2023-05-14
La sinistra in lite su Rovelli oscurato tenta di affibbiare la colpa al governo
Riccardo Franco Levi, commissario per la Fiera del libro di Francoforte vicino a Romano Prodi e Dario Franceschini, ha annullato l’invito al fisico «putiniano» per le critiche a Guido Crosetto, negando però pressioni dall’esecutivo. Editori in rivolta.Da un certo punto di vista, il triste spettacolo è stato anche molto opportuno, poiché ha permesso di scattare una fotografia piuttosto nitida del «bel mondo» culturale italiano: un angusto recinto dentro cui prosperano invidie, piccinerie, meschinità e codardia. Questa pochezza d’animo è stata la causa scatenante della pantomima sviluppatasi attorno al professor Carlo Rovelli e alla sua (forse confermata, forse no, boh) partecipazione alla Buchmesse, la fiera del libro di Francoforte, in rappresentanza dell’Italia. Lo psicodramma è esploso venerdì sera quando lo stesso Rovelli ha pubblicato un algido post su Facebook. «L’Italia mi ha chiesto di rappresentarla alla cerimonia di apertura della Fiera del libro di Francoforte, ma siccome ho osato criticare il ministro della difesa, il mio intervento è stato cancellato», ha scritto. Il riferimento era ovviamente alla polemica che Rovelli aveva ingaggiato dal palco del primo maggio con Guido Crosetto. Sullo sfondo, però, c’era molto altro, in particolare le posizioni del fisico riguardo alla guerra in Ucraina, idee che nei mesi scorsi gli sono valse numerose accuse di putinismo. Ma vediamo i fatti.Rovelli ha pubblicato sui social una email che gli ha inviato venerdì Riccardo Franco Levi. Il testo della letterina era un turbinio di eufemismi e giri di parole. «Professore carissimo», ha scritto Levi. «Il clamore, l’eco, le reazioni che hanno fatto seguito al suo intervento al concerto del primo maggio mi inducono a pensare, mi danno, anzi, la quasi certezza, che la sua lezione che così fortemente avevo immaginato e voluto per la cerimonia di inaugurazione della Buchmesse con l’Italia ospite d’onore diverrebbe l’occasione non per assaporare, guidati dalle sue parole, il fascino della ricerca e per lanciare uno sguardo ai confini della conoscenza, ma, invece, per rivivere polemiche e attacchi. Ciò che più di ogni altra cosa sento il dovere di evitare - e di questo mi prendo tutta, personale la responsabilità - è che un’occasione di festa e anche di giusto orgoglio nazionale, si trasformi in un motivo di imbarazzo per chi quel giorno rappresenterà l’Italia». Tradotto: caro Rovelli, ti devo revocare l’invito per evitare casini, sia mai che io perda il posto. Ora qualche precisazione. Riccardo Franco Levi, storico collaboratore di Romano Prodi, è stato scelto come commissario per la Fiera del libro di Francoforte dal precedente ministro della Cultura, Dario Franceschini. Non è chiaro, però, su mandato di chi avrebbe agito in questo frangente. Guido Crosetto, ieri mattina, si è chiamato fuori dalla querelle con un tweet: «Qualcuno decide che Carlo Rovelli non parteciperà alla Fiera di Francoforte», ha cinguettato. «A quanto leggo dalla lettera che lui stesso ha pubblicato, è un suo amico. Che non conosco, se non per essere stato sottosegretario con Prodi. Quindi lasciatemi fuori dalle vostre polemiche». Qualche ora dopo è intervenuto anche Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura, con un comunicato piuttosto chiaro: «Apprendo con somma sorpresa della vicenda, per me inedita, del fisico Rovelli invitato ad aprire la Buchmesse di Francoforte e della successiva lettera del commissario che cura l’organizzazione. Come lo stesso dottor Levi potrà confermare ero all’oscuro sia partecipazione del professor Rovelli, che non conosco, sia della successiva modifica di intendimenti», ha scritto Sangiuliano. Che ha chiuso la dichiarazione con una elegante punzecchiatura: «In generale, avendo