
I social network visti con gli occhi dello scrittore. Online parliamo tutti degli stessi argomenti, e pubblichiamo tutti la stessa foto, come per urlare: «Guarda, sono bello e intelligente». L'alternativa è uguale e contraria: ignorare a ogni costo il tema del giorno.Tra la metà e la fine del luglio di quest'anno ero in Russia, a San Pietroburgo prima e a Mosca poi, e quando mi collegavo a Internet, la sera, o la mattina, sui social, quelli che frequento io, che sono Facebook e Twitter, quasi tutti parlavano della stessa cosa, che poi era una persona, il ministro dell'interno di una Repubblica dell'Europa meridionale che si chiama Repubblica italiana.La cosa era abbastanza stupefacente perché in Russia, tra la metà e la fine del luglio di quest'anno, per strada, in metropolitana, nei mercati, nei bar, nei musei, davanti a dei quadri stupefacenti come Il ritratto di Anna Achmatova di Natan Al'tman, o come La Trinità di Andrej Rublëv, o come il Quadrato nero di Kazimir Malevic, nessuno parlava del ministro dell'interno di una Repubblica dell'Europa meridionale che si chiama Repubblica italiana.Allora lì io mi ero chiesto una cosa: «Non hai vergogna», mi ero chiesto, «a non parlare anche tu del ministro dell'Interno di una Repubblica dell'Europa meridionale che si chiama Repubblica italiana?». E mi ero risposto che no, non avevo vergogna. Poi, una volta tornato, dal quotidiano La Verità mi hanno chiesto di scrivere qualche pezzo sui social network, e io ho pensato che non lo sapevo, se sarei stato capace, perché io, dei social network, non ne sapevo moltissimo, una delle poche cose che sapevo era che, sui social network, parlano tutti della stessa cosa. Per esempio, l'altro giorno, ero tra Bologna e Casalecchio di Reno che stavo correndo, mi è suonato il telefono era una, gentilissima, giornalista del Corriere della Sera che mi ha chiesto, siccome io avevo scritto il romanzo che avevo scritto, se volevo scriver qualcosa per il suo quotidiano sulla cosa che stava succedendo a Borgo Panigale.Io le avevo chiesto che romanzo avessi scritto, perché mi sembrava di averne scritti tanti, di romanzi, e lei mi aveva detto che avevo scritto Grandi ustionati, che è un romanzo che ho scritto tanti anni fa dopo che, nel 1999, mi sono ustionato e sono stato in ospedale, al centro Grandi ustionati di Parma, per 77 giorni.Io allora avevo capito e le avevo detto che non sapevo niente di quelli che erano stati ustionati a Borgo Panigale, e che le ustioni sono tutte diverse l'una dall'altra e che io, le avevo detto, non ce la facevo a scrivere niente, della disgrazia di un altro, senza conoscerlo, senza studiarlo, così, dalla comodità della mia nuova cucina.E lei mi aveva ringraziato e ci eravam salutati e dopo poi basta, avevo ricominciato a correre, poi ero tornato a casa, avevo aperto i social, tutti parlavano di quel che era successo a Borgo Panigale e io mi ero goduto la mia originalità di persona che non scriveva niente dalla comodità della sua cucina nuova.Quindi la cosa dalla quale partire, se volessi scrivere una breve serie di articoli sui social network, sarebbe questa: che quando siamo sui social network, tendiamo a parlare tutti della stessa cosa, tranne quelli che ostentano la propria originalità come me che tendiamo a non parlare tutti della stessa cosa che è uguale, più o meno.Ci lamentiamo, prevalentemente, sui social network. Ci indigniamo. Cioè: ci lamentiamo degli altri. Credo si dica «Mettere alla berlina». Che non so cosa, sia, la berlina, e penso che non c'entri niente con «l'automobile con carrozzeria ad abitacolo chiuso, a due o quattro porte, dotata di bagagliaio posteriore» della quale parlano i dizionari alla voce «Berlina», ma ci siamo capiti.E ci mettiamo in mostra. Anche nelle foto, ci atteggiamo come se volessimo dire: «Guardami guardami come son bello». Anche quelli che non mettono foto, come me, che cerco di non metterne un po' perché non sono capace, di far delle foto, un po' perché se no che originale sarei, se ne mettessi, le mettono tutti. Ma parliamo un attimo di me. Negli articoli di giornale nessuno parla di sé, io, da originale, vorrei parlare un altro po' di me, che è un argomento, tra l'altro, sul quale ne so molto di più, che sui social network. Io, siccome ho studiato russo, dopo che mi son laureato per qualche anno ho fatto l'interprete, e una volta avevo fatto un interpretariato per degli architetti di Piacenza che avevano invitato una delegazione che, mi avevano detto, comprendeva alcuni dei principali collaboratori di Boris Elstin per l'architettura. Questi architetti russi quando erano poi arrivati eran vestiti in un modo, avevano dei girocollo mistolana, ce n'era uno che aveva un cappellino da ciclista, e un borsello a tracolla, e due occhiali con delle lenti spessissime e in mano, sempre, una macchina fotografica, e fotografava tutto.Gli architetti di Piacenza, tutti eleganti, Armani, Versace, erano stupefatti, a vedere i loro colleghi ex sovietici, e i loro colleghi ex sovietici erano stupefatti, a vedere i loro colleghi piacentini, e una volta gliel'avevano anche detto. Il capo della delegazione russa aveva detto, al capo della delegazione piacentina: «Sembrate dei patrizi, come siete vestiti». Io avevo tradotto, e il capo della delegazione piacentina era rimasto un attimo così che non sapeva cosa dire poi aveva detto «Patrizi? Mia moglie si chiama Patrizia». Ecco io, mi ricordo, anche se ero italiano, io, da originale quale sono, in quella discussione ideologica ero tutto dalla parte dei russi e dei loro maglioni mistolana. Se fossi nato in Unione Sovietica, probabilmente, in quella discussione ideologica sarei stato dalla parte degli architetti piacentini e dei loro completi eleganti.E questa cosa l'ho detta perché mi sembra che questo «Guardami guardami come son bello» abbia, in sé, un valore ideologico che a noi forse sembra che sia anche normale invece io ho il dubbio che non sia normale per niente. Dopo, come saprete, recentemente in Italia è crollato una infrastruttura, in Liguria, che tutti adesso stanno parlando dell'infrastruttura che è crollata in Liguria, e quelli come me che tengono alla propria originalità, e la ostentano (come se dicessero «Guardami guardami come sono originale») non ne parlano affatto, dell'infrastruttura che è crollata in Liguria, che è come se ne parlassero. Allora secondo me, io alla fine ho pensato che questa piccola serie sui social network, forse potrei anche scriverla, e che forse mi sarebbe utile per capire un po' meglio come ci comportiamo, quando entriamo in un social network, tutti, sia gli originali come me che gli altri che non sono originali affatto. E allora adesso, nelle prossime settimane, una volta a settimana, dalla comodità della mia cucina nuova, proverò a mandare alla Verità un pezzo che parlerà di social network, non tanti, tre o quattro, adesso vediamo. E allora niente. Arrivederci. (1. Continua)
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





