2019-02-24
Si evita la stretta sbloccando i cantieri e con nuovi alleati nel board della Bce
Paolo Gentiloni aveva congelato 16 miliardi dei Comuni, ora lo Sblocca Italia punta a 150 miliardi. Serve anche uno scudo per le banche.L'accordo sul budget europeo è una fregatura: saranno Emmanuel Macron e Angela Merkel a fissare gli standard di bilancio dei Paesi. A chi è fuori, verranno levati i fondi.Lo speciale contiene due articoliDa che esiste il Fondo salva Stati, il nostro Paese ha sottoscritto il 17% delle garanzie sottostanti. Si tratta di 125 miliardi che sono stati destinati al salvataggio di banche europee e soprattutto greche. La cifra effettivamente sborsata non ha superato i 15 miliardi di euro, tutti però sono andati a pesare sul debito pubblico. Si tratta di soldi che teoricamente un giorno dovrebbero tornare indietro. Teoria e pratica viaggiano spesso su strade diverse, tranne quando la sinistra impegna denaro frusciante per far quadrare le richieste di deficit concordate con Bruxelles. Poco meno di due anni fa, per ottemperare all'articolo 81 della Costituzione, l'ex premier Paolo Gentiloni ha pensato bene di bloccare gli investimenti delle amministrazioni periferiche (comma 466 della legge di bilancio 2017) in modo da evitare che il deficit dello Stato schizzasse in su. Poco meno di 16 miliardi che erano già nelle casse degli enti locali. Gentiloni ha fermato l'economia italiana pur di vantare il calo del deficit. Ha fatto l'opposto di quanto il suo partito ora chiede al governo gialloblù: più infrastrutture e più posti di lavoro. Già, peccato che, chi adesso scopre che le infrastrutture di uno Stato dipendono dagli investimenti pubblici, con una certa schizofrenia chiede pure che il deficit continui a calare. La Consulta lo scorso ottobre ha bocciato il provvedimento di Gentiloni: ora Comuni e Regioni possono spendere e teoricamente con tale massa di investimenti potrebbero portare il deficit al 3,2%. Così si torna al punto di partenza. Mentre ci avviciniamo alle elezioni europee, Bruxelles, Berlino e soprattutto Parigi si fanno sempre più insofferenti. Da qui l'idea malsana di bloccare i fondi Ue a chi non rispetta i vincoli. Una sorta di ritorsione che rischia di infilarci in un tunnel al cui fondo ci sono tasse e quindi altra crisi economica. Se non si esce dall'angolo, il prossimo Def dovrà trovare almeno una dozzina di miliardi di risorse aggiuntive. Abbiamo già detto dove ci porterebbe la manovra correttiva. Ecco che la strada per uscire dal tunnel non scappa dal tema degli investimenti pubblici che serviranno per tutti quei cantieri invocati da Confindustria e soci. Se Gentiloni non avesse bloccato 16 miliardi, avremmo avuto un po' più di deficit ma non avremmo visto saltare per aria un lungo elenco di società per le costruzioni. Basti solo pensare che Condotte è finita in concordato a causa di 2 miliardi di euro di crediti verso lo Stato mai incassati e Astaldi da tempo era in attesa di nuovi appalti. Sarebbero bastati 16 miliardi per rilanciare l'economia? Certo che no. Ma - guarda caso - praticamente corrispondevano alla somma versata al Fondo salva Stati. Si sarebbe potuto fare pressione nei confronti di Bruxelles. Invece, si è detto sì passivamente. E adesso le somme da iniettare sono molto superiori. Allo Sblocca Italia servirebbero 150 miliardi. Il Sole 24 Ore ha annunciato un decreto legge che avvierà la riforma del codice degli appalti, «sciogliendo alcune norme che creano maggiore paralisi nella pubblica amministrazione, e consentirà l'uso a tappeto di commissari ad acta in tutti i casi in cui si presentino ostacoli con l'iter dell'opera». Commissari in casi di inchieste della magistratura, in casi di fallimenti dell'impresa appaltatrice, in casi di procedure bloccate, in casi di ritardi progettuali o esecutivi molto gravi. L'obiettivo è liberare i 150 miliardi di risorse (compresi i fondi Ue) già destinate in prevalenza alle infrastrutture e mai spese.«Al decreto d'urgenza si è arrivati sotto il pressing delle imprese furiose per il No alla Tav e lo stop ad altre 600 opere per 36 miliardi (il monitoraggio-denuncia è dell'Ance)», si legge sul quotidiano di Confindustria, ma non si può non notare che l'accelerazione serva per dare un segnale forte a Bruxelles e al Paese che sul fronte della crescita 2019 si vuole giocare la partita. Vedremo. È sicuramente la battaglia più importante che però non dovrà oscurare quella a sostegno del nostro comparto bancario. La Bce è in fase di forte rallentamento. E se sul quantitative easing (il programma di acquisto titoli) non c'è nulla da fare, resta da definire il futuro del programma Tltro, l'erogazione di liquidità alle banche a prezzi prossimi allo zero. Se il programma terminerà bruscamente, le nostre banche saranno le più colpite perché hanno spese di raccolta molto superiori alla media Ue. Dovranno accantonare qualcosa come 240 miliardi. In fase recessiva, il Paese non può permettersi un altro istituto a gambe all'aria. Il governo ha un solo alleato possibile. Si chiama Angela Merkel. Soltanto con il suo sostegno sarà possibile convincere il board della Bce a proseguire l'erogazione di liquidità. Non è un caso se il ministro Giovanni Tria ha fatto capire che il prossimo governatore sarà di Berlino. Per uscire dal ricatto dello stop ai fondi serviranno concessioni alla Merkel. Va convinta che Emmanuel Macron penalizzerà il suo partito. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/si-evita-la-stretta-sbloccando-i-cantieri-e-con-nuovi-alleati-nel-board-della-bce-2629827697.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-ricatto-francotedesco-vogliono-toglierci-soldi-ue-se-non-obbediamo-a-loro" data-post-id="2629827697" data-published-at="1758065113" data-use-pagination="False"> Il ricatto francotedesco: vogliono toglierci soldi Ue se non obbediamo a loro Quelli appena trascorsi sono stati mesi particolarmente difficili, contrassegnati da una trattativa dai toni violenti con Bruxelles e terminati con una procedura d'infrazione evitata per un soffio. Ma nei mesi a venire la morsa dell'Europa si potrebbe stringere con forza ancora maggiore intorno al nostro Paese. Uno dei segnali più significativi del tentativo di isolare l'Italia dalla scena continentale è senza dubbio l'intesa tra Francia e Germania sull'eurobudget. Secondo le indiscrezione del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, Berlino e Parigi avrebbero raggiunto nel corso della settimana un accordo sul bilancio comune dell'eurozona. Nel documento citato dalla Faz, i due Paesi avrebbero messo nero su bianco la volontà di condizionare l'erogazione dei fondiUe alla realizzazione delle riforme nazionali individuate dal semestre europeo. Tradotto in parole più semplici: soldi in cambio di cieca obbedienza. Se Bruxelles giudicherà insufficiente lo «stato di avanzamento lavori» richiesto tramite l'attuazione delle riforme strutturali, niente soldi. Troppo spesso, lamentano infatti i i ministri economici di Parigi e Berlino, gli Stati membri dell'eurozona ignorano le raccomandazioni politiche e insistono nel fare di testa propria. Sebbene il testo firmato dal ministro dell'Economia transalpino, Bruno Le Maire, e dal suo collega tedesco, Olaf Scholz, non menzioni specifiche riforme, preoccupa il riferimento alla necessità di «diminuire i livelli di debito pubblico al fine di creare un margine per l'assorbimento di choc». Un punto finalizzato a penalizzare i Paesi dell'eurozona con percentuali di debito sovrano più alto, tra i quali ovviamente rientra anche l'Italia. Logica vorrebbe che questo tipo di decisioni venissero adottate nelle appropriate sedi e, soprattutto, con modalità collegiali. Francia e Germania, infatti, rappresentano solo due dei 19 Paesi che adottano nel continente la moneta unica. Sebbene l'intesa sia stata sottoscritta dalle due economie più importanti dall'area euro, ciò non significa che questa abbia valore vincolante anche per gli altri, a maggior ragione dal momento che uno dei check point della condizionalità è rappresentato dall'Eurogruppo, la riunione informale dei ministri dell'Economia dell'eurozona da sempre accusata di scarsa trasparenza. Nelle intenzioni dei due proponenti, il budget dovrebbe finanziarsi tramite l'imposta sulle transazioni finanziarie (la cosiddetta Tobin tax) e avere una dotazione iniziale di circa 25 miliardi di euro. Una bazzecola rispetto agli oltre 1.000 miliardi del budget dell'intera Ue, ma l'obiettivo più importante in questo momento è quello di far partire il meccanismo. La notizia dell'accordo sui fondi si inserisce nella cornice dei rapporti, a dire la verità negli ultimi tempi piuttosto altalenanti, tra Francia e Germania, e va inquadrato nel tentativo delle due potenze di ergersi a poliziotti dell'eurozona. Uno degli episodi più rappresentativi di questa saga è stata la proposta di riforma dell'euro, pubblicata a gennaio del 2018 da una task force di economisti franco-tedeschi. Un progetto tutto improntato sulla disciplina di bilancio (in particolare sulla riduzione del debito) e sulla riduzione dei rischi piuttosto che sulla loro condivisione. Furono in molti a vedere anche in quel caso un attacco agli Stati membri meno virtuosi dal punto di vista delle finanze pubbliche, in particolare l'Italia, secondo Paese dell'eurozona dopo la Grecia per rapporto debito/Pil. La crisi politica del presidente Emmanuel Macron, sfociata nella rivolta dei gilet gialli, sembrava aver temporaneamente arrestato questo processo ma la convergenza sul bilancio comune ha riportato a galla l'antica volontà di punire gli Stati più deboli. Una vecchia fissazione di Macron, quella dell'eurobudget, sulla quale l'inquilino dell'Eliseo ha puntato negli ultimi due anni gran parte delle relazioni economiche con Berlino. A turbare il sonno dell'esecutivo italiano, tuttavia, non c'è solo l'apparente ritorno di fiamma delle relazioni bilaterali tra Francia e Germania, plasticamente rappresentata dalla firma - lo scorso 22 gennaio - del trattato di Aquisgrana. La preoccupazione più importante, al momento, è rappresentata dai continui attacchi da parte della Commissione europea sulla disciplina di bilancio, e in particolare sul possibile ricorso a una manovra correttiva. «Stiamo parlando del nulla, abbiamo votato due mesi fa una manovra economica che farà vedere i suoi effetti nei prossimi mesi e parliamo di una futuribile nuova manovra? Vogliamo vedere che cosa succederà», ha dichiarato alcuni giorni fa il vicepremier Matteo Salvini. Proclami a parte, Bruxelles ha dalla sua un'arma potente che ha dimostrato di saper utilizzare in maniera chirurgica: lo spread. Di fronte al rifiuto di correggere i conti da parte del nostro esecutivo, il copione al quale abbiamo assistito a seguito della trattativa con Bruxelles si ripeterebbe uguale e identico, portando con sé nefaste conseguenze per il nostro sistema bancario.