
Il ministro dell'Istruzione Marco Bussetti spiega la sua filosofia: innovare senza altre rivoluzioni. «Risolveremo i problemi lasciati dal Pd. E introdurremo la valutazione dei dirigenti».Marco Bussetti, il nuovo ministro dell'Istruzione, non ama le rivoluzioni. E nemmeno i proclami. E di sicuro non apprezza la polemica, che evita accuratamente soppesando ogni dichiarazione. Una carriera da dirigente scolastico alle spalle, gran lavoratore, intende muoversi con cautela in uno dei settori più difficili di questo Paese. Chi si aspettasse da lui posizioni decise, magari anche controcorrente, rimarrebbe deluso. Per ora, infatti, il ministro non annuncia grandi cambiamenti, anzi, sembra che la sua preoccupazione principale sia salvare il salvabile delle precedenti riforme. Ministro, iniziamo da una questione che sta parecchio a cuore a molti genitori, visto ciò che è accaduto l'anno scorso. L'inizio dell'anno scolastico sarà regolare? O potrebbero esserci intoppi?«Le procedure per l'avvio dell'anno scolastico cominciano mesi prima del fatidico primo settembre. Per questo dal primo giorno del mio insediamento sono al lavoro per garantire ai nostri alunni e alle loro famiglie un avvio regolare del prossimo anno scolastico».Molto legata alla questione dell'inizio dell'anno è la vicenda degli insegnanti con il diploma magistrale. Il decreto dignità, grazie alla proroga, ha messo una pezza. Ma quale sarà la soluzione definitiva? Come vi comporterete quando usciranno le sentenze?«Con il decreto dignità è stato consentito al Miur di ottemperare agli obblighi derivanti dalle sentenze di merito, che prevediamo arriveranno in larga parte fra luglio e agosto, entro 120 giorni dalla loro notifica. Successivamente, in sede di conversione del decreto legge, si potrà definire ulteriormente il quadro normativo, disciplinando specifiche procedure di reclutamento che riguarderanno coloro che sono in possesso dei titoli attualmente richiesti per l'accesso all'insegnamento nella scuola primaria. Occorre ricordare che chi ci ha preceduti ha lasciato in sospeso la questione per mesi, senza affrontarla». Lei ha dichiarato che non vuole nuove riforme. Che cosa va mantenuto della buona scuola renziana?«Alla scuola non servono ulteriori scossoni, riforme calate dall'alto per il gusto di intestarsi politicamente un cambiamento. Questo vuol dire non smantellare l'esistente senza motivo, né proporre azioni estemporanee. Rafforzeremo e consolideremo ciò che funziona. Ma in questo momento è anche utile e necessario intervenire per affrontare i problemi che la riforma di Renzi ha generato».Quali sono questi problemi? I primi tre - diciamo - da affrontare?«Due li ho già affrontati: abbiamo eliminato la chiamata diretta, come previsto dal contratto di governo. Di per sé era anche un'innovazione interessante, ma non è stata seguita nell'attuazione. Le scuole sono state lasciate sole. La chiamata era connotata da eccessiva discrezionalità e da profili di inefficienza. Ora procederemo con criteri trasparenti». E il secondo problema risolto? «Siamo intervenuti anche sui fondi per il merito, con due novità importanti. Potranno accedere anche i docenti non di ruolo, che sono insegnanti come tutti gli altri. E i criteri di distribuzione saranno chiari fin dall'avvio di ogni anno scolastico».Terza questione da affrontare? «Lavoreremo ora sulla valutazione dei dirigenti scolastici e sul concorso per i Dsga, i direttori dei servizi amministrativi, atteso ormai da troppo tempo».Che cosa pensa dell'alternanza scuola-lavoro? La sensazione è che, in certi casi, non sia molto formativa. Secondo alcuni, poi, sarebbe un sistema di sfruttamento degli studenti.