2023-05-03
Si complica la rielezione di Erdogan ma la sua fine non sarebbe la svolta
Recep Tayyip Erdogan (Ansa)
Il malore, l’inflazione e i rifugiati frenano il Sultano appena guarito. Che annuncia la morte del leader dell’Isis in Siria per guadagnare punti. Lo sfidante Kemal Kilicdaroglu dà poche garanzie sull’islam e sui rapporti con Mosca.Recep Tayyip Erdogan è riapparso in pubblico e, tre giorni fa, ha affermato che il presunto capo dell’Isis, Abu Hussein AlQurashi, sarebbe stato «neutralizzato» in Siria. Ora, la ricomparsa del presidente turco mette forse a tacere le indiscrezioni che vedevano come particolarmente gravi le sue condizioni di salute. Questo non significa però che si trovi necessariamente in forma smagliante, mentre il malore che ha avuto la settimana scorsa in diretta televisiva certo non lo rafforza politicamente, in vista delle elezioni del 14 maggio. Elezioni che per Erdogan si sono da tempo rivelate piuttosto in salita a causa di numerosi problemi: dall’inflazione elevata alla questione dei rifugiati siriani, passando per la sua discutibile politica edilizia. Non si può quindi escludere lo scenario di una sua sconfitta alle imminenti presidenziali. Il punto è cercare di capire cosa potrebbe voler dire dal punto di vista politico e geopolitico questa eventualità. Il principale avversario del Sultano è Kemal Kilicdaroglu: leader del Partito popolare repubblicano, attualmente a capo di una coalizione elettorale, denominata Alleanza della nazione. Ebbene, parte della stampa europea ha già confezionato un santino di Kilicdaroglu, presentandolo come una figura che, qualora vincesse, porterebbe la Turchia su posizioni decisamente filoccidentali e democratiche. Tuttavia la situazione rischia di rivelarsi un po’ più complessa. Sia chiaro: qui nessuno nega che Erdogan risulti un leader controverso, spregiudicato, dai tratti autoritari e pericolosamente vicino ad ambienti islamisti. Questo non deve però portare a credere ingenuamente che l’alternativa sia tutta rose e fiori. In primis, come notato dalla rivista Foreign Policy, l’Alleanza della nazione è una coalizione fortemente eterogenea, il cui unico elemento coesivo è l’opposizione a Erdogan. Al suo interno troviamo infatti uno schieramento socialdemocratico, come il Partito popolare repubblicano, insieme a varie sigle considerate di centrodestra (come il Partito del futuro). Non solo. La coalizione ospita anche il Partito della felicità: una compagine islamista che intrattiene rapporti con i Fratelli musulmani (basti pensare che, ad aprile 2021, il suo leader attuale, Temel Karamollaoglu, ricevette ufficialmente uno dei dirigenti della Fratellanza, Hammam Ali Youssef). Ne consegue che, se dovesse vincere, Kilicdaroglu avrà grosse difficoltà a governare, rischiando di ritrovarsi in una situazione simile a quella dell’Unione di Romano Prodi nel 2006. In secondo luogo, al di là delle divisioni interne, non è detto che sui programmi l’Alleanza della nazione auspichi poi chissà quali svolte rispetto a Erdogan. Un primo esempio, lo abbiamo accennato, riguarda la questione della laicità, vista la presenza in coalizione di uno schieramento islamista, come il Partito della felicità. Un secondo nodo è poi quello della politica estera. Kilicdaroglu sostiene, sì, di voler rilanciare il processo di adesione della Turchia all’Ue e far sì che Ankara si allinei alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. Dall’altra parte, tuttavia, si scorgono idee controverse e a tratti confuse. Secondo la testata Al Monitor, la coalizione dice di voler rientrare nel programma americano dei caccia F-35, ma non si è impegnata chiaramente a rinunciare al sistema missilistico S-400 che Erdogan ha acquistato da Mosca. Di fatto Kilicdaroglu non ha alcuna intenzione di rompere con la Russia e non a caso, come sottolineato dal think tank americano Wilson Center, le sue posizioni sulla crisi ucraina sono piuttosto ambigue. «Né il Partito popolare repubblicano né il suo partner principale, il Buon partito, sembrano pronti ad abbandonare i loro legami economici ed energetici con Mosca e ad aderire alle sanzioni dell’Occidente», ha sottolineato lo stesso Wilson Center. Era invece giugno scorso, quando Kilicdaroglu prese le distanze dall’approccio maggiormente distensivo, adottato da Erdogan, verso Israele e Arabia Saudita: d’altronde, a maggio 2021, aveva accusato lo Stato ebraico di aver compiuto un «massacro» ai danni dei palestinesi. Il mese successivo, Kilicdaroglu promise inoltre che, se fosse arrivato al potere, avrebbe normalizzato i rapporti con Damasco, anche per rimandare in Siria gli oltre tre milioni di rifugiati presenti sul territorio turco. È anche in questo quadro che, il 10 aprile scorso, Kilicdaroglu ha avuto parole distensive e amichevoli verso Siria e Iran. Ricordiamo che da alcuni mesi Mosca sta cercando di mediare tra Erdogan e Bashar Al Assad per un disgelo diplomatico: qualora l’operazione riuscisse il risultato sarebbe l’avvicinamento ulteriore di Ankara a Mosca e Pechino. Infine, ma non meno importante, a giugno scorso Kilicdaroglu ha sposato la linea dura del Sultano sui rapporti con la Grecia nell’Egeo: un fattore che potrebbe minare il suo tentativo di avvicinamento all’Ue e, soprattutto, creare turbolenze in seno alla Nato. Insomma, al di là del problema di un probabile aumento dell’instabilità politica, è tutto da dimostrare che un’eventuale vittoria di Kilicdaroglu potrà avvicinare realmente la Turchia all’orbita occidentale.
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