
Sarebbe ora di rimarcare che l'ingresso del nostro Paese nella moneta unica avvenne con un debito eccessivo. Ragion per cui l'Unione dovrebbe abbassare le sue pretese. Mi sarebbe piaciuto sentire dalla voce certamente competente di Ignazio Visco che l'Italia aderì all'euro senza essere pronta a causa del suo debito eccessivo, che tale peccato originale rende impossibile per la politica armonizzare equilibrio di bilancio e sviluppo e che la riduzione del debito è una priorità assoluta che richiede operazioni straordinarie. Visco, ovviamente, ha posto il problema della riduzione del debito, ma sostenendo, implicitamente, modi conformisti e ordinari semplificabili come un rigore che toglie spazio allo sviluppo: pensiero debole. Probabilmente non vede altre vie. Ce ne sono di praticabili? Uscire dall'euro sarebbe un suicidio. Chiedere ai governi dell'eurozona soluzioni condivise di riduzione-garanzia del debito è irrealistico perché non avrebbero il consenso interno per concederlo. Dobbiamo riconoscere la verità: va trovata una soluzione nazionale straordinaria e positiva. La Lega sta premendo, correttamente, per spingere lo sviluppo via detassazione allo scopo di migliorare il rapporto debito-Pil aumentando il secondo. Ma per essere efficace la detassazione deve essere significativa. Ciò implica ricorrere a un extradeficit poi sanzionato dai mercati con un impatto sul costo di rifinanziamento del debito e sullo spread che destabilizzerebbe il ciclo nazionale del capitale. Per evitarlo, alla fine verrebbe fuori una manovra insufficiente. Cosa fare? Ci vorrebbe un intervento parallelo sul numeratore (debito) che dia più spazio al denominatore (Pil). Come? Attraverso un'operazione straordinaria «patrimonio pubblico contro debito». 1 Impacchettare il patrimonio pubblico disponibile fatto di concessioni, immobili e partecipazioni sia statali sia locali in un Fondo italiano di bilanciamento (Fib), equivalente a circa 700 miliardi, di più se gestito in modi valorizzanti. 2 Il fondo, con status privato pur a conduzione del ministero dell'Economia, come la Cdp, acquista dallo Stato tale patrimonio pagandolo con obbligazioni (variabili e quotate) basate sulla stima proiettiva a 20 anni del rendimento del patrimonio stesso sia via profitti di gestione sia via dismissioni graduali. 3 Lo Stato poi ripaga una parte dei titoli di debito quando giungono a maturazione con tali obbligazioni - riservate ad investitori istituzionali - riducendo così una percentuale corrispondente di debito da rifinanziare. Tale operazione non è facile: l'impacchettamento richiede nuove norme, le obbligazioni con sottostante il patrimonio devono essere disegnate in modi che non interferiscano con l'emissione di titoli per il rifinanziamento del debito residuo e allo stesso tempo siano attraenti, ecc. Ma le difficoltà tecniche sono superabili. Quelle politiche anche lo sarebbero se i partiti si rendessero conto che tale uso del patrimonio pubblico salverebbe tutto e tutti perché in caso contrario resterebbe endemica la pressione per tassare il patrimonio privato a riduzione del debito, distruggendo la ricchezza residua dell'Italia. Si potrebbe tagliare la spesa pubblica, che per circa 45 miliardi è inutile o improduttiva? Certo lo si dovrà fare, ma gradualmente per non indurre recessioni e comunque considerando che la conseguente riduzione del deficit annuo non basterebbe a risolvere il problema debitorio e il suo peso sullo sviluppo (costi per interessi tra i 60-70 miliardi annui). Ma come si potrebbe usare una tale operazione straordinaria nel breve termine visto che per montarla ci vuole un tempo tecnico? Se la si annuncia in modo credibile il mercato e le istituzioni europee dovranno scontarla, anticipando l'effetto. Per esempio, se diviene credibile che nel triennio 2020-22 si possa ridurre il debito (quasi 2.300 mld il totale) di almeno 200 miliardi, e 500 nei 15 anni successivi, cambierebbe la profezia negativa sull'Italia (rating), il risparmio di spesa per gli interessi darebbe più spazio per l'equilibrio di bilancio combinato con detassazione e investimenti, banche e Borse andrebbero meglio favorendo la crescita industriale e dei consumi, e, soprattutto, l'Ue non potrebbe negare un deficit stimolativo e temporaneo verso il 3% del Pil (più di 50 miliardi, considerando un Pil poco sopra i 1.700 miliardi) per finanziare la detassazione perché sarebbe compensato da una maggiore decrescita del debito. Prego la Lega di aggiungere al meritorio progetto di riduzione delle tasse quello di finanziarizzazione del patrimonio pubblico per ridurre il debito, come abbozzato (o altro simile) e di chiamare un «progetto nazionale», una sorta di nuova Costituzione economica per un'Italia libera dall'eccesso di debito, per realizzarlo rapidamente. Questo sarebbe il modo giusto per sanare il peccato originale, rimettere la nazione in crescita di ricchezza e convergere con l'Ue attraverso un'operazione sovrana, senza chiedere la carità e senza rivendicazioni da sfigati, per poter prendere influenza nell'Ue stessa e ripararne i difetti. Pensiero forte e positivo, non debole e rinunciatario: progetto Cavour.
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