«L'alternanza ha come finalità principale quella di dare strumenti orientativi ai nostri ragazzi, mettendoli in contatto con le realtà del mondo del lavoro e delle imprese. In diversi casi questa esperienza formativa è stata snaturata, condizionando la qualità dei percorsi. Dobbiamo definire con chiarezza gli obiettivi che stanno alla base dell'alternanza, rivisitando le Linee guida per permettere di fornire regole precise e più chiare». Valeria Fedeli ha dato il via libera all'utilizzo dei dispositivi digitali - tablet e smartphone - nelle scuole. Eppure una marea di studi a livello internazionale sostengono che operazioni come queste siano dannose. Infatti altri Paesi, europei ma non solo, si comportano diversamente. Pensa di cambiare le cose?«La tecnologia non va vissuta come un pericolo o un nemico. L'innovazione didattica, anche attraverso l'uso di dispositivi tecnologici, può far bene alla scuola. Credo che le autonomie scolastiche lo abbiano ben presente e sappiano regolarne in modo attento e consapevole l'uso».Lei dice di avere fiducia nel personale della scuola riguardo ai dispositivi digitali. Però, ripeto, numerosi Paesi europei, a partire dalla Francia, vanno in direzione opposta. Anche negli Stati Uniti fanno retromarcia sul digitale. E ci sono decine di ricerche che dimostrano quanti danni possa fare... Lei conferma comunque le decisioni della Fedeli in materia?«Sul tema non è stata presa nessuna decisione definitiva. La ministra Fedeli ha aperto all'uso dei dispositivi digitali personali in classe a scopo didattico, ma alle scuole non è stata mandata nessuna indicazione concreta. Le scuole, comunque, nella loro autonomia sono in grado di operare e molte già lo fanno. Partiremo da questa base per fare un punto dopo l'avvio del nuovo anno scolastico, che ora è la priorità». Negli ultimi mesi la cronaca ha riportato diversi episodi di insegnanti picchiati, maltrattati e insultati dagli alunni. Come pensa che si possa modificare questa situazione?«Gli episodi di violenza vanno condannati. Rappresentano vicende traumatiche per chi li subisce. E per chi assiste. Dobbiamo ripristinare un clima di fiducia e di collaborazione tra scuole, studenti e famiglie. Ciascuno deve agire nel rispetto del proprio ruolo. Come ministero saremo al fianco di insegnanti, dirigenti, del personale amministrativo e ausiliario. Nei casi di aggressioni, in ogni procedimento attivato con querela, ci costituiremo parte civile. Ma dobbiamo agire anche in maniera preventiva: diamo più spazio all'educazione civica. È una disciplina fondamentale per la vita dei ragazzi e del Paese». Il pedagogista Daniele Novara, qualche mese fa, ha fatto notare che, nell'arco di dieci anni, in Italia sono aumentate del 40% le diagnosi di disabilità. Anche se, nel frattempo, le disabilità gravi, per esempio quelle legate alla sindrome di Down o alle neurolesioni da nascita, sono fortemente diminuite o quasi scomparse. Stiamo parlando di bambini e ragazzi che, a scuola, vengono affidati agli insegnanti di sostegno, il cui numero negli ultimi 15 anni è decisamente aumentato. Non le sembra che si stia abusando di queste certificazioni?«La nostra è una scuola che a livello europeo e mondiale può ritenersi all'avanguardia per quanto riguarda l'inclusione di studenti con disabilità. Abbiamo vissuto con piacere la notizia di uno studente autistico che ha concluso con successo il suo percorso di studi grazie al lavoro svolto dal suo insegnante di sostegno, all'appoggio della famiglia e della sua comunità scolastica. Sono storie di cui dobbiamo essere orgogliosi. Uno dei miei primi atti da ministro è stato la convocazione dell'Osservatorio permanente per la disabilità. Vogliamo costruire una scuola aperta a tutti e per tutti» Un'altra percentuale in aumento è quella delle insegnanti donne. Sono sempre di più, a tutti i livelli. I maschi sono quasi scomparsi, e la scuola italiana si sta femminilizzando. Come si può risolvere questo problema? Servono delle «quote azzurre»?