2021-06-16
La sinistra confonde i folli con chi ha il porto d'armi
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Enrico Letta (Simona Granati - Corbis/Corbis via Getty Images)
In questo Paese c'è uno strano concetto di responsabilità oggettiva; lo si tira fuori ogniqualvolta ci sia l'occasione di sparare a zero - è il caso di dirlo - contro i legali possessori di armi. Qualcuno commette un crimine con una pistola? All'improvviso, tutti gli italiani che ne detengono legittimamente una sono dei potenziali criminali. E naturalmente, la strage di Ardea era un'occasione troppo ghiotta perché gli esponenti di questa sottocultura disarmista non la cogliessero al volo.Ha cominciato, subito dopo l'eccidio, il candidato sindaco a Roma, Carlo Calenda: «Troppe armi da fuoco in giro», ha twittato. Una banalità che se la batte con altri gettonatissimi luoghi comuni: «Non ci sono più le mezze stagioni», o «Quello che ti frega non è il cado ma l'umidità». La ciliegina sulla torta l'ha messa, però, il segretario dem, Enrico Letta: «Un'arma in casa è sempre alla base di un rischio, di una fatalità, di un momento di follia», ha spiegato il nipotissimo. «Non possiamo assistere impotenti a tutto questo. Nuove norme sul possesso e l'utilizzo delle armi sono necessarie». Speriamo non siano tipo quelle proposte, anni fa, da un paio di senatrici del suo partito, secondo le quali i legali possessori di armi avrebbero dovuto depositarle tutte nei poligoni della loro zona, anziché custodirle nella propria abitazione. Così, i campi di tiro sarebbero diventati degli arsenali, a presidio dei quali avremmo dovuto schierare l'esercito.Un discorso diverso l'ha fatto il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, che senza invocare nuove assurde trafile burocratiche da imporre agli onesti cittadini oplofili (ad esempio, controlli psichiatrici annuali), ha ricordato che sarebbe necessario rendere finalmente operativo il Centro elaborazione dati, contenente le informazioni sui possessori di armi. Peccato, però, che, come ha sottolineato Armi e tiro, per come è stato impostato normativamente, il Ced non contempli due elementi che sarebbero stati essenziali per prevenire la tragedia di Ardea: primo, la possibilità di accertare la morte del detentore dell'arma; secondo, la possibilità di incrociare dati di pubbliche amministrazioni diverse. Come l'ufficio anagrafe, che ad Ardea era a conoscenza del decesso del padre dell'omicida, mai comunicato alle forze dell'ordine dalla famiglia. Era infatti da costui, guardia giurata, che il killer aveva ereditato la Beretta semiautomatica con cui ha ucciso i due fratellini e l'anziano intervenuto per salvarli. Mentre tutti si stracciano le vesti per le "armi facili", tuttavia, continuano a sfuggire alcuni particolari in grado di ribaltare la narrazione dominante. Anzitutto, qui non si tratta di inventare nuove leggi, bensì di applicare quelle esistenti. Andrea Pignani, il trentaquattrenne assassino, era già fuorilegge: non poteva custodire quell'arma. E se pure avesse fatto domanda, nessuna Questura gli avrebbe rilasciato una licenza di porto, poiché il suo medico curante sarebbe stato costretto a rilasciare un certificato anamnestico, nel quale si sarebbe fatto accenno ai suoi problemi psichiatrici. Dunque, se anche fossero esistiti gli assurdi obblighi di controlli psicofisici annuali, chiesti dai disarmisti, essi non avrebbero potuto impedire il massacro.I veri interrogativi, semmai, riguardano il comportamento di polizia e carabinieri. La madre di Pignani sostiene di essersi già rivolta, in passato, alle forze dell'ordine, dopo che il figlio l'aveva aggredita con un coltello. Possibile che, in un Paese in cui gli agenti, per prassi, sequestrano preventivamente le armi a chiunque abbia avuto anche una semplice lite con un vicino, nessuno si sia reso conto che in quella casa c'era un soggetto pericoloso, con facile accesso a una pistola? Gli abitanti del quartiere, tra l'altro, sostenevano che l'assassino l'avesse già brandita, per minacciare le persone con cui discuteva. Possibile che in una località come Ardea, che certo non è New York, né polizia né carabinieri fossero a conoscenza di questi episodi? Possibile che si siano trincerati dietro l'assenza di una "denuncia formale"? Possibile che le forze dell'ordine siano state capaci, in tempi di Covid, di contare quanta gente c'era nelle case, mentre non è stato spedito alcun controllo nell'abitazione di Pignani? Possibile che, in Italia, nessuno sia mai responsabile di niente, a meno che non sia un appassionato di armi - che allora diventa responsabile dei crimini degli altri?