2020-05-25
«Se il Covid riprende vigore non bisogna richiudere tutto»
Il virologo Giorgio Palù: «Ora l'importante è isolare subito i nuovi contagiati e rintracciare quanti hanno avuto contatti con loro. Abbiamo perso tempo per il buonismo di chi governa».Premessa: «Mi devo autodefinire virologo di fronte a tanti sedicenti tali che non ho mai conosciuto. Tutto quello che dico è per somiglianza con altri coronavirus, o con i virus pandemici che negli ultimi due secoli sono soltanto quelli dell'influenza». Il professor Giorgio Palù, 71 anni, trevigiano di Oderzo e per lunghi anni docente di microbiologia e virologia a Padova, è stato presidente della Società europea di virologia fino all'anno scorso («abbiamo avuto tre premi Nobel», ricorda), nonché fondatore e presidente a più riprese della Società italiana di virologia. Ha insegnato Neuroscienze e Scienza e tecnologie alla Temple University di Filadelfia. Ha un curriculum sterminato. Ma preferisce usare come motto le parole di Socrate: «So di non sapere».Perché un così basso profilo?«Questo virus lo conosciamo ancora troppo poco specie per quanto riguarda la risposta dell'immunità cellulare, che ha un ruolo fondamentale nel risolvere l'infezione quanto è già in atto. Lascio le sentenze a tutti questi personaggi da talk show che parlano l'uno contro l'altro senza avere mai pubblicato un lavoro su una rivista di virologia».Lei non ama la tv?«Sono andato anche da Fabio Fazio a patto che non ci fosse contraddittorio. Sulle materie scientifiche bisogna informare, non dare spettacolo».Che cosa dicono i numeri dopo tre mesi di lockdown?«Stanno scendendo. Guardiamo l'indice di contagiosità Rt, cioè la replicazione di base del virus in un dato momento: è ovunque sotto l'1, anche in Lombardia. Le uniche regioni dove si registrano oscillazioni sono Piemonte, Lombardia, Emilia e fino a qualche giorno fa anche Molise. Nel resto d'Italia la contagiosità è stabile, in alcuni casi molto vicina allo zero». Il lockdown andava fatto o no?«Sì, e la riprova è la diminuzione di casi. Era un virus nuovo, pandemico. Nessun coronavirus conosciuto è mai stato pandemico. Le ultime epidemie, quelle di Sars e di Mers, si sono estinte nel giro di un anno o poco più. E davanti a un virus nuovo, un virologo dovrebbe avere l'umiltà di dire che sa di non sapere: per questo l'Oracolo di Delfi considerava Socrate l'uomo più saggio».Che paragoni possiamo fare con la Sars e la Mers?«La prima scoppiò nell'aprile 2002 nel Guangdong e sparì nell'estate 2003 con una letalità del 10%. La Mers è del 2012, partì dall'Arabia Saudita ed ebbe una mortalità del 35%. Quanto più un virus è mortale, tanto prima si estingue».Come mai?«Il virus è un parassita: senza cellule vive che lo ospitano non riesce a replicarsi. E poi, più è letale, più dà notizia di sé, più permette alle persone di mettere un cordone sanitario».Che cos'altro sappiamo?«Della Sars e della Mers conoscevamo l'ospite intermedio: la civetta delle palme e il procione nel primo caso, il dromedario nel secondo. Qui lo ignoriamo ancora, benché somigli alla Sars per l'80% e per il 96% al RaTg13, il virus del pipistrello. Sappiamo che il Covid-19 è molto più contagioso: gli altri virus hanno infettato solo 10.000 persone mentre con questo ormai siamo a 5 milioni. Ma non ha una letalità paragonabile agli altri, anche se oggi in Italia, in base ai tamponi fatti, dobbiamo ammettere una letalità superiore al 14%».È un dato molto discusso a causa dei pochi tamponi fatti.«Il tasso di letalità vero lo avremo quando saranno pubblicati gli studi basati sui test sierologici. I dati cinesi ci dicono che circa l'80% di chi ha contratto il virus è asintomatico, ma aspettiamo di sapere anche i valori statunitensi ed europei perché ormai tre quarti della pandemia è da noi».I tamponi sono la chiave di tutto?«Il tampone è diventato un procedimento salvifico, ma ha una sensibilità del 60%. E adesso sta emergendo anche il caso dei falsi positivi. È un elemento diagnostico che va studiato assieme alla sorveglianza sindromica, alla sierologia, all'isolamento del virus che nessuno fa perché non lo sanno fare».Dopo i tamponi a tappeto, avremo anche i test sierologici di massa?