2019-08-09
Sei idee per creare uno choc fiscale (e ridurre il debito)
Va riproposta la manovra delle libertà. Zero tasse e una strada che passa dalla messa sul mercato di quote di patrimonio statale.Nella lunga volata che ci porterà al varo della manovra, La Verità vuole offrire un contributo di riflessione, rimettendo sul tavolo una serie di strumenti che possono servire a irrobustire gli interventi, a renderli più consistenti e duraturi, e soprattutto ad allontanare l'Italia dal pericolo più grande: quello di fare come sempre e di restare prigionieri degli «zero virgola». Insomma, se choc fiscale deve essere, lo sia davvero.Ecco dunque - per un verso - sei strade per reperire o risparmiare risorse, e - per altro verso - in termini più strategici, la riproposizione di un'operazione che Maurizio Belpietro suggerì già nel 2011, quella che il direttore della Verità chiamò «la manovra delle libertà: 400 miliardi e zero tasse», andando ad aggredire la montagna del debito pubblico. Nell'immediato, per rimpinguare il bottino, sono disponibili sei strade. Primo: negoziare con l'Ue uno scorporo dal deficit delle somme necessarie al disinnesco dell'aumento Iva. Secondo (altrettanto auspicabile): allungare di un anno le clausole di salvaguardia esistenti, spostando il problema in avanti. Terzo: potenziare la pace fiscale, estendendola anche nelle direzioni finora bloccate dai grillini. Quarto: rimettere mano alla spending review, tagliando gli sprechi che ad esempio si annidano nel mare delle tax expenditures esistenti. Si tratta di 170 miliardi di agevolazioni (alcune intoccabili, tipo la riduzione della deducibilità delle spese per i mutui o di alcune spese sanitarie; altre, invece, francamente toccabilissime). Quinto: altri tagli, a partire dai tagli lineari ai ministeri (saranno sgradevoli, ma funzionano). Sesto (e La Verità ne ha parlato ieri senza tabù): un ricorso consistente al deficit, anche avvicinandoci alla soglia psicologica del 3% nel rapporto deficit/Pil, come fanno da anni (Francia in testa) molti di quelli che ci danno lezioni di rigore. L'importante è raggiungere una massa critica (l'ideale sarebbe almeno pari a circa un punto di Pil, poco sopra o poco sotto: 16-18 miliardi) che renda il beneficio fiscale percettibile, tangibile, consistente. E soprattutto prevedere tagli fiscali anche l'anno e gli anni successivi, facendo capire all'opinione pubblica che la strada delle riduzioni fiscali è tracciata per un arco temporale ampio. Dopo di che, c'è l'altro capitolo, quello più strategico e di fondo: una gigantesca operazione abbatti-debito. Questa proposta prevede la valorizzazione e la messa sul mercato di quote di patrimonio pubblico, non solo immobiliare, per abbattere lo stock di debito (e quindi anche la spesa per interessi), uscire dalla minaccia (anzi: dal grande alibi) dello spread, e fornire un margine per una politica economica dotata di respiro e capacità espansiva. Ma la premessa della proposta, appunto, è la valorizzazione di quote di patrimonio pubblico, attraverso un fondo, e l'uso di meccanismi (a partire dal warrant, come fu ipotizzato assai opportunamente anni fa da Paolo Savona e Antonio Rinaldi) che possano incoraggiare anche i piccoli risparmiatori, e non solo i grandi investitori. Le elaborazioni non mancano: da quella appena citata di Savona e Rinaldi alla proposta di Rainer Masera, dalle ipotesi di Francesco Forte a quelle di Carlo Pelanda, fino alle recentissime proposte (di cui La Verità si è occupata con Claudio Antonelli) di Banca Intesa. Intendiamoci bene, a scanso di equivoci. Non stiamo parlando di sciagurate spoliazioni, simili a quelle purtroppo avvenute nel periodo '92-'93, con la perdita a prezzi da saldi di fine stagione di intere quote di settori trainanti (chimica, meccanica, agroalimentare, grande distribuzione, alcune banche, ecc). Sull'ormai leggendario incontro a bordo del Britannia, il mitico panfilo reale inglese, si è scritto molto, non di rado con esagerazioni fantasy, in un senso o nell'altro. L'esito della storia è noto: ferma restando la buona fede di tutti i partecipanti, che va presupposta, nei semestri successivi prende corpo quella che tanti (uno per tutti, Francesco Cossiga) hanno descritto non come una privatizzazione, ma come una svendita di buona parte del patrimonio industriale pubblico italiano.Per questo, oggi, contro ogni ipotesi di svendita, non basta dire no, attestandosi su una linea puramente negativa e difensiva. Serve invece una proposta che possa ridurre il debito, ma funga anche da grande scudo per l'Italia. L'attacco complessivo al debito può essere basato su diverse voci: vendita di immobili per 15-20 miliardi l'anno; valorizzazione e vendita di una porzione di beni patrimoniali e diritti dello stato, a livello centrale e periferico, disponibili e non strategici (ad esempio iniziando dalle municipalizzate); infine, eventualmente, messa sul mercato anche di asset mobiliari.Maurizio Belpietro, nel 2011, pose una domanda ancora attualissima: «Se si prendessero gli immobili e le partecipazioni nelle varie società pubbliche, e si mettesse tutto dentro una grande holding da quotare, lasciando allo Stato solo il 30% mentre il resto sarebbe messo sul mercato, quanto incasserebbe il governo? 300 o 400 miliardi?».