2022-12-23
Silurato l’uomo degli ayatollah a Bruxelles
Federica Mogherini (Ansa)
Il Pse ha sospeso un consulente legato alle lobby internazionali che appoggiano l’accordo sul nucleare firmato dal regime iraniano e annullato da Trump. I finanziamenti del miliardario George Soros e le campagne di sostegno di Federica Mogherini.Ombre iraniane iniziano ad addensarsi sul Qatargate? Secondo quanto riferito da varie testate, il Pse ha sospeso «per colpa grave» il proprio consulente per la politica estera, Eldar Mamedov. Da più parti considerato vicino al governo di Teheran, Mamedov – che al momento non risulta indagato – ha spesso ribattuto, sottolineando di simpatizzare con le proteste in corso contro il regime degli ayatollah. Peccato però che, come dimostrato da suoi numerosi articoli, in questi anni sia stato uno strenuo sostenitore del controverso accordo sul nucleare iraniano (Jcpoa), dichiarando che fosse necessario per la stabilità regionale e per favorire una presunta fazione moderata dell’establishment di Teheran. Una posizione un po’ curiosa, considerato che gli ayatollah vedono in quell’intesa un’occasione per consolidare il proprio potere politico. Non a caso, a ottobre Mamedov esultò su Twitter per la bocciatura di un emendamento all’Europarlamento, che chiedeva di bloccare le trattative per il rilancio del Jcpoa come misura di sostegno alle manifestazioni contro il regime iraniano. D’altronde, sarà un caso, ma il Pse ha sempre difeso a spada tratta il Jcpoa: a partire da Federica Mogherini che contribuì a negoziarlo nel 2015.È interessante notare come Mamedov abbia pubblicato molti dei suoi articoli a favore di questo accordo sulla rivista online del think tank statunitense Quincy Institute, il cui vicepresidente esecutivo è Trita Parsi. Quel Parsi che, per molti anni, è stato alla guida del National Iranian American Council (Niac): organizzazione che, negli Stati Uniti, critica le sanzioni a Teheran e appoggia esponenti politici (tendenzialmente democratici) favorevoli al Jcpoa. Tra gli endorsement conferiti dal Niac in occasione delle ultime elezioni di metà mandato, figurano quelli ai deputati dem Ro Khanna e Rashida Tlaib: in entrambi i casi, una delle motivazioni esplicitamente addotte dall’organizzazione è il loro sostegno al ripristino dell’accordo sul nucleare iraniano. Va d’altronde ricordato che proprio ampi settori del Partito democratico americano hanno da sempre sostenuto il nuclear deal, che fu siglato originariamente dall’amministrazione Obama e di cui è uno storico sostenitore anche il Cremlino. Certo: va registrato che il Niac afferma di non prendere finanziamenti né dal governo statunitense né da quello iraniano, negando anche di svolgere attività di lobbismo per conto di Teheran. Dall’altra parte, va comunque sottolineato che, nel 2015, The Hill menzionò questa organizzazione tra i «vincitori» per il via libera al Jcpoa. Inoltre, il Niac ha sottoscritto una petizione per esortare Joe Biden a ripristinare l’intesa. Tutto questo, mentre a gennaio 2020 i senatori repubblicani Ted Cruz, Tom Cotton e Mike Braun avevano chiesto al dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti di avviare un’indagine, per accertare se l’organizzazione agisse per conto del governo iraniano. Il Niac reagì, parlando di accuse «disgustose e pericolose». Ora, a ben vedere si scorge un significativo legame tra il Niac ed il Quincy Institute: un legame che porta il nome di George Soros. Nel novembre 2009, Politico riferì che l’Open Society Policy Center del finanziere pagava lo stipendio annuale dello staff del Niac. Era invece dicembre 2019, quando The Hill riportò che Soros, insieme al magnate libertario Charles Koch, aveva finanziato il lancio del Quincy Institute: think tank di orientamento realista e apparentemente lontano dalla linea progressista del miliardario di origini ungheresi. Eppure, nonostante le sue sbandierate battaglie a favore dei diritti umani, costui è tutt’altro che ostile all’accordo sul nucleare iraniano. Parlando a Parigi il 29 maggio 2018, Soros criticò infatti Donald Trump per aver abbandonato quella controversa intesa pochi giorni prima. «Non solo l’Europa ma il mondo intero è rimasto scioccato dalle azioni del presidente Trump. Si è ritirato unilateralmente da un trattato sulle armi nucleari con l’Iran, distruggendo così di fatto l’alleanza transatlantica», dichiarò il magnate, preconizzando inoltre «un effetto negativo sull’economia europea» e «altri sconvolgimenti».Ma le connessioni non si fermano qui. È in un articolo pubblicato a gennaio scorso per il Quincy Institute che Mamedov ha raccontato di essere stato invitato, due anni fa, a Teheran dall’Institute for Political and International Studies: fondazione affiliata al ministero degli Esteri iraniano. Non solo: a novembre 2020 sia Mamedov che Parsi rilanciarono su Twitter una dichiarazione della Mogherini che auspicava un ripristino dell’intesa sul nucleare. Quella stessa Mogherini che, ricordiamolo, ha fatto parte (fino a poco tempo fa) dell’honorary board di Fight Impunity: l’Ong di Antonio Panzeri, finita nel mirino della Procura belga per il Qatargate. E proprio Panzeri, da eurodeputato del Pse, ha più volte difeso l’accordo sul nucleare iraniano: lo fece in un’intervista a Radio Radicale nel 2013 e in un intervento all’Europarlamento nel 2018, criticando al contempo Trump e Benjamin Netanyahu. Giova a tal proposito ricordare che l’Iran intrattiene solidi rapporti con il Qatar e che Doha continua ancora oggi a sostenere il rilancio del Jcpoa, come sottolineato a luglio scorso dal ministro degli Esteri qatariota, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, durante una visita a Teheran. E intanto lo storico amore della sinistra europea per l’accordo sul nucleare iraniano continua a suscitare più di un dubbio.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)