
Se ne sono dimenticati tutti. Infatti in questi giorni molti hanno criticato il regime degli ayatollah e le scelte di Benjamin Netanyahu, accusando sia Iran sia Israele di spingere il mondo verso una guerra dalle conseguenze inimmaginabili. Ed è vero che lo scontro tra la repubblica islamica e l’unica democrazia del Medio Oriente rischia di infiammare l’intera regione. Però tutti si scordano di come si è arrivati a questa situazione. Non penso a ciò che è accaduto il 7 ottobre, con la strage di oltre un migliaio di ebrei e il rapimento di intere famiglie. Nemmeno mi riferisco alla reazione di Israele, che in risposta ha iniziato a martellare la striscia di Gaza con i missili, provocando la fuga dalle proprie case ridotte in macerie di centinaia di migliaia di palestinesi. Tutto ciò è quanto accaduto negli ultimi sei mesi, ma prima di questo c’è stato altro e ci sono stati errori madornali.Tranquilli, non voglio risalire fino alla creazione dello Stato d’Israele e alla mancata nascita di quello palestinese. Né ho intenzione di scandagliare le evoluzioni di un conflitto che va avanti da tre quarti di secolo senza che nulla sia cambiato. La guerra dei sei giorni, il conflitto dello Yom Kippur, l’occupazione delle terre destinate a chi abitava quelle terre che inglesi e Nazioni unite divisero con il righello senza tener conto della realtà, così come la prima e la seconda Intifada, sono argomenti che lascio volentieri agli storici e agli analisti. No, io voglio concentrarmi su ciò che è accaduto in un passato più recente e che è alla base di ciò che sta succedendo ora, ossia alla possibilità di una guerra che coinvolga l’Iran.La repubblica islamica è da anni sotto embargo. Dalla cacciata dello Scià in poi, Teheran è messa al bando, perché con l’assalto dell’ambasciata americana di 40 anni fa, il sequestro dei diplomatici e l’identificazione degli Stati Uniti come Grande Satana, attorno al regime degli ayatollah è stato steso un cordone sanitario. Per anni, gli accordi commerciali con l’Iran sono stati vietati e così pure l’esportazione di petrolio, anche perché i pasdaran per uscire dall’isolamento si sono messi a progettare la bomba atomica. Poi, con l’arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca, qualche cosa è cambiato. L’America del presidente democratico intendeva cancellare la disastrosa storia passata, di quando Jimmy Carter tentò di liberare i prigionieri degli studenti coranici con un blitz. Dunque, in cambio di un accantonamento del programma di arricchimento dell’uranio per la costruzione di un ordigno nucleare, Obama ridusse le sanzioni contro l’Iran. Invece di usare la riconquistata libertà di manovra per migliorare le condizioni di vita della propria popolazione, i pasdaran, vera anima del regime degli ayatollah, hanno usato quei soldi per armarsi ancora di più e per riempire gli arsenali grazie a una serie di movimenti terroristi nell’area, senza mai sospendere davvero il programma nucleare. Risultato, quando Donald Trump divenne presidente stracciò l’accordo con Teheran, ripristinando l’embargo e inaugurando la strategia degli accordi di Abramo, ovvero intese con Israele e con Paesi che da sempre si erano dichiarati ostili nei confronti del governo di Gerusalemme. Purtroppo, l’arrivo di Joe Biden ha riportato indietro le lancette, facendo rivivere l’accordo con l’Iran patrocinato da Obama. E così eccoci qui, con l’Iran che sostiene Hezbollah, Houthi, Hamas e qualsiasi altro movimento di tagliagole sia in attività nel mondo islamico. Non solo: l’Agenzia nucleare mondiale ci informa che gli ayatollah sono a un passo dalla produzione della bomba atomica. Senza dimenticare che negli ultimi tempi, oltre a fomentare ogni tipo di guerra, i pasdaran si sono anche impegnati a sviluppare l’industria bellica, producendo i droni che poi stanno vendendo alla Russia.Insomma, grazie a Obama, Clinton e Biden, cioè al gotha del Partito democratico americano, siamo sull’orlo di una nuova guerra, che non riguarda il Medio Oriente, ma tutto il mondo. Certo, il presidente degli Stati Uniti sta cercando di tenere a bada Netanyahu (ma a quanto pare il moderato Benny Gantz, ricevuto di recente a Washington con tutti gli onori, è più scatenato dell’attuale premier israeliano), ma chi riuscirà a tenere a bada gli ayatollah e i guardiani della rivoluzione islamica?
Palazzo Justus Lipsius a Bruxelles, sede del Consiglio europeo (Ansa)
I burocrati dell’Unione pianificano la ricostruzione del palazzo Lipsius. Per rispettare le norme energetiche scritte da loro.
Ansa
La Casa Bianca, dopo aver disdetto il summit a Budapest, apre uno spiraglio: «Non è escluso completamente». Ma The Donald usa il pugno duro e mette nella lista nera i colossi Rosneft e Lukoil. Il Cremlino: «Atto ostile».
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
Sganciato il 19° pacchetto, focalizzato sul Gnl. La replica: «Autodistruttivo». Sui beni il Belgio chiede chiarezza.
2025-10-24
«Giustizia»: La voce chiara e forte di chi si sta mettendo in gioco per un sistema giudiziario migliore e più giusto
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Giustizia affronta il dibattito sulle grandi trasformazioni del diritto, della società e delle istituzioni. Un progetto editoriale che sceglie l’analisi al posto del clamore e il dialogo come metodo.
Perché la giustizia non è solo materia giuridica, ma coscienza civile: è la misura della democrazia e la bussola che orienta il Paese.
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
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