2020-02-14
Se i passeggini rimangono vuoti ci resta solo la decrescita infelice
Per 40 anni o più la politica ha creduto che il saldo negativo delle nascite potesse essere compensato facilmente con la crescita dei consumi pro capite. Una sciocca utopia smentita dai dati choc.Ci sono tre temi ricorrenti che siamo costretti a leggere, diversamente analizzati, su tutti i giornali quasi tutti i santi giorni. Si tratta di tre temi vicendevolmente collegati, ma non sempre riconosciuti come tali e quasi mai adeguatamente affrontati e sottoposti a diagnosi per una soluzione. Tutti e tre ricorrono fino alla noia, ma di rado vengono correttamente correlati fra loro. Questi temi sono: crollo della natalità, crollo della crescita del Pil, crescita del debito pubblico.Un quarto tema, che è finalmente emerso in questi giorni, richiamato anche opportunamente da rappresentanti delle istituzioni, è la necessità di immediati adeguati investimenti pubblici e privati per contrastare la recessione, conseguente ai tre fatti ricordati sopra. Se finalmente si riconoscesse la correlazione fra i tre temi menzionati e si concepisse un piano straordinario di investimenti pubblici e privati che possa permettere quello choc-big bang necessario a rilanciare la crescita del Pil e a diminuire, conseguentemente, il debito pubblico, ce la potremmo fare, almeno a breve termine. L'effetto virtuoso conseguente sarebbe l'immediata ripresa di fiducia da parte degli investitori internazionali, la riduzione dello spread, l'aumento dell'occupazione, la salvaguardia del risparmio. Ma anche il ritorno della fiducia nel futuro, necessaria alla formazione di nuove famiglie, quinto tema che dovrebbe essere oggetto di investimento altrettanto urgente per il medio termine. La mia vera perplessità è legata a una evidenza che mi ha sempre sorpreso. Come ci si è potuti illudere per 40 anni di poter accrescere il Pil di un Paese con una economia matura se la sua popolazione non aumenta in numero e invecchia? Inoltre, come è stato possibile che per 40 anni o più si sia creduto che la crescita negativa delle nascite potesse essere compensata con la crescita dei consumi pro capite, cioè con il consumismo? Entrambi per me sono misteri buffi, fin troppo buffi per considerarli solo una «svista di utopia socioeconomica». Ma un mistero altrettanto inquietante sta nel fatto che per taluni, ancora oggi, la soluzione del problema risieda proprio nella diminuzione ulteriore delle nascite e nella decrescita economica. Sarà bene ricordare che per compensare il declino demografico siamo stati «obbligati» a consumare sempre di più, sacrificando i risparmi e poi deindustrializzandoci e delocalizzando le produzioni in Asia. In questi 40 anni abbiamo anche dovuto progressivamente quasi raddoppiare il peso delle imposte sul Pil per sostenere i costi dell'invecchiamento della popolazione. In sintesi, la decrescita la abbiamo avviata (inconsapevolmente) ignorando leggi naturali ed economiche, sinergiche fra loro. Ciononostante, ancora oggi si sentono opinionisti influenti dichiarare che sì, è necessario affrontare la crisi demografica per evitare la decrescita, ma che basta proporre solo un nuovo patto sociale e un nuovo welfare. No! Questo è il momento di investire con coraggio, stavolta esplicitamente riconoscendo che il debito pubblico può essere ridotto solo ed esclusivamente grazie alla crescita del Pil, anziché continuare a insinuare che la riduzione del debito è prioritaria per far crescere il Pil (insinuazione mirante a ridurre il debito pubblico grazie al risparmio privato). In tal modo il tema della riduzione del debito verrebbe affrontata in termini realistici e non politici. Per troppo tempo l'Italia è stata eccessivamente preoccupata di ridurre il suo debito: lo ha fatto in modo persino più virtuoso della Francia, pur pagando lo scotto dei più alti interessi sul debito, che ha dovuto pagare grazie al maggior rischio percepito dagli investitori, proprio perché il suo Pil non cresce. E il Pil non cresce perché non si investe. E non si investe perché non si deve aumentare il debito. Ma il rapporto debito/Pil cresce non solo quando cresce il debito, ma anche quando decresce il Pil. Se per diminuire il debito pubblico si fa decrescere ancor più il Pil, il rapporto debito/Pil esplode. Finalmente è arrivato il momento di concentrarsi sulla crescita del Pil, prendendo consapevolezza anche delle considerazioni seguenti. È stato stimato che negli ultimi 20 anni il Pil pro capite italiano è cresciuto solo del 2%, contro un 22% della Francia, un 25% della Spagna e un 30% della Germania (fonte Ocse, 1998-2018). Ma questo non per colpa dell'euro, come qualcuno pensa, tanto è vero che dal 2000 al 2007 - anno dello scoppio della crisi finanziaria internazionale - il Pil pro capite italiano era cresciuto del 10%. È stato grazie alle manovre economiche di austerity intraprese a fine 2011 che l'andamento del Pil pro capite ha cominciato a divergere da quello dei partner europei. Infatti dal 2011 al 2018 il Pil pro capite della Germania è cresciuto di un ulteriore 10%, quello della Francia di un 6%, quello dell'Italia invece è diminuito di circa un 2%. È importante, inoltre, notare l'andamento del potere di acquisto pro capite (in dollari) nello stesso periodo di 20 anni. In Germania è aumentato del 25%, in Francia del 10%, in Italia si è ridotto del 4% circa. Per intenderci: nel 1998 il potere di acquisto pro capite italiano era di circa 26.000 dollari e nel 2018 è diventato pari a circa 25.000 dollari, mentre quello tedesco è passato da 27.000 a ben 34.000 dollari, e quello francese da 29.000 a 32.000 dollari.Finalmente si torna a chiedere di investire per far crescere il Pil (e diminuire conseguentemente il debito pubblico). Miracolo?
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