzo. Nel gennaio 1995 nasce infatti - sponsor: il Pds - l’esecutivo di Lamberto Dini. Ma non era ministro del Tesoro con Berlusconi? Vabbè, ma che stai a guarda’, er capello? (Si noti: quando i passaggi avvengono da destra a sinistra, trattasi di recupero delle facoltà cognitive; al contrario, di un lurido mercimonio). Ministro degli Esteri di Dini era Susanna Agnelli, in lampante «soffritto d’interessi» - visti i corposi interessi della Fiat in giro per il mondo - davanti al quale, ma tu pensa, non ci fu manco un’alzata di sopracciglia.3 Nasce il governo dell’Ulivo. Con ministri antropologicamente distanti: Beniamino Andreatta e Giorgio Napolitano, Carlo Azeglio Ciampi e Antonio Di Pietro. Una maggioranza composita e variopinta, un Uliwood Party in cui mancava solo la tribù degli Indiani Cicorioni. Ex comunisti del Pds con ex Dc del Ppi. Il Rinnovamento Italiano di Dini, che si accaserà alla Farnesina. I verdi. L’Unione democratica di Antonio Maccanico. La Sinistra repubblicana di Giorgio Bogi. Il Patto di Mario Segni. Socialisti. Laburisti. I Comunisti «unitari» di Lucio Magri e Famiano Crucianelli. In appoggio esterno: Rc, la Rifondazione comunista di Fausto Bertinotti, e la Rete di Leoluca Orlando. Più che uno schieramento, una partouze.4 L’allegro caravanserraglio regge fino a ottobre 1998. Rc si spacca: Armando Cossutta e Oliviero Diliberto vogliono rimanere con Prodi, Bertinotti no. L’8 ottobre Prodi chiede la fiducia, leggenda vuole perché il sardo (d’adozione) Arturo Parisi lo rassicurò sui numeri, «rocciosi come un nuraghe». E difatti: il 9 la Camera abbatte Prodi per un voto (313 no, 312 voti sì, forse anche per una congiura confessata, ma poi smentita, da Franco Marini, ordita con Francesco Cossiga e D’Alema, obiettivo: il Líder Máximo al governo, Marini al Quirinale, dove invece approdò Ciampi), e il Professore torna a Bologna.5 A seguire: il governo D’Alema, vicepremier Sergio Mattarella, che dura un annetto, fino a dicembre 1999. Anche grazie all’Udr di Francesco Cossiga, in cui si ritrovano, assortiti non si sa come, Buttiglione, Clemente Mastella e Bruno Tabacci (quest’ultimo sarà poi nell’Udc con Pierferdinando Casini e Marco Follini, al fianco di Berlusconi dal 2001). Buttiglione e i suoi Cdu, Cristiani democratici uniti, però ci ri-ripensano, e s’intruppano con l’opposizione, l’Udr si sfarina ma, oplà, nasce l’Udeur con il solo Clemente da Ceppaloni, e Baffino succede a sÈ stesso. 6 Per soli cinque mesi, però. Nell’aprile 2000, D’Alema si dimette, avendo scommesso (anche a causa di sondaggi sballati) su un buon risultato alle elezioni regionali, che invece premiano la Cdl, la Casa delle Libertà. 7 Diventa premier Giuliano Amato. Per la seconda volta, dopo il 1992, quando nottetempo decise il famigerato «prelievo forzoso» del 6 per mille dai conti correnti di tutti noi, per salvare l’Italia dal baratro del crac finanziario (a proposito di «segreto di Stato»: segnalo le parole di Andrea Monorchio, già a capo della Ragioneria dello Stato, che nel settembre scorso al Corriere della Sera ha rivelato: «Quando i verbali di quella riunione del Consiglio dei ministri verranno desecretati, si vedrà che tra i provvedimenti citati quello sul prelievo forzoso non è agli atti. Per non menzionarlo, Amato si trincerò dietro uno scioglilingua e passò oltre». Capito? Supercazzole e verbali secretati. Ancora oggi. La destra maldestra di Giorgia Meloni è proprio un impiastro: non ha imparato da una certa sinistra come si cancellano tracce e impronte digitali).8 2001. Fine della legislatura. Chi deve affrontare lo sfidante Berlusconi? «E allora beccatevi Cicciobello» commenterà perfido Amato scoprendo che i suoi, ingrati, hanno scelto Francesco Rutelli, declassato da Prodi a «nu’ bello guaglione». «Il bello contro il ricco» riassumerà il settimanale tedesco Spiegel, mentre a Gianni Agnelli fu attribuita una battuta velenosa: «Con Amato, avrebbero almeno perso con dignità. Ma così...». Arrivò puntuale smentita, ma la profezia era azzeccata. Il centrodestra stravinse, in Sicilia finì addirittura a 61 eletti a 0. «Con questo gruppo dirigente non vinceremo mai!» tuonerà a piazza Navona Nanni Moretti nel 2002, alle sue spalle la nomenklatura ulivista, terrea.9 Nel 2006 il centrosinistra prevale di nuovo, ma l’Ulivo è stato rottamato a favore dell’Unione, con un volume di proposte di 281 pagine (!), una mattonata «mai sfogliata da anima viva», chioserà sardonico l’ex direttore dell’Espresso Claudio Rinaldi, preceduto da un ineguagliabile aforisma di D’Alema: «Il programma è quella cosa che tutti invocano quando non c’è, e che nessuno legge quando c’è». Prodi stabilirà comunque tre record: a) aver battuto due volte il Cavaliere; b) essersi ritrovato alla guida dell’esecutivo più affollato, causa appetiti partitocratici, della storia (102 poltrone, tra ministri, vice e sottosegretari, Giulio Andreotti nel 1991, con il suo settimo governo, si era fermato a 101); c) venire rimandato a casa - di nuovo! - dopo due anni.: A «licenziarlo» fu Walter Veltroni, che da primo segretario del neonato Pd affossa l’Unione, il Pd «a vocazione maggioritaria» sarebbe andato alle elezioni da solo. Ma anche Bertinotti, presidente della Camera, ci mise del suo, consegnando a Repubblica, 2007, un epitaffio al curaro: «Di Prodi mi viene da dire quello che Flaiano disse di Vincenzo Cardarelli: il più grande poeta morente». Risultato: nel 2008 il Cavaliere, arieccolo, riconquista palazzo Chigi.Morale: nell’unica legislatura targata tutta «centrosinistra» (1996-2001), l’Ulivo ha cambiato 4 governi, 3 premier e poi ha tirato fuori dal cilindro l’ex sindaco di Roma Rutelli. In quella del 2006, dopo due anni ha riconsegnato l’Italia a Berlusconi.Incontri, scontri, faide, pugnalate alle spalle, cambi di casacca, riconciliazioni e divorzi ne hanno sfregiato l’epopea.Un accrocchio tenuto insieme da un unico collante: l’antiberlusconismo.Sostituito oggi dall’antimelonismo, per vendicare la marcia - elettorale - su Roma del 2022.Rifare l’Ulivo? Mirella Serri, saggista non sospettabile di simpatie destrorse, ha scritto a Repubblica: «Trascorsi 30 anni, il dibattito politico a sinistra lo capeggiano ancora i medesimi due navigatori di lunghissimo corso, Prodi e Franceschini. L’incapacità dei progressisti di risalire la china non sarà dovuta a questa sclerosi della leadership, all’inettitudine nell’individuare e promuovere nuovi maître à penser in sostituzione di politici giurassici che non conoscono letargo?».Risposta di Francesco Merlo: «La sinistra è imprigionata nel déjà vu». Fine.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)