«No, vanno fatti a strati per età, genere, occupazione e residenza su qualche decina di migliaia di persone. Al momento si può già dire che in Lombardia il virus ha contagiato dal 10 al 12% della popolazione, in Veneto il 2-3% e al Sud l'1%. Diciamo che il 97% degli italiani è potenzialmente ancora esposto al virus. Ecco perché dobbiamo mantenere le precauzioni». Mascherine, gel, distanze.«E soprattutto la sanitizzazione delle superfici e degli ambienti. Ma dobbiamo considerare un altro dato: anche le nazioni che non hanno applicato il lockdown a un certo punto sembrano registrare un decremento significativo di positivi sovrapponibile al nostro. Il che ci fa ipotizzare e sperare una regressione estiva, analogamente agli altri coronavirus e a tutti i virus respiratori».Il governo ha chiuso tutto a metà marzo: non si è perso tempo?«Certamente. Per 20 giorni i nostri politici hanno discusso se mettere in quarantena i cinesi, ma non si poteva farlo per non discriminarli come i migranti. Hanno chiuso i voli dalla Cina ma nessuno ha voluto controllare gli europei che tornavano da laggiù. Il buonismo ci ha condannati».Ora è giusto riaprire?«Ormai sono vietati soltanto gli assembramenti come gli spettacoli al chiuso, i concerti e gli eventi sportivi, esattamente come accade nelle nazioni che hanno evitato il lockdown totale. La Germania non ha chiuso neanche una fabbrica».Se riparte l'epidemia, si deve chiudere di nuovo?«Non possiamo permettercelo, sarebbe la morte economica».E che cosa si dovrebbe fare?«Avere prudenza e tracciare i contatti. Quando si scopre un positivo bisogna risalire a chi è venuto in contatto con lui non per chiudere altre zone rosse, ma per isolare immediatamente queste persone».A casa?«O in qualche albergo vuoto. Non certo negli ospedali, come ha fatto la Lombardia che ha ricoverato il 70% dei positivi contro il 20% del Veneto. Il modello è avere presidi territoriali, controlli, tracciabilità, un sistema epidemiologico regionale in grado di raccogliere i dati dai presidi di igiene e sanità locali, dai medici di medicina generale o del lavoro, dalle industrie. Bisogna avere una sorveglianza biologica. In Veneto c'è già stato un trial con una decina di industrie e la percentuale di positivi non ha mai superato l'1%».Che cosa significa?«Che i nostri industriali sono molto accorti in quello che fanno». Pare che ora il problema dell'Italia sia la movida.«Sono assembramenti. In Molise hanno fatto un funerale, la gente era senza mascherina e il virus è ripartito».Che cosa sappiamo delle cure?«Partiamo da quelle cure di sostegno, che non sono antivirali ma rientrano nel meccanismo patogenetico del virus. Le abbiamo imparate anche grazie ai cardiologi, i quali hanno capito che le polmoniti erano anche micro tromboembolie dei capillari polmonari. Per fortuna i casi gravi sono solo il 20%». Cos'altro?«Abbiamo imparato che l'eparina a basso peso molecolare va bene. Che sono utili il remdesivir, un farmaco antivirale; il tocilizumab, un antireumatico; la clorochina, un antinfiammatorio che blocca anche ebola e quei virus che vanno negli endosomi; e anche il cortisone così come gli inibitori della cox-2. Ci sono farmaci attivi anche indirettamente e abbiamo imparato a usarli. Viceversa, sono stati provati farmaci impiegati contro l'Hiv ma funzionano meno bene». I vaccini?«Ci vorranno anni. Sono ormai più di 70 quelli allo studio e qualcuno funzionerà».La terapia del plasma?«Già con la Sars e la Mers l'organismo produceva anticorpi neutralizzanti che proteggevano dalle infezioni per circa due anni. Ne abbiamo avuto la conferma: l'infusione di plasma iperimmune in chi abbia sviluppato gli anticorpi neutralizzanti funziona benissimo. È chiaro che non si tratta di un dato scientifico certificato da analisi su gruppi di controllo; tuttavia l'evidenza è tale da farci dire che la terapia funziona».Gli anziani restano i più vulnerabili?«Sì. I numeri della mortalità sono chiari». E i più esposti a un nuovo contagio?«I lavoratori, a partire dai medici. Molti ne sono stati veicoli inconsapevoli lavorando e spostandosi senza protezioni. È stata una grave ignoranza, colpevole, perché la Sars ci aveva insegnato come circolano i coronavirus: il paziente che la contrasse a una cena nuziale a Hong Kong infettò 150 tra medici e infermieri nel giro di una settimana a Toronto quando fu ricoverato dopo il ritorno a casa».
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
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