
Abbiamo accettato passivamente le limitazioni innaturali alle nostre libertà, fingendo di non provare fastidio per non essere accusati di egoismo. È giunto il momento di manifestare sofferenza e dissenso.Nella battaglia cui la pandemia Covid-19 ha sottoposto l'umanità il dover vedersela con la prospettiva della morte è l'aspetto più evidente e inquietante. Non è però il solo. Oltre alla lotta per non lasciarsi distruggere dal virus c'è, decisiva, quella per non essere distrutti, o tragicamente indeboliti, dagli effetti sociali, economici e affettivi della malattia, e soprattutto da come viene gestito lo «stato d'eccezione» allestito per curarla. Una questione sempre più importante nella politica degli ultimi anni, studiata in profondità dal filosofo Giorgio Agamben (intervistato sulla Verità da Francesco Borgonovo il 21 aprile). La tendenza è quella di sviluppare regimi «d'eccezione», al di fuori delle garanzie democratiche, utilizzati sempre più frequentemente negli ultimi anni per ragioni diverse, sanitarie, etico-politiche, economiche, linguistiche (come il codice «politicamente corretto»). La loro comune caratteristica è quella di sfociare in restrizioni sempre più marcate delle libertà personali, ma ciò produce un progressivo indebolimento nella personalità dei cittadini e nella loro salute fisica e psichica.La cura del virus cinese ha richiesto comportamenti in sé innaturali per le persone umane, come rinchiudersi in casa, non vedere gli altri, coprirsi parti del viso importanti per la respirazione e la comunicazione come naso e bocca: in parte dovremo mantenerli finché (e dove) il virus è in circolazione. La coscienza razionale è d'accordo con queste misure di difesa, ma il guaio è stato fingere che il fastidio non ci fosse, e presentare reclusione e distanziamento come cose solo buone e avanzate, di fronte alle quali unicamente persone egoiste e arcaiche potevano infastidirsi. Così le reazioni istintive agli aspetti innaturali della reclusione, come lo smontaggio dei rapporti sociali e delle forme basilari della vita quotidiana, sono state presentate come prive di senso, trattandole con disprezzo come infantilismi o peggio. Ma non è così: forme e comportamenti come il rito religioso, l'incontro amicale, la vita all'aria aperta hanno una funzione strutturale nella vita delle persone e non si possono cancellare con un tratto di penna. Anzi: ciò che viene accettato automaticamente senza prima esaminarlo con spirito critico, per solo dopo farlo proprio, diventa malattia (anche se prima non lo era). Il portare alla coscienza vissuti e comportamenti è indispensabile per renderli positivi. Per questo le società autoritarie finiscono sempre con l'ammalarsi: perché ignorano che ciò che viene cacciato nell'inconscio prima o poi diventa distruttivo. È solo il superare non senza fatica la leggera sensazione di schifo del parlare dentro la mascherina senza poter espirare liberamente il fiato, che ti fa poi sentire un eroe positivo della pandemia (e quindi stare bene), e non un fifone obbediente, perennemente insicuro, pronto a fare qualsiasi cosa gli venga chiesta dal capo del momento. Se chi comanda non riconosce l'eroismo della «servitù volontaria» del bravo cittadino, preferendo invece affermare il proprio cattivo gusto per il potere, rischia di farne più tardi un ribelle. L'«obbedienza pronta cieca e assoluta» illustrata nelle vignette di Giovannino Guareschi per prendere in giro la passività del militante comunista medio non è mai un fattore di crescita, ma piuttosto di sicura regressione, seguita da depressione. Così, il rimanere chiusi in casa (atto in sé, per molti, profondamente innaturale e asociale) invece di incontrare gli amici al bar, richiederebbe, per diventare un'esperienza positiva, il ricorso anche consapevole a tutta la cultura umana della solitudine e dell'introversione, che è stata fin da Eraclito e dall'antica Grecia una pietra fondante dell'Occidente. Perché però ciò accada sarebbe necessario che qualcuno te ne parli, ponendo la norma in un quadro di sviluppo educativo che la valorizzi. Peccato che i giuseppi di ciò nulla sappiano, per loro è solo una questione di potere, dove uno comanda e gli altri ubbidiscono: visione della politica malsana e parziale. Quando poi si disobbedisce a qualcosa che in fondo nessuno ti ha mai neppure spiegato in tutti suoi aspetti, ma imposto, ecco che il cattivo maestro si «incazza» (come il sindaco di Milano). In tutto ciò (a parte l'ignoranza, che fa la sua parte), c'è una forte mancanza affettiva, di empatia autentica con gli altri; insomma di qualità umana. Coperta poi come sempre dall'asfissiante insistenza sul buonismo o paternalismo, sfoggiato ogni due per tre da questi autocrati interessati, o in nome loro dai loro tirapiedi per spegnere ogni autonomia e promuovere la passività. Ciò intossica l'aria e sprigiona un Covid-20 sociale che rende sempre più difficile un'uscita positiva dalla situazione. È da queste parti che ci troviamo, oggi.Si tratta di guarire dalle diffuse patologie indotte dalla pandemia attraverso le modalità passivizzanti con le quali è stata condotta la lotta al Covid-19. Per vincere una battaglia che richiedeva forti interventi nella vita relazionale e affettiva era necessario che chi la conduceva conoscesse anche praticamente dove andava a mettere le mani: i corpi e la psiche di persone viventi, non funzionari di partito, e la loro vita affettiva di esseri umani, non robot del potere. È andata in un altro modo, e adesso tutti coloro che in questi mesi si sono ammalati di forme come la depressione, o di nevrosi ossessiva (meno vistose e spettacolari del Covid-19, ma non per questo esenti da pericoli gravi), devono fare uno sforzo, svegliarsi dal sonno covidico e smettere di ubbidire passivamente a tutto ciò che si chiede loro. Il «bravo cittadino» è stato bravissimo e ha già dato tutto ciò che poteva. Ora è il momento dello spirito critico. Chi adesso si ritrova con una depressione perché l'arresto per due mesi del lavoro ha bruciato le sue risorse e messo in serio pericolo la sua attività, è bene che esca dalla relativa passività in cui è rimasto (a volte anche per malinteso senso civico), e porti nei diversi spazi sociali lasciati ancora liberi dallo «stato d'eccezione» i suoi vissuti, i suoi sentimenti e le sue proposte di iniziativa. E così faccia anche chi si ritrova con le ginocchia dolenti per aver sospeso per due mesi ogni attività ginnica, per giunta con la sofferenza di non poter utilizzare il bosco dietro a casa, peraltro deserto, e tuttavia sorvegliato per multare gli incauti che volessero usufruirne. Tutte queste persone, con le altre che nei due mesi di confinamento non spiegato e peggio gestito hanno sviluppato sintomi di disagi e malattie anche profonde, devono ora poter esprimere la propria sofferenza e la propria reazione. È il momento di smettere di negare l'aggressività, come se il consenso fosse l'unica forma espressiva consentita e sensata. Questa in effetti sarebbe la regola principale del «politically correct». Ma la verità è che il dissenso, il no, è a volte altrettanto sano e indispensabile del si. È chi non è né sì né no che «è del diavolo». E lo diceva Uno che ne sapeva molto.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.