2024-08-03
Se il governo le esprime solidarietà la donna vittima diventa una bugiarda
Imane Khelif e Angela Carini (Ansa)
Per i progressisti, Angela Carini è una piagnona manovrata dalla destra nemica. Quindi il dogma del Me too per lei si può sospendere: l’accusatrice stavolta mente. E non importa capire se abbia davvero subito un’ingiustizia.Non dobbiamo perdere la straordinaria occasione che in queste ore ci offre il dibattito politico e culturale sviluppatosi attorno alla partecipazione della pugile algerina Imane Khelif alle Olimpiadi. Non possiamo perdere l’occasione per goderci questo meraviglioso dispiegarsi della retorica inclusiva, pronta a esibirsi in triple giravolte e a demolire sé stessa per ricostruirsi diversa, in una costante contraddizione. Poiché Imane è stata in qualche modo associata al carrozzone dell’attivismo arcobaleno (e chissà per quale motivo, poi, visto che il suo caso è radicalmente altro), commentatori e politici sono disposti a rinnegare tutto ciò che fino a ieri hanno affermato, sono già all’opera per ridefinire i confini di ciò che è «buono e giusto».L’aspetto più triste e scandaloso di tale riassestamento è senza dubbio il trattamento riservato ad Angela Carini. L’atleta italiana viene dipinta, nel migliore dei casi, come una piagnona. «Si è presa due cazzotti, ha fatto una sceneggiata», sbuffava l’altra sera su La7 Luca Telese. E più o meno è questa la linea di tutta l’intellighenzia: la Carini frigna troppo, avrebbe potuto vincere se non si fosse ritirata, ha accettato di salire sul ring dunque non deve lamentarsi e così via. Altre donne hanno battuto la Khelif quindi è tutto a posto, affermano con sufficienza gli editorialisti colti. Dunque viene da chiedersi: perché non sdoganiamo il doping visto che qualche volta un atleta sano batte uno pompato? E perché non facciamo combattere direttamente i maschi e le donne delle stesso peso? Magari può capitare che qualche donna particolarmente talentuosa e coriacea stenda l’avversario. Già, si potrebbe persino ribaltare la frittata: perché, se una atleta ha testosterone da maschio invece di darle medicinali che lo sopprimano non la si lascia libera e non la si manda a combattere con i maschi della sua categoria? Magari potrebbe persino vincere... Qualcuno tra gli osservatori più astuti arriva anche a insinuare che la pugile si sia prestata a una sorta di trama nera, che il suo ritiro fosse già stato previsto e sceneggiato, che le sue lacrime e la sua rabbia fossero montate ad arte. Scopriamo allora che mettere in dubbio con ferocia la parola di una donna si può. È concesso pensare che menta, che esageri, che finga. Se avesse denunciato una palpata o un «abuso percepito» fuori dal ring, magari a opera di un allenatore maschio, la sua parola sarebbe stata legge. Il Me too aveva fissato la legge a livello mondiale: Believe women, credete alle donne. Ebbene, adesso la legge è cambiata: a questa donna si può - forse si deve - non credere, perché la si sospetta di fare gli interessi della destra retriva. Non sembra importare a nessuno la possibilità concreta che abbia preso pugni troppo forti, che abbia dovuto competere a partire da una situazione di svantaggio. Ci sono le regole, si dice, e valgono quelle. Poiché non sono «etero patriarcali» ma «inclusive», allora contestarle o farsi venire qualche dubbio è sbagliato. Persino se ci va di mezzo una ragazza. Meno evidente ma ugualmente triste e contraddittorio è l’aspetto della discussione riguardante il corpo di Imane Khelif. Non v'è dubbio che anche lei, seppure diversamente, sia una vittima delle circostanze e della ideologia del Comitato olimpico. Non è bello che sia patologizzata, scandagliata e analizzata come un quarto di bue, è una cosa che ripugna. E che si sarebbe potuta e dovuta evitare: sarebbe bastato che il Cio svolgesse esami sul Dna e misurasse la forza dei suoi pugni. Senza clamori, senza grida. Invece no: poiché esiste una discussione scivolosa sugli atleti trans e poiché in questa partita entrano i tribunali e le commissioni per i diritti umani, si preferisce stabilire regole lasche che appunto privilegiano l’inclusione e trascurano la sicurezza (e la scienza). Per Imane, anche giustamente, viene invocata la privacy, si grida che non la si deve mostrificare, o medicalizzare, o esaminare. Sacrosanto: ma quando si è trattato di medicalizzare, invadere la privacy, ed esporre alla pubblica gogna chi non prendeva il farmaco obbligatorio tutti questi scrupoli non c’erano. Scrive Nicoletta Verna sulla Stampa che inquieta la «mostrificazione» della atleta algerina. «Qualunque opinione possiamo avere su questa vicenda, non dovremmo mai perdere di vista un elemento fondamentale. Khelif è, prima di tutto, e oltre ogni altra considerazione politica, sportiva, sociale e di genere, un essere umano. Dimenticarsene per opportunità politica (in primis), per semplificazione, per paura significa porsi al livello dei freak show dove società molto meno evolute della nostra strumentalizzavano, ridicolizzavano, denigravano persone con caratteri sessuali secondari tipici del sesso opposto per impressionare gli spettatori. Khelif è un essere umano e noi ce ne stiamo dimenticando, ma disumanizzare lei significa in primis disumanizzare noi stessi, perché non rispettare la dignità personale e la dimensione morale di un nostro simile significa rinunciare alla nostra anima e alla nostra dignità di esseri pensanti». Condividiamo riga per riga quanto scritto e vorremmo che il clamore su Imane finisse. Ma come mai questi splendidi concetti i media di sinistra non li hanno espressi negli ultimi quattro o cinque anni? Probabilmente perché erano impegnati a mostrificare, insultare, disumanizzare e abbrutire chiunque non seguisse le direttive che essi impartivano. Del resto lo fanno anche adesso: vilipendono la Carini perché il presidente del Consiglio la sostiene, inventano grotteschi intrighi fascisti e putiniani. Al solito, per risolvere la questione - come giustamente ha scritto Anna Paola Concia - basterebbe un minimo di buon senso e di tolleranza. Basterebbe stabilire che chi ha cromosomi maschili è maschio per lo sport, e non può competere con le donne. Poi, magari, studiare una soluzione che non escluda nessuno e che non metta in pericolo le une e le altre, una soluzione valida per oggi e per il futuro. Invece non si fa: si preferisce che l’ideologia trionfi, e si considerano i diritti soltanto se giocano a quella stessa ideologia. Se così non è, li si può serenamente prendere a cazzotti.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.