2021-03-17
La sinistra contro il buonismo arriva tardi
Amanda Gorman e Natalia Aspesi (Ansa)
Natalia Aspesi su «Repubblica» critica l'ossessione degli Oscar per le minoranze, Salman Rushdie e J.K. Rowling attaccano la prepotenza dei trans. Ma anche quando i progressisti si allineano alla destra nella lotta al politicamente corretto lo fanno esibendo superiorità e disprezzo.Natalia Aspesi è sempre deliziosa. Ieri, con due pennellate, ha commentato le nomination agli Oscar descrivendo alla perfezione la «mente hollywoodiana». Cioè il modo in cui, ormai da qualche anno, si ragiona nel bel mondo della cultura e dell'intrattenimento statunitense. «Si sa che soprattutto negli Stati Uniti sono guai se non rispetti la parità di genere», ha scritto. «Ma anche se non tieni conto delle tante diversità, ogni giorno una nuova. Così su cinque, due registe sono donne, una di origine cinese, e tre uomini, di cui un nero e uno di origine coreana, anche se, almeno per quel che si sa, mancherebbe un/una trans». Sarebbe difficile spiegare meglio l'ossessione americana per le minoranze, che purtroppo ha ormai contagiato - forse irrimediabilmente - anche l'Europa. Pure il titolo di Repubblica non poteva essere più eloquente: «Il politicamente corretto ha già vinto l'Oscar». Sacrosanto, incontestabile. Di più: articoli come quello della Aspesi sono il segno evidente che a sinistra si sta compiendo una sorta di mutazione antropologica. Parecchi intellettuali, infatti, hanno scoperto quando sia odioso il già citato «politicamente corretto» e cominciano pure a scocciarsi della tirannia delle minoranze: degli eccessi postfemministi (o donnisti, come preferiamo dire noi); dei movimenti neri che vogliono abbattere le statue; dei transgender che vogliono farsi chiamarsi «donne» a tutti i costi, distruggendo decenni di lotte per l'emancipazione, e via rivendicando.Questa nuova ondata restauratrice ha avuto origine, come sempre, in America. Nel 2017, lo storico delle idee Mark Lilla, docente alla Columbia e icona dei progressisti a stelle e strisce, ha pubblicato un pamphlet intitolato L'identità non è di sinistra, in cui raccontava «la storia della trasformazione delle politiche liberal di solidarietà in fallimentari pseudopolitiche identitarie». In sostanza, Lilla mostrava come i liberal statunitensi - e pure molti radical - fossero passati dalla difesa della classe operaia alla fissazione per i «dannati della Terra», cioè i vari gruppi sociali che, col passare degli anni, si sono fatti sempre più aggressivi nel rivendicare diritti (cioè nel pretendere riconoscimento anche da parte delle istituzioni). Secondo Lilla, «i liberal delle università sono diventati ossessionati dalle identità personali».Tale ossessione ha alimentato quella che il grande storico Christopher Lasch definiva «cultura del narcisismo». Funziona più o meno così: ogni minoranza si sente perseguitata. Si sente vittima, e dà la colpa delle sue difficoltà agli altri. O, meglio, a un altro: il «maschio-bianco-oppressore». Tale vittimismo produce rivendicazioni furiose, reazioni violente, assalti all'arma bianca. Se non si vuole rischiare di finire sul banco degli imputati o linciati sulla pubblica piazza bisogna fare in modo di non offendere alcuna minoranza: né i neri, né gli Lgbt (trans in particolare), né le donne (anche se non sono una minoranza), né gli asiatici eccetera. È la «follia delle folle» di cui ha scritto il britannico Douglas Murray: mai come in quest'epoca le minoranze sono state rispettate, coccolate, celebrate. E mai come in quest'epoca sono state rabbiose e suscettibili.Su questo tema Guia Soncini ha appena pubblicato un bel libro intitolato L'era della suscettibilità (Marsilio), un angosciante catalogo di piagnistei delle sedicenti «minoranze oppresse» che spesso e volentieri sono sfociati in censure dementi. La Soncini cita una frase di Caroline Fourest particolarmente efficace: «Gli identitaristi non sono i nuovi antirazzisti, bensì i nuovi razzisti». E di questa granitica verità, finalmente, hanno cominciato ad accorgersi anche a sinistra. Pare che il libro della Soncini, infatti, sia stato molto apprezzato anche da personaggi di provata fede progressista come l'umorista Luca Bottura o Paolo Repetti, direttore della collana Stile Libero di Einaudi. Contro le censure del politicamente corretto, oltre a Repubblica, si è schierato di recente anche il Fatto. E mesi fa si sono addirittura mobilitati centinaia di illustri liberal guidati da Salman Rushdie e J.K. Rowling. Tutto questo entusiasmo impone alcune considerazioni.È vero, tra i primi, grandi bastonatori del politicamente corretto dobbiamo contare Robert Hughes (autore de La cultura del piagnisteo) e Harold Bloom, due uomini di lettere non inquadrabili come conservatori. Tuttavia a opporsi al buonismo dilagante è sempre stata la destra, più che la sinistra. Anzi, il politicamente corretto nasce proprio nell'ambiente culturale progressista, e dai progressisti - accademici, politici, gente di spettacolo - è ancora sostenuto e alimentato. Dunque chi oggi a sinistra scopre le brutture del risentimento sociale arriva in clamoroso ritardo e si appropria di un tema che, per decenni, ha sottovalutato. Si può dire che le «idee di destra» si stiano finalmente affermando, e non possiamo che gioirne. Ma tocca notare che, nella gran parte dei casi, la denuncia degli eccessi della suscettibilità è interessata. In soldoni: a sinistra si mobilitano solo quando vengono toccati direttamente, quando la censura li sfiora, come nel caso della Rowling. Altrimenti, tacciono. O, peggio, sono i primi a darci dentro con la mordacchia. Sono bravissimi a contestare la cancel culture e gli abbattitori di statue. Ma poi pubblicano i «fascistometri» di Michela Murgia e altra paccottiglia del genere.C'è un confine che i progressisti, specie quelli italiani, non riescono a superare. Non succede mai che costoro solidarizzino con un autore considerato «di destra». Se un libro odora troppo di «fascismo» e viene ostracizzato, nessuno fiata. Nemmeno gli illuminati che dicono di voler sfidare il pol. cor. Costoro rivendicano per sé massima libertà di espressione, ma nella gran parte dei casi la usano per insultare chi ha opinioni diverse. Esempio: uno come Bottura, che pure mostra di apprezzare il testo «antibuonista» della Soncini, è un campione di superiorità morale esibita e di disprezzo per l'avversario. Ha scritto bene François Bousquet, esponente della destra intellettuale francese: «Ora il soggetto discriminato siamo effettivamente noi, per quanto la nostra idea della dignità ci impedisca di riconoscerlo, tanto che lasciamo volentieri alle minoranze questo status di vittime. […] Il dolore autentico è silenzioso».Già, non vogliamo fare le vittime dopo aver deprecato il vittimismo: sappiamo che certe idee non hanno vita facile, e continueremo a sostenerle senza lamentarci. Ci permettiamo solo un appunto ai bravi intellettuali progressisti che rivendicano la scorrettezza politica: anche voi siete parte di una minoranza. Una delle più lagnose, narcisiste, suscettibili e aggressive. Quando vi fate beffe delle mattane identitarie delle altre minoranze, cercate di non ridere troppo: la loro storia è la vostra.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)