
Per la prima volta fallisce clamorosamente uno sciopero indetto dall’Usigrai, che contestava «il tentativo di ridurci a megafono del governo». I notiziari delle prime due reti vanno in onda regolarmente e c’è perfino un’edizione straordinaria.Da ieri la Rai è un’azienda quasi normale: gli scioperi dei giornalisti possono riuscire o meno. Quello di ieri è fallito clamorosamente, nel senso che i telespettatori non se ne sono praticamente accorti, con i vari programmi di approfondimento e il grosso dei telegiornali che sono regolarmente in onda con servizi e immagini. Per l’Usigrai, il sindacato-partito unico che da due ventenni godeva di un dominio assoluto, si tratta di uno smacco epocale. Ben simboleggiato anche dall’impresa messa a segno dal Tg1, che nonostante lo sciopero è riuscito a coprire la tragedia dei cinque morti sul lavoro a Casteldaccia addirittura con un’edizione straordinaria sulla quale non avrebbe nulla a che ridire perfino la Cgil di Maurizio Landini.Dal 1984, anno della sua fondazione, a memoria di mezzobusto non era mai capitato che uno sciopero proclamato dall’Usigrai fallisse. Ma la nascita della sigla concorrente Unirai, cinque mesi fa, era già stato un segnale importante. Il primo sgretolarsi di un muro. Lo sciopero di ieri era stato proclamato per protestare contro «il controllo asfissiante sul lavoro giornalistico, con il tentativo di ridurre la Rai a megafono del governo, contro l’assenza dal piano industriale di un progetto per l’informazione Rai e contro le carenze di organico in tutte le redazioni». In particolare, si lamentava l’assenza di nuovi concorsi e il ricorso crescente «a partite Iva». In effetti Viale Mazzini stipendia oltre 2.000 giornalisti (su 12.700 dipendenti), mentre Mediaset conta 600 giornalisti (su 4.970 lavoratori) e ha un costo del lavoro che è la metà del concorrente pubblico. Decisamente dura la replica dell’azienda di Stato, letta, per esempio, al termine dell’edizione delle 12 del Tg3, durata appena cinque minuti e senza servizi: «È necessario puntualizzare l’impossibilità, nell’attuale quadro economico, di indire concorsi pubblici per nuove assunzioni giornalistiche, mentre invece si rendono necessari processi di ottimizzazione che consentano di valorizzare l’organico esistente di oltre 2.000 unità». La dirigenza Rai ha anche rivendicato la decisione di «adeguare il sistema premiante dei giornalisti a quello di tutti gli altri dipendenti».In realtà, nei corridoi Rai era il segreto di Pulcinella che lo sciopero fosse più che altro contro TeleMeloni e anche per questo Unirai, con i suoi 350 iscritti e un orientamento più di destra, si era chiamata fuori. Il risultato è stato un inedito totale. Lo sciopero Usigrai era di 24 ore, dalle 5:30 di lunedì alle 5:30 di martedì. Eppure, il Tg1 e il Tg2 sono andati regolarmente in onda a tutte le ore previste con edizioni quasi complete, con tanto di servizi chiusi e firmati e solo qualche notizia letta dallo studio e accompagnata da immagini di redazione. A metà pomeriggio, il Tg1 si è addirittura «permesso» un’edizione straordinaria con servizi sulla tragedia di Casteldaccia, chiudendo così la bocca a chi da sempre ciancia di «servizio pubblico» e «pluralismo» da preservare con lo sciopero. Chi è iscritto a un ordine professionale sa che ha dei doveri ben precisi nei confronti dei cittadini e i giornalisti, anche quelli che amano il posto fisso, sanno che di fronte a certe notizie il professionista deve passare avanti al dipendente.Alla fine, a saltare sono stati solamente un paio di edizioni del Tg3 e le edizioni dei tg regionali. Mentre anche nei programmi di approfondimento, dove lavorano decine e decine di giornalisti tutti tesserati Usigrai, è stata una giornata apparentemente normale. Uno spaccato della caduta del muro di Saxa Rubra è quello che è accaduto proprio al Tg1. Secondo fonti interne, su 140 giornalisti del telegiornale più seguito, si sono contate una cinquantina di persone che hanno lavorato e un’altra trentina che si sono messi in ferie o si sono segnati di riposo. Il che significa che non hanno aderito allo sciopero tantissimi giornalisti del Tg1 iscritti all’Usigrai. Ovviamente, una simile débâcle non è stata presa benissimo dall’ex sindacato unico, che per troppi anni si è appiattito sulla maggioranza di governo di turno in cambio del potere di concertare nomine e promozioni non esattamente all’insegna del merito. Vittorio Di Trapani, ex leader Usigrai e attuale presidente della Fnsi, ha affermato che «la libertà è anche di chi non vuole scioperare, ma è illegittimo che una minoranza si organizzi con cambi di turni e si metta a disposizione per tentare di far fallire uno sciopero». La risposta più sintetica gli è arrivata da Maurizio Gasparri. Il presidente dei senatori di Forza Italia ha scritto su X: «Liberi di scioperare, liberi di lavorare. Crolla il muro del monopolio sindacale. Vince la libertà di scelta per tutti. In onda i tg Rai». E tuttavia dall’Usigrai hanno fatto sapere che i propri legali e i propri rappresentanti verificheranno «se ci sono state violazioni del diritto di sciopero», facendo intendere che alcuni giornalisti sarebbero stati in pratica costretti a lavorare e che Unirai si sarebbe prestata a questo gioco. In particolare, l’ex sindacato unico spera di riuscire a mettere sulla graticola alcuni direttori di testata, che avrebbero organizzato il lavoro in modo da «sabotare» l’astensione e per questo sarebbero colpevoli di «comportamenti antisindacali». In realtà, come dicono i numeri e il flop anche in fortini «rossi» come Rainews24 e Televideo, da ieri la rendita di posizione dell’Usigrai è formalmente finita. E lo hanno sancito per primi molti suoi iscritti.
Sanae Takaichi (Ansa)
La conservatrice Sanae Takaichi vuole alzare le spese militari e saldare l’asse con Washington: «Avrò discussioni franche con Trump».
(Guardia di Finanza)
Sequestrate dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri oltre 250 tonnellate di tabacchi e 538 milioni di pezzi contraffatti.
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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Roberto Burioni (Ansa)
In un tweet se la prende con «La Verità»: i danni collaterali con mRna non esistono.