«L'importante è che i nostri studenti abbiano docenti preparati e all'altezza del loro compito. Questo non ha nulla a che vedere con il fatto che i docenti siano donne o uomini». In alcune interviste si è occupato delle lingue straniere. Pensa che il loro insegnamento vada potenziato? In che modo?«In questi giorni sono stati presentati gli esiti delle prove standardizzate Invalsi che quest'anno comprendevano anche l'inglese. Credo che possiamo ritenerli una importante base di partenza per avviare un'analisi che porti a strutturare percorsi formativi sempre più approfonditi e rispondenti alle esigenze degli alunni e delle alunne della società globale in cui viviamo in cui la conoscenza delle lingue straniere è fondamentale». Molti ragazzi, però, pare abbiano parecchie difficoltà anche con l'italiano. E, in parte, questo dipende dalla presenza di tanti stranieri nelle classi. Come pensa che si debba affrontare la presenza crescente di stranieri?«La scuola è il terreno naturale dell'integrazione. Penso che i nostri studenti abbiano il diritto di avere la migliore istruzione. Perciò occorre lavorare per migliorare le loro competenze in tutte le materie. Guardiamo alla scuola con pragmatismo lavorando al suo miglioramento. Chi vive in Italia deve conoscere la lingua, la Costituzione con i suoi valori fondanti, la nostra storia e la nostra cultura».Però capita spesso di vedere classi con uno o due bimbi italiani al massimo. Non è problematico secondo lei?«La gestione dei fenomeni migratori si fa anche a scuola. Si parla sempre di inclusione, lo hanno fatto molti ministri che si sono succeduti prima di me, ma senza fare poi una vera progettazione di interventi e senza dare un vero sostegno alle scuole. Lavoreremo perché tutti abbiano la migliore formazione possibile. Dobbiamo lavorare a una inclusione che contemperi la conoscenza approfondita della storia, della lingua e della cultura del nostro Paese».Interrogato su argomenti delicati ma determinanti - ad esempio la questione dell'ideologia gender, la femminilizzazione del personale docente o la presenza di tanti (troppi) libri di testo ideologici - il ministro resta abbottonato. Chissà, potrebbe perfino essere un buon segno: meglio parlare poco e fare. Noi però, su questi e su altri argomenti, restiamo in fremente attesa. Non di proclami, ma di decisioni forti e necessarie.
Il governatore: «Milano-Cortina 2026 sarà un laboratorio di metodo. Dalle Olimpiadi eredità durature per i territori».
«Ci siamo. Anzi, ghe sem, come si dice da queste parti». Con queste parole il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, ha aperto l’evento La Lombardia al centro della sfida olimpica, organizzato oggi a Palazzo Lombardia per fare il punto sulla corsa verso i Giochi invernali di Milano-Cortina 2026.
Un appuntamento che, nelle parole del governatore, non è solo sportivo ma anche simbolico: «Come Lombardia abbiamo fortemente voluto le Olimpiadi – ha detto – perché rappresentano una vetrina mondiale straordinaria, capace di lasciare al territorio eredità fondamentali in termini di infrastrutture, servizi e impatto culturale».
Fontana ha voluto sottolineare come l’esperienza olimpica incarni a pieno il “modello Lombardia”, fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato e sulla capacità di trasformare le idee in progetti concreti. «I Giochi – ha spiegato – sono un esempio di questo modello di sviluppo, che parte dall’ascolto dei territori e si traduce in risultati tangibili, grazie al pragmatismo che da sempre contraddistingue la nostra regione».