subito censure, sono contrario ad infliggerle ad altri». Ma chi è stato allora a mettere in moto la macchina censoria? Beh, a quanto pare ha fatto tutto il geniale Levi, il quale è stato più realista del re, e più sottomesso dei servi. Certo, se a invocare la censura fosse stato un esponente della destra, la faccenda sarebbe stata doppiamente grave, poiché una parte politica che in questi anni ha subito discriminazioni e restrizioni alla libertà di parola non può permettersi, una volta al potere, di tappare la bocca ad altri. Il fatto è che, a quanto risulta, da destra nessuno si è sognato di pretendere mordacchie o sanzioni.A confermarlo è stato, ieri sera, Franco Levi medesimo, tramite un grottesco comunicato. «A seguito del dibattito che si è sviluppato in coda alle mie decisioni sulle modalità di partecipazione alla Fiera del libro di Francoforte 2024, confermo di aver espresso le mie scelte nella qualità di commissario straordinario, senza aver ricevuto alcuna pressione o sollecitazione e per adempiere con rigore alla responsabilità istituzionale che mi è stata conferita», ha scritto. Per poi concludere: «In risposta alle molte voci che si sono levate dal mondo della cultura, rinnovo l’invito al professor Carlo Rovelli a partecipare alla cerimonia di inaugurazione di Francoforte 2024, per condividere con tutti noi la bellezza della ricerca e il valore della conoscenza». Tocca sghignazzare per non piangere. Prima Levi, a quanto sembra di sua iniziativa, ha revocato l’invito. Poi ha avuto la faccia tosta di smentirsi e pontificare sulla libertà di espressione. Tutto finito? Mica tanto. Un supplemento di riflessione lo merita senz’altro l’atteggiamento esibito dalla sinistra italiana. Sulla vicenda si sono giustamente espressi vari editori (Adelphi e Feltrinelli su tutti), e con un certo ritardo si è mossa a sostegno di Rovelli pure l’Aie (associazione italiana di categoria). Ma sono stati parecchi anche i politici e gli intellettuali progressisti che hanno voluto prendere posizione sulla censura, con toni indignatissimi. Molti di loro, da Concita De Gregorio in giù, non hanno perso l’occasione per scagliarsi contro il governo «fascista e liberticida». Nicola Fratoianni si è spinto a dire che l’Italia della Meloni «punisce gli intellettuali per le loro idee». Già, solo che tutto è iniziato e finito con le pagliacciate di Levi, uno che di destra non è, e che forse a questo punto farebbe bene a dimettersi per decenza. Soprattutto, vien da pensare che gli scandalizzati dell’ultima ora farebbero meglio a rimuginare su ciò che hanno fatto in questi anni. Non possiamo dimenticare la furia con cui la sinistra italica si è dedicata alla caccia al putiniano, sbattendo con ferocia i presunti mostri in prima pagina e cercando traditori in ogni angolo. La (tentata) censura ai danni di Rovelli è stata soltanto l’ultimo e vigliacco episodio di una lunga serie. Esaurito lo psicodramma, può darsi che alla fine Rovelli a Francoforte ci vada, ma la clamorosa figuraccia dei boiardi del culturame italiano è difficile da cancellare. Sospettiamo che le vergini rifatte che hanno gridato alla censura fascista nel tentativo di cavarne vantaggio politico eviteranno di scusarsi o rettificare. E sospettiamo pure che se non si fosse trattato di Rovelli ma di altro intellettuale leggermente meno riconducibile alla grande famiglia sinistrorsa non ci sarebbero state queste levate di scudi. Comunque sia, è stato uno spettacolo scandaloso. Però, come sempre, è opportuno che gli scandali si verifichino: vedano pure i tedeschi e gli altri europei come l’egemonia dei «migliori» ha ridotto la cultura italiana. E vedano gli italiani con quanta facilità si piegano coloro che dovrebbero rappresentarli.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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