2023-10-05
Schiaffo a Scholz: Bruxelles cancella le Ong
Superato lo stallo diplomatico, arriva l’accordo tra i 27 sul Patto Ue per i migranti. Berlino costretta ad approvare lo stesso testo formulato a luglio che non faceva riferimento alle operazioni degli attivisti. La «Faz»: «Abbiamo sbattuto contro il granito di Roma».Sul tanto chiacchierato Patto Ue sui migranti, alla fine, Italia e Germania hanno trovato la quadra. Più che di una pace, però, si tratta di una tregua armata. I dissapori tra Roma e Berlino, infatti, permangono. Ma adesso, perlomeno, a Bruxelles l’atmosfera è senz’altro più distesa. Nel pomeriggio di ieri, al termine di serrate trattative, è giunta la fumata bianca: gli ambasciatori dei 27 Stati membri dell’Unione europea hanno raggiunto l’accordo per il regolamento sulla gestione delle crisi migratorie. Che rappresenta, appunto, il punto nodale del nuovo Patto per la migrazione e l’asilo. Contro l’intesa, che è stata trovata per maggioranza qualificata (e non quindi all’unanimità), si sono espresse Polonia e Ungheria, laddove Austria, Repubblica ceca e Slovacchia hanno scelto la via dell’astensione. Le prossime tappe sono ora rappresentate dal Consiglio europeo informale, che avrà luogo domani a Granada, e dalla discussione della riforma all’Europarlamento. L’obiettivo è quello di mandare in porto la legge entro la fine della legislatura, che è ormai arrivata agli sgoccioli (le elezioni europee si terranno il prossimo giugno). Nella bozza del documento su cui è stata trovata l’intesa (che è peraltro passibile di ulteriori modifiche), si legge che «la migrazione è una sfida europea che richiede una risposta europea. La migrazione irregolare deve essere affrontata immediatamente e con determinazione». Pertanto, prosegue la bozza, «non permetteremo ai trafficanti di decidere chi entra nell’Ue». In questa dichiarazione comune, inoltre, i capi di Stato e di governo si propongono di attuare «una protezione più efficace delle frontiere esterne della Ue, una lotta risoluta alla criminalità organizzata, alla tratta di esseri umani e alla strumentalizzazione della migrazione come strumento di guerra ibrida e l’intensificazione dei rimpatri». Come si può vedere, dal documento finale è stato stralciato il passaggio relativo alle Ong. E cioè il pomo della discordia che aveva provocato la rottura tra Roma e Berlino, tanto che la settimana scorsa si era temuto che l’accordo potesse definitivamente saltare. Se l’Italia si era attestata su una linea dura contro le controverse organizzazioni non governative, accusandole di esercitare l’«effetto calamita» (pull factor) sui migranti, la Germania aveva invece difeso a spada tratta i «taxi del mare», finanziandone addirittura qualcuna, mandando così su tutte le furie il governo Meloni e, in particolare, il ministro della Difesa Guido Crosetto.Alla fine della fiera, comunque, di Ong si è deciso di non parlare più. Ma il documento approvato dai Ventisette rimane pressoché inalterato nel suo nocciolo: in circostanze emergenziali, quando cioè il sistema di accoglienza di uno Stato membro viene sovraccaricato, il relativo governo potrà adottare misure più severe. Tra queste, figurano ad esempio periodi più lunghi di trattenimento alla frontiera degli immigrati, in attesa che la loro richiesta di asilo venga esaminata. Stesso discorso per coloro che vengono dichiarati non idonei alla protezione umanitaria: in contesti straordinari, la durata della loro detenzione prima del rimpatrio potrà essere estesa. In sostanza, si tratta di tutte quelle norme che le Ong, coccolate da Berlino, avevano aspramente criticato.Non stupisce allora che fonti di Palazzo Chigi abbiano cantato vittoria: «L’emendamento della Germania rappresentava un passo indietro, è stato ritirato: è passata la posizione italiana». Soddisfazione espressa direttamente anche da Giorgia Meloni: «Devo dire che non mi sento isolata io, mi sembra che sia molto più isolata una sinistra europea che continua a ritenere di poter affrontare questa materia in modo ideologico, facendo di fatto un lavoro che non aiuta nessuno», ha dichiarato in un’intervista a Sky Tg24 il presidente del Consiglio. A cui ha poi fatto eco il ministro degli Esteri, Antonio Tajani: «L’accordo è un successo per l’Italia». Ben più dimesso, invece, il commento della sua omologa tedesca, Annalena Baerbock, la quale ha provato a rivendicare il fatto che la Germania «ha lottato duramente e con successo a Bruxelles per garantire che gli standard umanitari minimi non venissero indeboliti». Ma la verità è che, anche in patria, la mossa di Berlino (finanziare le Ong) non era piaciuta un granché all’elettorato. Berlino «è andata a sbattere contro il granito» di Roma, ha commentato il quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung.Questo successo dell’esecutivo italiano, peraltro, ha spinto anche il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, a criticare la sentenza del Tribunale di Catania, che aveva definito il recente decreto del governo sui migranti «illegittimo in più parti» e «incompatibile con le norme Ue». Pur specificando che «non c’è alcuno scontro» tra politica e magistratura, il ministro ha ribadito che «con profondo rispetto per quella decisione in quanto tale, ma con forti elementi di contestazione di merito per quanto in essa contenuto, stiamo lavorando per proporre ricorso», poiché «riteniamo che punti qualificanti di quella sentenza siano profondamente sbagliati».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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