Investimenti e connessioni per i territori
Secondo il presidente, l’evento rappresenta un volano per rafforzare processi già in corso: «Le Olimpiadi invernali sono l’occasione per accelerare investimenti che migliorano le connessioni con le aree montane e l’area metropolitana milanese».
Fontana ha ricordato che l’80% delle opere è già avviato, e che Milano-Cortina 2026 «sarà un laboratorio di metodo per programmare, investire e amministrare», con l’obiettivo di «rispondere ai bisogni delle comunità» e garantire «risultati duraturi e non temporanei».
Un’occasione per il turismo e il Made in Italy
Ampio spazio anche al tema dell’attrattività turistica. L’appuntamento olimpico, ha spiegato Fontana, sarà «un’occasione per mostrare al mondo le bellezze della Lombardia». Le stime parlano di 3 milioni di pernottamenti aggiuntivi nei mesi di febbraio e marzo 2026, un incremento del 50% rispetto ai livelli registrati nel biennio 2024-2025. Crescerà anche la quota di turisti stranieri, che dovrebbe passare dal 60 al 75% del totale.
Per il governatore, si tratta di una «straordinaria opportunità per le eccellenze del Made in Italy lombardo, che potranno presentarsi sulla scena internazionale in una vetrina irripetibile».
Una Smart Land per i cittadini
Fontana ha infine richiamato il valore dell’eredità olimpica, destinata a superare l’evento sportivo: «Questo percorso valorizza il dialogo tra istituzioni e la governance condivisa tra pubblico e privato, tra montagna e metropoli. La Lombardia è una Smart Land, capace di unire visione strategica e prossimità alle persone».
E ha concluso con una promessa: «Andiamo avanti nella sfida di progettare, coordinare e realizzare, sempre pensando al bene dei cittadini lombardi».
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Francesco Zambon (Getty Images)
Audito dalla commissione Covid Zambon, ex funzionario dell’agenzia Onu. Dalle email prodotte emerge come il suo rapporto, critico sulle misure italiane, sia stato censurato per volontà politica, onde evitare di perdere fondi per la sede veneziana dell’Organizzazione.
Riavvolgere il nastro e rivedere il film della pandemia a ritroso può essere molto doloroso. Soprattutto se si passano al setaccio i documenti esplosivi portati ieri in commissione Covid da Francesco Zambon, oggi dirigente medico e, ai tempi tragici della pandemia, ufficiale tecnico dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Di tutte le clamorose notizie diffusamente documentate in audizione, ne balzano agli occhi due: la prima è che, mentre gli italiani morivano in casa con il paracetamolo o negli ospedali nonostante i ventilatori, il governo dell’epoca guidato da Giuseppe Conte (M5s) e il ministro della salute Roberto Speranza (Pd) trovavano il tempo di preoccuparsi che la reputazione del governo, messa in cattiva luce da un rapporto redatto da Zambon, non venisse offuscata, al punto che ne ottennero il ritiro. La seconda terribile evidenza è che la priorità dell’Oms in pandemia sembrava proprio quella di garantirsi i finanziamenti.
Quest’anno in Brasile doppio carnevale: oltre a quello di Rio, a Belém si terrà la Conferenza Onu sul clima Un evento che va avanti da 30 anni, malgrado le emissioni crescano e gli studi seri dicano che la crisi non esiste.
Due carnevali, quest’anno in Brasile: quello già festeggiato a Rio dei dieci giorni a cavallo tra febbraio e marzo, come sempre allietato dagli sfrenati balli di samba, e quello - anch’esso di dieci giorni - di questo novembre, allietato dagli sfrenati balli dei bamba che si recheranno a Belém, attraversata dall’equatore, per partecipare alla Cop30, la conferenza planetaria che si propone di salvarci dal riscaldamento del clima.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Il 9 novembre 1971 si consumò il più grave incidente aereo per le forze armate italiane. Morirono 46 giovani parà della «Folgore». Oggi sono stati ricordati con una cerimonia indetta dall'Esercito.
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Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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