2025-05-24
Sfruttano l’«interesse» dei bambini per legittimare i capricci degli adulti
La tutela dei minori, invocata dalla Consulta nella sentenza sulle due mamme ed elogiata dai giornali, sembra più un pretesto: usando i piccoli, si aggirano leggi e democrazia. E poi, i figli non hanno pure diritto a un papà?L’interesse del minore: quando si tira fuori la formula magica, non resta che alzare le mani. Eppure, qualcosa da obiettare ci sarebbe. Tipo: è nell’interesse di un minore non conoscere mai il proprio padre naturale? E nella sentenza della Consulta sulle due mamme, in ballo c’è davvero l’interesse del minore? Oppure l’interesse del minore è la foglia di fico con cui si nasconde la legittimazione di desideri e capricci di alcuni adulti?La Corte ha stabilito che è mamma anche la compagna lesbica di una donna che abbia fatto ricorso alla procreazione medicalmente assistita all’estero. E per questo i giornali, ieri, giubilavano. Le toghe, applaudiva ad esempio La Stampa, «riconoscono e interpretano meglio del legislatore la società in cui viviamo». Come se il compito dei «giudici custodi della Costituzione» non fosse, appunto, quello di custodirla, cioè di preservarla da leggi che ne violano i principi, bensì quello di aggiornarla in relazione allo spirito del tempo. Del quale l’élite giudiziaria - utilizziamo la felice definizione di Nicolò Zanon - si è arrogata la facoltà di essere l’interprete privilegiata.La Consulta, da presunto contropotere, si è fatta potere vero e proprio. Aggrappandosi al sacro postulato: l’interesse del minore. Ma se prevale quello anziché la vituperata antropologia fondata sulla nozione di famiglia tradizionale, allora bisogna spalancare le porte a qualunque «formazione sociale». «Se è interesse del minore essere riconosciuto anche dalla madre intenzionale», si domandava il quotidiano torinese, «perché [...] ciò non dovrebbe valere anche per i figli di due padri?». Perché l’eterologa sì e la gestazione per altri no? Eccolo, il prossimo passo: sdoganare l’utero in affitto. Da reato a diritto. In nome dei diritti dei bimbi. Ma chiamarli in causa è la strategia per celare la verità: gli autentici diritti dei bimbi, qui, non c’entrano. I diritti che i figli maturano una volta venuti al mondo sono il grimaldello che gli adulti sfruttano per validare le loro aspirazioni. E chi si oppone non è soltanto un omofobo e un discriminatore; è «in guerra» con quei bimbi.Voglio essere genitore a dispetto dei dati di realtà; per riuscirci, mi servo della tecnica e del denaro; dopo, mi presento in un tribunale, che si crede non banalmente tutore dell’ordinamento bensì suo demiurgo; ed esigo che esso crei dal nulla concetti giuridici privi di un corrispettivo ontologico. Lo ius senza res, di cui parla qui sotto il professor Daniele Trabucco: la «madre intenzionale», la «famiglia monoparentale». Peraltro, il verdetto della Corte non è intervenuto a correggere alcuna ingiustizia, alcun abuso nei confronti dei piccoli: la donna che afferma di condividere il progetto familiare della propria compagna può ricorrere all’adozione in casi particolari, che è già permessa. Ciò che dovrebbe cambiare, da adesso in poi, è che il suo riconoscimento in quanto mamma sarà immediato e automatico. Nemmeno più la fatica burocratica di incassare la fictio iuris: la norma inventa ciò che la natura ha escluso.Da questo punto di vista, è più onesto il ragionamento che ha sviluppato Michela Marzano su Repubblica. Non è il «lasciapassare morale (fondato sulla biologia più che sul desiderio di paternità e maternità)» che conferisce un titolo a diventare genitori, ha affermato, bensì «un desiderio forte». Certo, la filosofa ha aggiunto che quel desiderio deve essere «responsabile». Non basta pensare intensamente ai famosi cento talleri di Kant per ritrovarseli in tasca; bisogna, in qualche modo, meritarseli. Ma chi è che stabilisce se il «desiderio forte» è pure abbastanza «responsabile»? Gli editorialisti che tirano fuori le paroline miracolose - «amore», «protezione», «accudimento», «stabilità»? Tutte caratteristiche che le famiglie non tradizionali immancabilmente possiedono, mentre la coppia uomo-donna è passibile di diventare «violenta, tossica, delinquente». Oppure l’oracolo sono i giudici?È bizzarro che, nelle stesse pagine che il giornale di largo Fochetti dedicava alla Consulta, Concita De Gregorio raccontasse del «quasi mezzo milione di persone che cercano la loro origine», ossia «figli in cerca delle origini, madri in cerca dei figli» che non hanno potuto conoscere. Evidentemente, al di là dei legami artificiali e «intenzionali», la natura è testarda. E deposita in ognuno di noi un richiamo irresistibile: quei bambini e quelle bambine concepiti in provetta, assegnati alle coniugi lesbiche, un giorno forse si domanderanno di chi era il seme che li ha generati. Nella rimozione a priori del padre - persino la Corte, nella decisione sulle madri single, è sembrata accorgersene - non c’è alcun progresso da celebrare.È un peccato che non se ne sia reso conto Avvenire, l’organo dei vescovi italiani, vincolati da un dovere d’obbedienza a un Santo Padre che pochi giorni fa l’ha ribadito: la famiglia è composta dall’«unione stabile tra uomo e donna». L’ambiguo editoriale di prima pagina, ieri, si è incartato così: «Dove natura è stata alterata, la legge deve trovare rimedio». Il danno è stato fatto e occorreva mettergli una toppa. Alla fine, non cambia molto rispetto alla versione progressista: la Corte ha comunque ragione. Perché, assicura il foglio della Cei, in gioco non c’è «l’aspirazione alla genitorialità omosessuale», semmai «l’interesse del figlio a ottenere l’adempimento dei doveri genitoriali». Come se, in assenza del timbro di un Comune, la «madre intenzionale» non avesse già l’«intenzione» di adempierli tutti. L’interesse del minore è una copertura. O peggio: una leva negoziale. Uno strumento per chiedere ai giudici delle leggi di aggirare la democrazia. Per costoro, un invito a nozze.
Massimo Cacciari (Getty Images)
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo