2019-05-14
Scivolone da Nobel. La strage in moschea diventa utile se giova all’islam
Wole Soyinka cade nella trappola del buonismo e sfrutta il massacro per sostenere che tutte le religioni sono violente.Il nigeriano Wole Soyinka, premio Nobel per la letteratura nel 1986, è forse il più celebre e rappresentativo scrittore africano. L'editore Jaca Book ha appena pubblicato il suo nuovo libro, Ode laica per Chibok e Leah. Un volume di poesia, in cui Soyinka parla del fondamentalismo religioso, concentrandosi in particolare su una piaga che infesta il suo Paese natale, ovvero il movimento jihadista chiamato Boko Haram. Nell'introduzione all'ode, il romanziere si lancia con particolare veemenza contro il politicamente corretto: «Le società», scrive, «hanno sviluppato un rispetto così empio delle religioni che, persino quando l'abuso e le atrocità indicibili a danno degli esseri umani sono riconducibili senza alcuna ambiguità a dottrine religiose, la lingua con cui si esprime ogni forma di condanna risulta debole, quasi apologetica, persino viscida, il prodotto insomma di una tendenza sociopolitica senza spina dorsale meglio nota come Politicamente Corretto». Soyinka non ha dubbi: «Di certo, questo tipo di linguaggio dovrebbe essere stato relegato ormai da tempo al pattume delle strategie di riconciliazione, che hanno dato ampia prova della loro inefficacia. Avrebbe dovuto prenderne il posto un approccio educativo rigoroso, coscienzioso, aperto a tutti, che fosse all'altezza dell'intenso dilagare di questa malattia globale». L'autore africano descrive il politicamente corretto come una sorta di malattia, di infezione. E ha ragione nel dire che dovremmo essercene liberati già da tempo, anche perché dell'argomento si discute da anni. Il fatto che è la patologia è molto più diffusa e radicata di quanto si possa pensare. E lo dimostra proprio un piccolo episodio che riguarda Wole Soyinka, ospite nei giorni scorsi al Salone del libro di Torino. Il suo libro così potente e la sua autorevolezza di scrittore avrebbero probabilmente meritato uno spazio ancora maggiore. Invece di accapigliarsi su fascismi veri o presunti, alla kermesse letteraria si sarebbe potuto parlare del fondamentalismo e del jihadismo, magari invitando anche altri intellettuali di rilievo. Invece il tema si è confuso fra i tanti trattati alla fiera, che peraltro ospitava un mastodontico padiglione dell'emirato arabo di Sharjah, Paese non esattamente democratico.Comunque sia andata, è indubbio che le posizioni di Soyinka sulle derive mortifere dell'islam siano piuttosto decise. Le ha illustrate anche durante una conferenza stampa a cui hanno partecipato vari giornalisti italiani, tra cui il sottoscritto.E qui sta il problema. Per lo più, il premio Nobel è stato interrogato su questioni abbastanza oziose: domande retoriche a cui era prevista una risposta retorica. Quando è stato stuzzicato sul politicamente corretto, tuttavia, Soyinka si è acceso. «Siamo tutti stati abituati a dire “rispettiamo le altre religioni". Ma che cosa succede quando le altre religioni non rispettano la tua religione? Le religioni africane sono state vittime sia del cristianesimo che dell'islam», ha spiegato. «La correttezza politica sta uccidendo il mondo. Ci sono alcune religioni che hanno nei loro testi sacri delle frasi che possono essere interpretate in un modo o nell'altro. Ci sono alcune frasi che invitano a un grande umanesimo. E altre che dicono: “Bisogna uccidere i miscredenti". Io credo che sia responsabilità dei credenti guardare con attenzione a ciò che è scritto nei loro testi sacri. Perché non dimentichiamoci che i testi sono stati scritti da esseri umani, non sono stati scritti da qualcuno arrivato da un pianeta lontano. Sia che si tratti dei dieci comandamenti sia che parliamo di Maometto che è andato nel deserto e ha sentito la voce di dio, ricordiamoci che si tratta di testi scritti da esseri umani. E noi, come esseri umani, abbiamo la responsabilità di dire che siamo diversi dagli uomini di mille anni fa». Soyinka, come avrete capito, ha una visione quasi laicista. Dal suo punto di vista, le grandi religioni monoteiste pari sono, soprattutto perché hanno contribuito a sradicare le religioni tradizionali africane. «Ogni religione - cristianesimo, islam, buddismo, induismo - dice come si devono svolgere alcuni aspetti della vita quotidiana, per esempio il vestire», dice il nigeriano. «L'islam indica come deve vestirsi una donna, per esempio lasciando scoperta solo la fessura attraverso la quale vedere. Si vedono però anche delle donne islamiche che hanno i tacchi o mettono il rossetto e per me non sono meno spirituali di quelle che vanno in giro vestite con una tenda». Insomma, è evidente che il nostro romanziere non sia disposto a fare sconti. Egli critica il concetto di islamofobia, spiegando che «la religione è nel dominio pubblico, non privato, può essere discussa da chiunque, non solo da quanti stanno al suo interno». Non ha timore di parlare anche del caso Charlie Hebdo: «Il fondamentalismo», dice, «si può raccontare facendo ricorso alla tragedia. Oppure si può prendere uno spillo e distruggere il palloncino della vanità tramite il ridicolo, con la parodia, con la satira, e prendere in giro chi indottrina. Tuttavia ci sono alcune religioni che sono insicure e quindi hanno paura di non reggere al confronto quando vengono prese in giro». Ma è proprio qui che si insinua il politicamente corretto. Il discorso di Soyinka ha un punto debole: egli mette tutte le fedi sullo stesso piano, ma la cronaca ci dimostra che l'islam si differenzia dalle altre, almeno quando parliamo di terrorismo. Per quanto esistano casi di estremismo cristiano, ebraico e pure buddista, il numero di fanatici musulmani è estremamente superiore, almeno negli ultimi trenta o quarant'anni. Secondo l'autore africano non si può «fare una bilancia del terrore, contare quanti sono stati uccisi qui e quanti lì».Il problema, tuttavia, non è la conta dei morti. È, piuttosto, affrontare una volta per tutte il rapporto deviante fra islam e fondamentalismo. Per questo, durante la conferenza stampa torinese, abbiamo provato a sollecitare Soyinka sulla questione. Risultato: abbiamo suscitato il fastidio non tanto del Nobel africano, quanto dei nostri colleghi. Erano quasi tutti impegnati a interrogare lo scrittore sui disastri causati dai populisti e dalla cultura dell'odio propria delle destre al potere. E, quando abbiamo citato l'islam, si sono irritati. Uno di loro si è sentito in dovere di tirare in ballo l'attacco a una moschea in Nuova Zelanda, bollato come espressione di «una nuova religione laica» i cui estremisti «sparano a chi prega senza violenza».Sollecitato sul caso neozelandese, Soyinka ha pronunciato parole robuste. «Ciò che è accaduto in Nuova Zelanda», ha detto, «è una cosa orribile. Ma c'è una piccola parte di me, una piccola parte, che ha detto: grazie al cielo è successo. Perché? Vorrei spiegarlo con molta chiarezza: perché è una lezione al mondo. Una lezione, seppur tragica per le persone che sono morte, ma che ci dice che il fondamentalismo non appartiene a un'unica religione. È triste, è tragico che ci siano state tutte queste vite perse, è uno shock. Ma con questo si può dire che il fondamentalismo non appartiene a una sola religione».Mentre Soyinka diceva queste cose, i cronisti riuniti annuivano seri. È inquietante, se ci pensate: che cosa accadrebbe se qualcuno dicesse che una piccola parte di noi può gioire per i morti del Bataclan perché ci hanno permesso di svelare la violenza islamica? Ovviamente scoppierebbe l'inferno. In questo caso, però, tutti approvavano. In compenso, un giornalista, all'uscita della conferenza, mi si è avvicinato e mi ha rimproverato per le domande sui musulmani, che evidentemente giudicava troppo «populiste».Riassunto: uno scrittore pubblica un libro molto duro con l'islam, ma alla stampa occidentale interessano di più le sue critiche a identitari e cristiani. E quando dice che si può essere soddisfatti perché un fanatico ha mostrato l'esistenza di una violenza non islamica, nessuno si turba. Eccome come funziona la patologia chiamata politicamente corretto.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)
13 agosto 2025: un F-35 italiano (a sinistra) affianca un Su-27 russo nei cieli del Baltico (Aeronautica Militare)
La mattina del 13 agosto due cacciabombardieri F-35 «Lightning II» dell’Aeronautica Militare italiana erano decollati dalla base di Amari, in Estonia, per attività addestrativa. Durante il volo i piloti italiani hanno ricevuto l’ordine di «scramble» per intercettare velivoli non identificati nello spazio aereo internazionale sotto il controllo della Nato. Intervenuti immediatamente, i due aerei italiani hanno raggiunto i jet russi, due Sukhoi (un Su-27 ed un Su-24), per esercitare l’azione di deterrenza. Per la prima volta dal loro schieramento, le forze aeree italiane hanno risposto ad un allarme del centro di coordinamento Nato CAOC (Combined Air Operations Centre) di Uadem in Germania. Un mese più tardi il segretario della Nato Mark Rutte, anche in seguito all’azione di droni russi in territorio polacco del 10 settembre, ha annunciato l’avvio dell’operazione «Eastern Sentry» (Sentinella dell’Est) per la difesa dello spazio aereo di tutto il fianco orientale dei Paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica di cui l’Aeronautica Militare sarà probabilmente parte attiva.
L’Aeronautica Militare Italiana è da tempo impegnata all’interno della Baltic Air Policing a difesa dei cieli di Lettonia, Estonia e Lituania. La forza aerea italiana partecipa con personale e velivoli provenienti dal 32° Stormo di Amendolara e del 6° Stormo di Ghedi, operanti con F-35 e Eurofighter Typhoon, che verranno schierati dal prossimo mese di ottobre provenienti da altri reparti. Il contingente italiano (di Aeronautica ed Esercito) costituisce in ambito interforze la Task Air Force -32nd Wing e dal 1°agosto 2025 ha assunto il comando della Baltic Air Policing sostituendo l’aeronautica militare portoghese. Attualmente i velivoli italiani sono schierati presso la base aerea di Amari, situata a 37 km a sudovest della capitale Tallinn. L’aeroporto, realizzato nel 1945 al termine della seconda guerra mondiale, fu utilizzato dall’aviazione sovietica per tutti gli anni della Guerra fredda fino al 1996 in seguito all’indipendenza dell’Estonia. Dal 2004, con l’ingresso delle repubbliche baltiche nello spazio aereo occidentale, la base è passata sotto il controllo delle forze aeree dell’Alleanza Atlantica, che hanno provveduto con grandi investimenti alla modernizzazione di un aeroporto rimasto all’era sovietica. Dal 2014, anno dell’invasione russa della Crimea, i velivoli della Nato stazionano in modo continuativo nell’ambito delle operazioni di difesa dello spazio aereo delle repubbliche baltiche. Per quanto riguarda l’Italia, quella del 2025 è la terza missione in Estonia, dopo quelle del 2018 e 2021.
Oltre ai cacciabombardieri F-35 l’Aeronautica Militare ha schierato ad Amari anche un sistema antimissile Samp/T e i velivoli spia Gulfstream E-550 CAEW (come quello decollato da Amari nelle immediate circostanze dell’attacco dei droni in Polonia del 10 settembre) e Beechcraft Super King Air 350ER SPYD-R.
Il contingente italiano dell'Aeronautica Militare è attualmente comandato dal colonnello Gaetano Farina, in passato comandante delle Frecce Tricolori.
Continua a leggereRiduci