
Nato in Francia a metà Settecento, il «bouchon» al rum ha eletto Napoli come dimora del cuore. Il nome è preso dalle «Mille e una notte», una delle letture preferite di Stanislao, re polacco detronizzato e in esilio a Parigi. Venne importato dai Borbone. Nasce in Francia nella metà del Settecento, figlio di un re polacco senza trono e di una ciambellona alsaziana. Porta il nome di un personaggio letterario arabo e ha eletto Napoli come dimora del cuore. Scorre sangue multietnico nelle vene del mitico babà al rum. La città d’o sole e d’o mare non solo l’ha adottato facendone uno dei suoi simboli insieme a San Gennaro, al Vesuvio, alla pizza e agli spaghetti ca pummarola ’ncoppa, ma gli ha raddoppiato le labiali e la bontà usandolo come elogio superlativo: si ’nu bbabbà. Il complimento si è radicato nel linguaggio quotidiano partenopeo diventando un modo di dire da rivolgere a qualsiasi persona o cosa deliziosa, adorabile: a una bella donna, all’amico fedele, alla squadra azzurra prossima a vincere lo scudetto, a Maradona, Sofia Loren, Totò… Tutti ’nu bbabbà. Il babà è un dolce soffice, di pasta magistralmente lievitata tre volte, che ha la forma di un fungo porcino bagnato dalla guazza mattutina o, come preferiscono i francesofili, di un bouchon, il tappo in sughero della bottiglia di champagne. È un pasticcino laico che non si sottomette al calendario delle ricorrenze religiose come l’altrettanto famosa pastiera, dolce creato qualche secolo fa dalle monache di San Gregorio Armeno usando ingredienti simbolici, il grano, l’uovo, i fiori d’arancio, per celebrare la Pasqua e la Resurrezione di Cristo. È vero che anche la pastiera, oggidì, non aspetta più Pasqua per deliziare i golosi aficionados. Come non l’aspettano più, in altre città, la colomba e la torta pasqualina e come non aspettano più il Natale il pandoro e il panettone. Il babà, con quella forma un po’ fallica, l’aroma caraibico, piratesco, è sempre stato un dolce per tutte le stagioni e per tutti i momenti dell’anno e della giornata.Nella sua storia napoletana è stato un must da passeggio: aristocratici, avvucati, chiattilli, i figli di papà, lo mordicchiavano pavoneggiandosi in via Toledo, piazza Plebiscito, Spaccanapoli o sul lungomare Caracciolo. Ancora adesso il babà è un «indispensabile» a Napoli, ma è decisamente democratico come sottolinea il giornalista Luciano Pignataro: «È dolce da città perché da passeggio: si entra, si prende e si mangia continuando la camminata, non ha bisogno di un piattino e delle forchetta, si usano le mani e dunque, a dispetto delle sue origini regali, è molto democratico, perché mette sullo stesso piano chi ozia e chi lavora, ricchi e poveri».Fu Stanislao Leszczynski, detronizzato re della Polonia in esilio (dorato) in Francia, a inventare il babà. Stanislao, suocero di Luigi XV che ne aveva sposato la figlia Maria Leszczynska, faceva la bella vita in Lorena di cui era divenuto duca dopo la guerra di successione polacca. Era un uomo di cultura, di lettere e scienze. Conosceva il latino e tre lingue, tra le quali l’italiano, oltre al polacco. Era un raffinato viveur che apprezzava l’arte, l’architettura e le gioie del palato. Alla fine di un pranzo gli fu portato in tavola un kugelhupf, dolce tipico dell’Alsazia, una sorta di pandorone col buco. Stanislao, di bocca buona ma di gusti pretenziosi, giudicò quel dessert troppo povero e, soprattutto, troppo asciutto. Così lo fece cospargere di zucchero e lo immerse nel Madera, un vino portoghese liquoroso.Il duca ex re, perfezionista goloso, non s’accontentò di quel primo esperimento pur buono. Anzi, proprio perché gli parve soddisfacente quel salto del kugelhupf nel bicchiere del Madera (kugelhupf tradotto alla lettera corrisponde a palla saltellante) studiò con il suo dolciere di fiducia, Nicolas Stohrer, un Michelangelo dell’arte pasticciera, altre soluzioni. Provò con il Malaga, vino liquoroso spagnolo e con la crema chantilly. Ci aggiunse uvetta passa e lo zafferano che il duca aveva apprezzato in Turchia. Stohrer provò col rum giamaicano e questo, infine, fu giudicato l’abbinamento migliore. A questo punto il colto Stanislao Leszczynski che non conosceva confini a tavola e men che meno in letteratura, battezzò il nuovo dolce esotico con un nome altrettanto originale preso dalle Mille e una notte, una delle sue letture preferite: Alì Babà, il Robin Hood degli arabi. Il babà perse l’Alì quando Nicolas Stohrer si trasferì a Parigi per diventare il pasticciere personale di Maria che lo conobbe nel palazzo del padre e a lui lo sottrasse per portarselo a Versailles. A Parigi Stohrer aprì