2020-01-05
Si rischia la mezza guerra mondiale e il governo non sa cosa mettersi
L'uccisione del generale Qasem Soleimani fa schizzare la temperatura fra Usa e Iran, ma a Roma manca del tutto una qualsivoglia strategia. Mentre Giuseppe Conte invita genericamente al dialogo, Luigi Di Maio si fa pizzicare in vacanza. Mentre la crisi tra Stati Uniti e Iran infuria all'indomani dell'uccisione del generale Qasem Soleimani, sorge spontanea una domanda: qual è esattamente la posizione del governo italiano su questa intricata vicenda? Al momento indizi ce ne sono pochi, almeno se si prescinde da una serie di dichiarazioni dalla dubbia consistenza. Ieri, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è intervenuto sulla questione in un modo che definire «vago» risulta forse un eufemismo. Stando a quanto riportato da fonti governative, il premier avrebbe espresso «forte preoccupazione per l'escalation», invitando inoltre «alla moderazione, al dialogo e al senso di responsabilità». In particolare, Conte si starebbe prodigando affinché l'Unione europea possa far valere tutto il proprio «peso diplomatico» su questo complicato dossier. Tutto questo, aggiungendo che vi sia «massima attenzione per i nostri militari nella regione». Che vi sia un serio rischio per le truppe italiane stanziate in Iraq, è senz'altro vero: soprattutto, qualora l'eventuale ritorsione iraniana possa scegliere come obiettivo le forze militari occidentali in modo indiscriminato. È d'altronde anche per questo che ci si attenderebbe un impegno maggiore da parte del governo italiano su tale dossier (oltre che per le ripercussioni internazionali che questa vicenda può produrre, a partire dalla questione libica). Ci si attenderebbe, insomma, qualcosa che vada un po' oltre un semplice (e abbastanza vacuo) appello all'Unione europea: quella stessa Unione europea che non soltanto non dispone di una politica estera unitaria e compatta. Ma che proprio sulle relazioni tra Stati Uniti e Iran ha sempre mostrato di possedere un ascendente particolarmente scarso: si pensi soltanto al ruolo marginale svolto in occasione delle fibrillazioni esplose, dopo che - quasi due anni fa - la Casa Bianca decise di ritirarsi dall'accordo sul nucleare del 2015. D'altronde, che l'esecutivo giallorosso non disponga esattamente di una strategia è chiaro anche dalle parti della Farnesina, visto che - nel mezzo della crisi mediorientale -il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, se ne sarebbe stato in Spagna a trascorrere le vacanze (come denunciato mercoledì dal senatore forzista, Maurizio Gasparri). Per carità, nessuno vuole negargli il meritato riposo. Ma il subbuglio iracheno dell'altro ieri non è spuntato all'improvviso come un fungo: le origini di questa escalation risalgono infatti a mercoledì 27 dicembre, quando il gruppo paramilitare iracheno filoiraniano Kataib Hezbollah ha ucciso, in un attacco con dei razzi, un contractor statunitense e ferito svariati soldati: un evento che ha innescato una serie di reazioni e controreazioni che hanno condotto infine all'uccisione di Soleimani. Senza poi trascurare l'assalto all'ambasciata americana in Iraq, avvenuto martedì 31 dicembre: un evento che già da sé garantiva l'inasprirsi dell'escalation. Ieri, Di Maio è intervenuto con un post su Facebook, affermando che il governo è «al lavoro sugli ultimi sviluppi della situazione in Iraq», esprimendo preoccupazione per i nostri soldati in loco e sostenendo che la priorità italiana sia la lotta a Daesh. Su come Roma si stia muovendo a livello internazionale, ha inoltre scritto: «Negli ultimi giorni come Italia abbiamo lanciato un forte appello al dialogo e alla responsabilità, invitando a mantenere aperti i canali con tutti gli interlocutori, evitando atti che possano avere gravi conseguenze. Ma se vogliamo essere davvero incisivi, l'Unione europea deve saper parlare con una sola voce. Ed è per questo che ho apprezzato l'invito alla moderazione e alla de-escalation dell'alto rappresentante Ue, Josep Borrell.» Insomma, anche qui generici inviti al dialogo e appelli all'Unione europea. Quell'Unione europea che, nelle scorse ore, non sembra aver trovato molto di meglio da fare, se non - proprio con Borrell - invitare alla «massima moderazione». Del resto anche il suo predecessore, Federica Mogherini, ha affermato: «Spero che prevarranno quelli che credono ancora nella saggezza e nella razionalità.» Ricapitolando: un governo senza un minimo di strategia per quanto sta accadendo in Medio Oriente fa appello a un'Unione europea che, a sua volta, spera di fermare le tensioni tra Washington e Teheran a suon di auspici. D'altronde, il problema per i giallorossi è costituito anche dalle divisioni interne e dagli spinosi rapporti che questo governo intrattiene con gli Stati Uniti. Washington non vede di buon occhio la vicinanza del Movimento 5 stelle alla Cina, così come la convergenza del Pd con la Germania. Se a questo aggiungiamo il fatto che alcune aree grilline si dicano apertamente filoiraniane, è chiaro che la situazione si complichi ulteriormente. E intanto Roma resta sempre più debole e isolata.
Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale (Imagoeconomica)