2020-04-16
Se non si risolve la grana dei test il telecontrollo sarà solo uno spot
Con le indagini sierologiche in alto mare, sacrificare la privacy è una doppia beffa.Spaventano le dichiarazioni sul fatto che la cosiddetta «fase due» dell'emergenza Covid-19 possa essere gestita in modo tecnologico. Non fosse altro che ancora non ci siamo dimenticati il clamoroso flop del sito dell'Inps, per il quale, nella migliore tradizione italiana, non è saltata neppure una testa. Ora c'è la task-force tecnologica del supercommissario Vittorio Colao che punta forte su un'applicazione associata ai telefonini per segnalare gli spostamenti degli individui soggetti a restrizioni e di chi è stato loro accanto, ricostruendo i contatti avuti. Questa tecnologia potrebbe arrivare anche sui luoghi di lavoro, perché già lunedì scorso al Tg2 l'ad del Gruppo Engineering Paolo Pandozy ci raccontava che attraverso l'uso di un braccialetto elettronico i lavoratori sapranno se sono troppo vicini, e in caso che uno di costoro risulti infetto basterà consultare la memoria digitale del braccialetto per sapere con chi era venuto a contatto. Contestualmente ciò che si paventa è anche l'uso di una app governativa che traccerebbe i movimenti di chi è risultato positivo, impedendogli di lasciare una determinata zona o di entrare, per esempio, in un supermercato o in luoghi nei quali potrebbe contaminare a sua volta altra gente.I problemi di privacy, affidabilità e sicurezza sono però soltanto un lato della faccenda, poiché l'efficacia dei contatti basati sull'applicazione è tutta da dimostrare e validare. Una cosa infatti è un contatto di tipo epidemiologico, ben altro è un allarme di prossimità basato sul calcolo della posizione Gps associata a quella della cella di telefonia alla quale il telefono è agganciato. Sempre che il telefono sia della persona che lo porta con sé, e non si tratti di uno scambio fatto apposta per potersi muovere liberamente. Al proposito, per dimostrare di essere proprio dove si dichiara, come avvenne in Cina, potrebbe essere richiesto di attivare la fotocamera e inviare immagini, il massimo dell'invadenza dello Stato totalitario.Dunque senza test rapidi e precisi la app a nulla serve e tutto rientra in quel modus operandi di questo governo basato sul «dobbiamo fare qualcosa» senza arrivare a capire bene quali conseguenze abbiano certe scelte. Il terrore è che tra episodi di falsi positivi o falsi negativi, tra test da ripetere e gente che darebbe numeri di telefono falsi, tutto si ridurrà a una presa in giro.Sia Google, sia Apple che il Mit di Boston hanno sviluppato applicazioni di questo tipo, ma anche se i dati di privacy sono ben protetti, il Covid-19 è una malattia soggetta a notifica, quindi un medico che diagnosticasse l'infezione dovrebbe informare le autorità sanitarie pubbliche e, se queste possono, chiamerebbero il titolare del telefono che ospita la app determinando con chi e quando è stato in contatto. Facilmente però chi traccia i dati potrebbe venire a conoscenza anche di altri dati presenti nel telefonino, come i biglietti per i trasporti pubblici, le carte di credito e i percorsi effettuati da una cella telefonica all'altra. E siccome i dati sarebbero gestiti da aziende private, vengono i brividi soltanto a pensare quanto mercimonio ne potrebbero fare all'insaputa dei titolari.In Cina la app non era obbligatoria ma necessaria per spostarsi tra i quartieri, negli spazi comuni e sui trasporti pubblici. Il telefono visualizzava un codice verde, giallo o rosso per consentire o applicare restrizioni ai movimenti. Le diagnosi di positività e negatività del Coronavirus venivano comunicate a un server centrale consentendo la raccomandazione di misure di quarantena progressive. Immaginatela in Italia: si verrebbe colpiti da un provvedimento di quarantena senza neppure sapere se sia o meno un falso allarme, e quando questo contatto sarebbe avvenuto. Ma i test in Cina potevano essere richiesti da soggetti sintomatici tramite l'app stessa, mentre non si capisce ancora come si potranno effettuare milioni di verifiche soltanto in aree come la città metropolitana di Milano, dove vivono oltre sette milioni di persone, considerando che ogni tre giorni le probabilità di contagio sarebbero le medesime per tutti. Con o senza app.