2023-03-01
I servizi italiani: «Le navi Ong un vantaggio per gli scafisti»
Il report dell’intelligence conferma i sospetti. Ora bisogna che l’Ue dia subito seguito alle decisioni dell’ultimo Consiglio europeo: difesa dei confini, patti con i Paesi afro-asiatici e campagna per scoraggiare le traversate.Tutti gli osservatori intellettualmente onesti, meno di venti giorni fa, hanno salutato con grande favore la rilevante novità scaturita dall’ultimo Consiglio europeo. Lo abbiamo sottolineato allora e lo ribadiamo oggi: si è trattato di un oggettivo successo di Giorgia Meloni e del suo governo. Non solo un generico riconoscimento (già detto e scritto mille volte) del tema migratorio come una «questione europea», ma molto di più: e cioè l’affermazione di una specificità dei confini marittimi rispetto ai confini di terra dell’Ue. In altre parole, per la prima volta in modo così netto, si sono poste le basi per uscire dal dibattito-trappola sulla redistribuzione degli aventi diritto d’asilo (che a loro volta, come sappiamo, raramente superano il 10% di tutti quelli che arrivano): e peraltro, in quel caso, si tratta di un meccanismo di redistribuzione ostacolato dall’elemento della volontarietà da parte dei diversi Paesi. Per la prima volta, invece, è stata posta la questione nei suoi termini più opportuni: il presidio dei confini marittimi come difesa del perimetro esterno dell’Unione.Il punto è che adesso la tragedia di Crotone non consente più di girare intorno al problema. Se l’Ue ha deciso di muoversi nel senso della difesa dei suoi confini esterni, stavolta deve farlo davvero, dando sostanza all’obiettivo politico che ha detto di voler perseguire. È immaginabile una panoplia di strumenti: intese con i Paesi da cui avvengono oggi le partenze (per ridurle quanto più possibile), stanziamento di adeguati finanziamenti per irrobustire e facilitare questi accordi, attività sistematiche di pattugliamento e interdizione marittima (sempre concordate con quei Paesi), corridoi umanitari per gli aventi diritto d’asilo, misure di contrasto contro i trafficanti di esseri umani. Ma occorre che queste ed altre azioni prendano corpo: se già ora (mentre siamo in una gelida e pericolosa coda dell’inverno) le partenze sono così numerose, è fin troppo facile immaginare cosa accadrà tra poche settimane, quando la primavera sarà in avvicinamento e le condizioni meteo e quelle del mare saranno decisamente più propizie. Su questo giornale, da molti anni parliamo del modello australiano, caratterizzato dallo slogan autoesplicativo «fermare le navi per fermare le morti». Quel meccanismo richiede un’attività costante, peraltro affiancata da una sistematica campagna di comunicazione preventiva in funzione dissuasiva. Bruxelles - adesso - non può più tergiversare. Pena lo scaricare sull’Italia un problema insostenibile, oltre che l’alimentare un traffico illegale che è destinato a trasformare il Mediterraneo in un inferno. Né può essere accettabile che la prosecuzione dell’inerzia europea consenta agli immigrazionisti di fare sciacallaggio politico a danno dei governi, come se - in un surreale rovesciamento delle parti e della realtà - la responsabilità delle morti dovesse essere traslata dagli scafisti ai ministri degli Interni. In questo quadro, un ulteriore eloquente elemento di riflessione è venuto dalla relazione annuale dell’intelligence italiana sulla politica dell’informazione per la sicurezza. Nella parte relativa ai rischi connessi all’emergenza immigrazione, a pagina 37, si legge testualmente: «Sebbene nel corso del 2022 l’incremento più significativo dell’attività di soccorso in mare abbia riguardato le operazioni del Dispositivo istituzionale (ad esempio Frontex, Guardia costiera, Guardia di finanza), si registra anche l’aumento del soccorso in mare effettuato dalle navi Ong, principalmente in area Sar libica». E ancora: «Le attività Sar vengono spesso pubblicizzate sui social network dai facilitatori dell’immigrazione irregolare quale garanzia di maggiore sicurezza del viaggio verso l’Europa». E fin qui tutto torna: è ovvio che scafisti e trafficanti di esseri umani valorizzino, ai propri fini, ogni attività che rappresenti un elemento di potenziale rassicurazione verso i disperati a cui vogliono sottrarre qualche migliaio di dollari. Ma attenzione alla parte successiva delle affermazioni della nostra intelligence: «In tale contesto, la presenza di navigli Sar, infatti, rappresenta un vantaggio logistico per le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico dei migranti, permettendo loro di adeguare il modus operandi in funzione della possibilità di ridurre la qualità delle imbarcazioni utilizzate, aumentando correlativamente i profitti illeciti, ma esponendo a più concreto rischio di naufragio le persone imbarcate». In altri termini, a fronte di queste altre attività navali e di potenziale soccorso, che fanno i trafficanti? Non hanno alcuno scrupolo nel massimizzare il profitto e nel ridurre le spese, anche costringendo i malcapitati a imbarcarsi in situazioni di crescente precarietà. Con le conseguenze che ciascuno può facilmente immaginare: mettere in acqua un guscio di noce carico di esseri umani, mentre le condizioni del mare sono già negative, significa far salire il livello del rischio in modo estremo. Una ragione di più, per l’Ue, per muoversi e dire basta.