2019-12-30
Giuseppe Provenzano: «Senza Sud il Nord non cresce. Su Milano resto della mia idea»
Il ministro per il Meridione, secondo cui la città lombarda non restituisce nulla al Paese: «Le due Italie sono interdipendenti. Dai giallorossi investimenti, non assistenzialismo».Ministro Provenzano, il governo ha tre mesi, ma sembra che non troviate mai tregua.«È vero. Ma non siamo mammolette». Cosa intende?«Molti di noi fanno parte di una generazione di politici trenta-quarantenni che si è formata dopo gli anni Novanta: nella crisi».Ad esempio chi?«Roberto Gualtieri, Vincenzo Amendola, Francesco Boccia, lo stesso Stefano Patuanelli: abbiamo riferimenti comuni, puntiamo sugli investimenti, su un nuovo ruolo pubblico nell'economia».Ma siete sempre in emergenza.«Dopo la manovra, dobbiamo condividere le priorità e rilanciare un'agenda sociale. Ambiente, istruzione, lavoro. Creare lavoro per i giovani, soprattutto al Sud, migliorare la qualità e i salari».Lorenzo Fioramonti si è dimesso per mancati fondi all'istruzione e il taglio del cuneo vale solo 40 euro a busta paga. «Dobbiamo fare di più. Ma con la situazione che abbiamo ereditato non si può fare tutto e subito». E l'addio del ministro?«Fioramonti doveva dimettersi nel governo precedente, non in questo che ha invertito la rotta».Giuseppe Provenzano è il più giovane ministro del Pd, ma il suo peso sale dopo la conferenza stampa di fine anno, in cui Giuseppe Conte dice che un terzo delle risorse saranno investite nel Meridione. È finito nelle polemiche sul ruolo di Milano, e in questa intervista risponde, spiega, anche alla luce della sua biografia, il proprio «meridionalismo». Conte ieri ha annunciato il 34% di spesa pubblica al Sud.«Non è un regalo, è la popolazione del Sud. Vogliamo affermare un principio di equità per garantire servizi più dignitosi e far sì che le risorse europee siano davvero aggiuntive. Se si vuole colmare il divario, bisogna almeno assicurare pari condizioni di partenza». Il Nord si arrabbierà?«Perché dovrebbe? Per il Nord è un'opportunità. Se investi 10 euro al Sud, 4 tornano alle imprese del Nord attivando domanda di beni e servizi. Basta contrapposizioni, riscopriamo l'interdipendenza».C'è il rischio di un ritorno assistenzialistico?«Gli investimenti sono il contrario dell'assistenzialismo. È meglio dare il pesce o insegnare a pescare? Questa è la canna da pesca».Il Pd dopo il caso Fioramonti è più preoccupato della tenuta del governo?«La tenuta dipende da quel che si fa e il rumore di fondo a ogni passo non aiuta. Per l'anno nuovo servono nuovi propositi, nel merito e nel metodo».Lei da dove viene?«Da Milena, 43 chilometri da Caltanissetta. Per andare al liceo ci mettevo un'ora e un quarto».Milena è vicina a Racalmuto, il paese di Leonardo Sciascia.«Per dare un'idea di questo paesaggio: tra Milena e Racalmuto c'è solo una miniera di sale».Lei è ambientalista? «I primi difensori dell'ambiente sono stati i contadini. L'abbandono di quelle campagne è un problema rimosso del nostro Paese».Un problema per il ministro del Meridione.«È una sfida per tutto il Paese. La tenuta sociale e una vita di comunità nelle aree interne al Nord come al Sud».Lei è meridionalista, confessi.«C'è un legame fortissimo tra campagne e politica nella storia d'Italia. E il Sud, se ha svolto un ruolo, lo ha svolto a partire dalla terra».Parla della Repubblica?«Sì. Le prime vere politiche per il Sud - dagli stralci della riforma agraria fino alla cassa del Mezzogiorno - nascono nel dopoguerra. Il piano di Giuseppe Di Vittorio è del 1949».E poi c'è il boom.«Noi lo chiamiamo “miracolo economico", ma di miracoloso non c'era proprio nulla. Era figlio di catene di comando, di strumenti di intervento costruiti per quel fine».Ad esempio? «La Cassa. Gli istituti per il credito speciale. Le partecipate pubbliche».È nostalgico?«Il mondo oggi è totalmente cambiato, molti strumenti non sono replicabili. Ma se non ritroviamo il senso di una missione nazionale per lo sviluppo non avremo fatto nulla».Lei come arriva a sinistra?«Per la scuola. Il giorno della strage di Capaci era la vigilia della mia prima comunione».Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non portano necessariamente a sinistra.«Produssero nella nostra generazione una idea di coscienza civile. Vedere le bombe a casa tua ti segna, come una guerra».E poi?