una pasticceria al numero 52 di rue Montorgueil. Alcuni storici della gastronomia sostengono che, a parte il nome fortemente voluto dall’ex re di Polonia, il babà fu un’invenzione del grande patisseur. La pasticceria di rue Montorgueil esiste ancora ed è la più antica della capitale francese. Si trova a dieci minuti a piedi dal Louvre e merita una visita per il fascino dell’insegna dipinta sul muro esterno, la bellezza antica del locale e lo splendore della vetrina dei dolci. Ma la merita soprattutto perché qui è possibile assaggiare la versione originale del babà - così garantiscono gli epigoni di Stohrer - e le molteplici versioni moderne con i canditi, con le ciliegie e le albicocche secche impregnate di rum; nel formato classico a bouchon individuelle o à partager (ciambella da tagliare a fette). Torniamo al Settecento. Il dessert francese, dopo aver soggiogato gli aristocratici palati parigini, conquistò l’Europa istigando al peccato di gola i ricchi ghiottoni del Vecchio Continente ai quali non parve vero di lasciarsi indurre in tentazione e di peccare. Fu durante questa espansione che il dolce sbarcò a Napoli insieme agli chef francesi che l’austriaca regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando IV di Borbone, aveva chiesto alla sorella Maria Antonietta, inquilina di Versailles con il marito Luigi XVI. Maria Carolina, la regina che «nun redeva maje» come la definì il marito per il suo carattere arcigno e il muso sempre lungo, importò nella reggia di Capodimonte grazie ai cuochi francesi, chiamati dal popolino monzù (da monsieur), il gusto e i sapori di Versailles, dolci compresi. Tra questi spiccava il babà che Partenope fece immediatamente suo togliendogli ogni desinenza araba e caraibica napolitanizzando il tutto in bbabbà a rrumma.Nell’Ottocento Jean Anthelme Brillat-Savarin, stella della gastronomia d’Oltralpe, autore della Fisiologia del gusto, rivoluziona il babà: elimina dall’impasto l’uvetta, aggiunge il burro, lo spennella di marmellata di albicocche e lo presenta a forma di ciambella riempiendo il buco di crema e frutta sciroppata. Un dolce difficile da preparare. Scrive Pellegrino Artusi nel cappello della ricetta 565-Babà in La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene: «Questo è un dolce che vuol vedere la persona in viso, cioè per riuscir bene richiede pazienza e attenzione». Ma fu la versione di Brillat-Savarin a piacere ai pasticcieri napoletani che la sposarono dando a Cesare quel che è di Cesare: la ciambella con crema pasticciera e amarene sciroppate venne chiamata Babà Savarin, nome che porta ancora con fierezza e rispetto anche se l’evoluzione del gusto preferì la panna montata alla crema e le fragole alle amarene.Babà è un bisillabo armonioso, una volta sentito non si dimentica più. Scrive Pignataro: «Il babà ha nel suo suono uno dei segreti del suo successo perché gioca sulla piacevolezza dell’udito». È con questa musicalità che il babà sale sul palcoscenico di Sanremo nel 1989 con Marisa Laurito che canta Il babà è una cosa seria: «E si ’a vita amara se fa/ si addolcisce cu nu babà. / Il babà è una cosa seria/ cu 'o babà nun se pazzea / è una cura che fa bene/ ’o babà nun po’ ingannà/. Il babà è come il ciucciotto,/ la coperta di Linus,/ se cercate un antistress/ accattateve ’o babà».
Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.
Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.
2025-11-10
Indivia belga, l’insalata ideale nei mesi freddi per integrare acqua e fibre e combattere lo stress
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In autunno e in inverno siamo portati (sbagliando) a bere di meno: questa verdura è ottima per idratarsi. E per chi ha l’intestino un po’ pigro è un toccasana.
Si chiama indivia belga, ma ormai potremmo conferirle la cittadinanza italiana onoraria visto che è una delle insalate immancabili nel banco del fresco del supermercato e presente 365 giorni su 365, essendo una verdura a foglie di stagione tutto l’anno. Il nome non è un non senso: è stata coltivata e commercializzata per la prima volta in Belgio, nel XIX secolo, partendo dalla cicoria di Magdeburgo. Per questo motivo è anche chiamata lattuga belga, radicchio belga oppure cicoria di Bruxelles, essendo Bruxelles in Belgio, oltre che cicoria witloof: witloof in fiammingo significa foglia bianca e tale specificazione fa riferimento al colore estremamente chiaro delle sue foglie, un giallino così delicato da sfociare nel bianco, dovuto a un procedimento che si chiama forzatura. Cos’è questa forzatura?
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.






