2019-11-11
Serve il «fine pena mai», non i premi agli assassini
La storia di Antonio Cianci andrebbe letta e riletta. Anzi, imparata a memoria. Non nelle aule scolastiche, ma in quelle di tribunale. In particolare, andrebbe declamata nell'aula della Corte costituzionale come la storia esemplare del perché un ergastolo debba essere un ergastolo e non una vacanza premio.Nonostante alle anime belle della Consulta e anche a quelle della Corte europea dei diritti dell'uomo, il «fine pena mai» non piaccia e lo ritengano una specie di tortura da vietare nella civilissima Europa, esso non ha una finalità punitiva, ma una funzione precisa, ossia impedire che gli assassini tornino a uccidere altre persone. Antonio Cianci era un ragazzo quando ammazzò la prima volta, sparando alla testa di un metronotte che aveva avuto il solo torto di incontrarlo sulla sua strada. Cianci lo uccise come un cane, ma essendo minorenne, nonostante il delitto di lì a poco tornò in circolazione, pronto per un altro omicidio. Infatti, dopo, di assassinii ne commise altri tre. Fermato a un posto di blocco da una pattuglia di carabinieri mentre era alla guida di un'auto rubata, Cianci uccise i tre militari, sparando prima che i poveretti si rendessero conto di avere davanti un killer. Condannato all'ergastolo e tenuto dietro le sbarre per decenni, l'altro giorno gli è stata concessa una licenza premio e per riconoscenza Cianci ha pensato bene di tagliare la gola a un pensionato colpevole di non essere generoso con lui. Mentre vagava nel piano interrato dell'ospedale San Raffaele, a Milano, il killer seriale ha incontrato l'uomo e gli ha chiesto di consegnargli il portafogli. Al rifiuto dell'anziano, Cianci ha messo mano al coltello e lo ha colpito al collo. Solo il caso ha voluto che al pensionato non fosse tagliata la carotide e solo il caso ha voluto che il tentato omicidio sia stato messo in atto nel sotterraneo di un ospedale, dove il pronto soccorso è stato possibile.Cianci l'hanno arrestato poco dopo i carabinieri in servizio presso il nosocomio e identificarlo non è stato difficile, perché aveva ancora le mani sporche di sangue e il coltello con sé. Così, il detenuto in permesso premio è tornato dove era giusto che stesse fin dall'inizio di questa storia, cioè dietro alle sbarre.Fin qui la vicenda potrebbe sembrare un ordinario caso di criminalità, da liquidare in cronaca, fra gli incidenti e i delitti del giorno. E invece no, il caso di Antonio Cianci non è roba ordinaria, da nascondere nelle pagine interne, ma è da prima pagina, perché spiega come il «fine pena mai» debba essere una pena che non si esaurisce e non un permesso premio.La storia del pensionato che ha rischiato la vita perché qualcuno ha deciso di scarcerare Cianci vale più di qualsiasi dotta argomentazione giuridica sulla funzione rieducativa del carcere. E, come detto, andrebbe letta e riletta nelle aule di giustizia oltre che in quella della Corte costituzionale. Perché di recente, i togati della Consulta hanno stabilito che l'ergastolo senza permessi premio non è costituzionale. In linea con quello che pensa la Corte europea dei diritti dell'uomo, i nostri giudici vorrebbero che terroristi e mafiosi, cioè detenuti pericolosi, ogni tanto fossero rimessi in circolazione, mandandoli a casa in visita ai parenti. Tenerli dentro sempre, cioè senza che la pena finisca mai come recita il nostro codice, sarebbe una tortura e dunque l'Italia rischierebbe di finire in fondo alla lista delle nazioni democratiche, in compagnia dei peggiori regimi.Ma se i detenuti non possono essere detenuti e anzi debbono essere premiati e scarcerati, a che serve minacciare l'ergastolo nel codice penale? Già adesso il «fine pena mai» non esiste, perché nessuno sconta più di 30 anni, a meno che non si tratti di un mafioso o di un terrorista, ma anche per quelli la scorciatoia è sempre pronta e ora - dopo la pronuncia della Consulta - lo sarà sempre di più. Già abbiamo concesso ai criminali che si pentono ogni genere di beneficio, anche di tornare in fretta in libertà per poter ricominciare delinquere (è dei giorni scorsi la notizia di un mafioso premiato per aver cantato, ma che una volta fuori ha ricominciato a fare ciò che faceva prima). Già un anno di carcere non è un anno di carcere, perché per chi sta dietro le sbarre gli anni non sono composti da 12 mesi, bensì da meno di 11. Se poi ci mettiamo pure il permesso premio per chi uccide i pensionati dopo aver ucciso quattro cristiani e la vacanza la concediamo anche a chi ha sciolto un bambino nell'acido, beh, il carcere facciano prima ad abolirlo. Scriviamo nella Costituzione che la prigione è virtuale e solo il delitto è qualche cosa di concreto e poi chiudiamola lì, così almeno non prenderemo in giro gli italiani.
Kim Jong-un (Getty Images)
iStock
È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
Continua a leggereRiduci
Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)