«Il 1993 fu un anno di grande emergenza civile. E in Sicilia le parole di Oscar Luigi Scalfaro risuonarono più serie e drammatiche che altrove».«L'Italia risorgerà».«Quella frase ci segnò, concludemmo così la recita di fine anno. Imparammo i canti popolari della Resistenza e del risorgimento, dei soldati in guerra».Si è laureato a Pisa, poi però è tornato in Sicilia. «Per fondare il Pd nella mia provincia. Mi calo nelle ferite di quella terra».Ma rinuncia a una candidatura con posto certo.«Nel 2018. Mi proponeva la minoranza di sinistra, Matteo Renzi mi piazzò dietro la figlia di Totò Cardinale».Ex ministrone dell'Udc. Così grave?«Seggio ereditario. Dissi: “Preferirei di no". Ma da lì è iniziato un nuovo impegno. Sono entrato in segreteria con Nicola Zingaretti».E poi c'è il suo rapporto con Emanuele Macaluso, il grande vecchio del Pci. «Nasce a Pisa, ad una presentazione del suo libro, Cinquant'anni nel Pci».Lei si presenta, gli dice il nome del suo paese e lui che a Milena aveva fatto il suo primo comizio. «Per monarchia o Repubblica! Aveva 22 anni, e parlava a una piazza di donne con i fazzoletti rossi». Vi vedete sempre?«Ogni settimana pranzo con Emanuele, le mie ripetizioni di politica. A Testaccio, in trattoria».Lui era contro il governo giallorosso.«Vero. Ma il giorno prima del giuramento gli ho detto: “Emanuè, forse c'è questa cosa. Che devo fare?"».E lui?«Mi dice: “Se lo riesci a fare nel segno della discontinuità accetta"».Lei ha detto: «Il Jobs act è stato percepito come un gesto ostile dal mondo del lavoro».«E purtroppo lo è ancora. Il Pd dovrà affrontare questa ferita».Con Zingaretti siete amici?«Abbiamo costruito un rapporto in segreteria e nei giorni difficili della crisi. Gli invidio la pazienza da Giobbe».E il nuovo Pd?«Nicola ha avviato un percorso di cambiamento. Ma è ancora insufficiente, non ci si può illudere che il governo risolva».Davvero?«Ma intanto Zingaretti ha abbattuto il muro di ostilità che circondava il Pd».Lei ha fatto infuriare i leghisti con le frasi su Milano: «Non restituisce quasi niente all'Italia».«Era una costatazione sull'aumento dei divari. Ma voglio tenere questo punto, molto controcorrente: è anche il Nord ad avere bisogno del Sud, non solo il contrario».Ne è sicuro?«L'idea di molti leghisti, «liberiamoci della zavorra», fa male prima di tutto al Nord».È lo studioso di Svimez che parla? «Ne ho scritto. Il Nord è cresciuto poco, in questi anni, anche per i mancati investimenti al Sud. È l'interdipendenza, la chiave dello sviluppo: è già accaduto nella nostra storia».E accadrà di nuovo?«Ne sono convinto. Se perdi il Sud non diventi locomotiva, ma un vagone di scorta dell'economia tedesca».Dicono: i giovani del Sud non vogliono spostarsi per il lavoro.«Lo dice a uno che è partito come 500.000 miei coetanei in questi anni: è una sciocchezza».Si sente ministro del Meridione? «Per nulla. Ho voluto la delega alla coesione territoriale. Ho rilanciato la Strategia per le aree interne. Ci sono luoghi dimenticati anche al Nord: campagne deindustrializzate, paesi spopolati. Il “diritto a restare" al Sud è pari a quello di chi abita in una valle piemontese. Vorrei essere il ministro dei “luoghi che non contano". Per farli contare».Quando inizia il declino della sinistra?«Quando si sono cancellate le storie, politiche e personali, per darsi allo storytelling».Patisce l'accusa di radicalchicchismo?«Con la mia storia? Leggo le critiche a Greta Thunberg. Ma quella ragazzina, coi suoi modi, ci dice: salvare il pianeta significa riformare questo capitalismo. Molti sottovalutano forza e messaggio simbolico».Perché? «I giovani trovano un esempio in una ragazzina più piccola di loro. E scendono in piazza. Anche le sardine non si spiegherebbero senza le manifestazioni sul clima».Ma la sinistra di oggi le pare attrezzata sulla crisi?«Viviamo un tempo di rivoluzioni. L'innovazione ha sempre avuto un esito di destra e uno di sinistra. La rivoluzione industriale - all'inizio - peggiorò le condizioni dei più poveri. Per diffonderne i benefici, servirono le lotte».E quindi?«Bisogna lottare ancora oggi. Proteggere le persone se la tecnologia le lascia in mezzo a una strada e orientare l'innovazione alla sostenibilità sociale e ambientale. Potremo rispondere alle domande dei nostri figli solo consegnandogli un mondo più pulito».
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