2024-12-13
        Il Tar ferma la precettazione Salvini: «Oggi sarà il caos». Adesso più poteri al Garante
    
 
Altro che tutele sui trasporti, il Tribunale blocca lo stop del ministro: «Disagi fisiologici». Ora urge cambiare la legge per concedere all’Autorità degli scioperi interventi diretti. A dodici ore dall’avio dello sciopero generale promosso da due delle grandi sigle, dall’Unione di base e capeggiato da Maurizio Landini il tentativo di precettare è andato in fumo. Il ministro Matteo Salvini aveva infatti emesso un’ordinanza per salvaguardare la fascia oraria del mattino e consentire un minimo di mobilità garantita nei trasporti. Esattamente come avvenuto nel precedente sciopero generale di fine novembre. Stavolta invece il Tar del Lazio ha accolto il ricorso di Usb e ha sospeso l’ordinanza di precettazione con una giustificazione sottile. Anzi sottilissima. «I disagi discendenti dallo sciopero appaiono riconducibili all’effetto fisiologico proprio di tale forma di astensione dal lavoro, né emergono le motivazioni in base alle quali i disagi eccederebbero tale carattere, tenuto conto della vincolante presenza di fasce orarie di garanzia di pieno servizio», hanno argomentato i giudici amministrativi alzando la palla ai sindacati che a stretto giro di posta: «Lo sciopero è generale, regolare e legittimo e durerà 24 ore anche nei trasporti. Per una volta vincono i lavoratori e vince la democrazia. È quindi smentita l’arroganza del ministro Salvini», si legge nella nota di Usb. Ovviamente il numero uno della Lega ha subito ribattuto: «Abbiamo fatto tutto il possibile per difendere il diritto alla mobilità degli italiani. Per l’ennesimo venerdì di caos e disagi, i cittadini potranno ringraziare un giudice del Tar del Lazio». Non spetta noi stigmatizzare il punto politico, cioè che la precettazione non è assolutamente arroganza ma uno strumento previsto dalla legge esattamente per tutelare i cittadini dallo stillicidio di scioperi. Giusto alcuni numeri per rendere l’idea di come la pazienza dei cittadini negli ultimi due anni sia stata costantemente messa alla prova. In 25 mesi, con Fratelli d’Italia alla guida del governo, sono state proclamate 518 sospensioni in totale, di cui effettuate 374, una media di 15 al mese. Nel 2024 i trasporti sono stati particolarmente presi di mira sia dai sindacati confederali sia da quelli autonomi. Il trasporto pubblico locale, solo a livello confederale, ha collezionato fino ad oggi cinque scioperi, uno da 24 ore uno da otto, gli altri, solo in virtù della precettazione, di quattro ore. Secondo le rilevazioni della Commissione di Garanzia degli scioperi, il complesso del settore (treni, Tpl e aerei), da gennaio a novembre, è stato terremotato da 54 giorni di stop, con una media di uno ogni sei giorni. Sempre secondo i dati del Garante gli scioperi nazionali dei treni nel 2023 sono stati 15 di cui ben dieci di venerdì o di lunedì, quattro nel weekend e solo uno nel mezzo della settimana. E siccome formula vincente non si cambia, nel 2024 emerge come i giorni coinvolti siano stati per undici volte venerdì o lunedì, sei volte nel weekend e sei volte in altri giorni della settimana. Invece le mobilitazioni nazionali del trasporto pubblico locale nel 2024, sono cadute nove volte venerdì o lunedì, quattro volte nel weekend e tre volte in altri giorni della settimana. Tutto ciò perché al sindacato non resta che creare disagio ad altri lavoratori e non più all’azienda interessata. Accade per almeno due motivi. Le mosse della Cgil sono di natura prettamente politica e la rappresentanza dentro le fabbriche si è ridotta al lumicino. Se dunque c’è un percorso da imboccare verso la democrazia e la tutela del diritto di movimento è esattamente nella direzione opposta indicata dai sindacati. Nelle scorse settimane Salvini aveva sostenuto che «la normativa sulle astensioni va rivista e ridiscussa, ma tutti insieme, con i sindacati», perché sono «in primis loro a rendersi conto che se c’è uno sciopero al giorno sono giornate di lavoro in meno per i lavoratori». In realtà non ci sembra che quest’ultimo aspetto possa essere una leva di cambiamento da parte di chi come Landini ama portare gente in piazza contro il «pericolo fascismo» e non contro il Green deal che desertifica l’industria o contro Stellantis che disinveste in Italia. Eppure l’idea di rivedere le norme dello sciopero comincia a diventare urgente. L’Autorità oggi ha solo il potere di segnalazione, invece dovrebbe avere direttamente la capacità e il potere di precettare. Ieri su queste colonne il direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha lanciato una proposta molto interessante e di peso. «Mi permetto di dare due consigli da ex Garante: va fatta una legge sulla rappresentatività sindacale, perché ci sono interi settori dei servizi pubblici essenziali che vengono bloccati da sigle sindacali con pochissimi iscritti, e bisogna», ha spiegato Roberto Alesse, «conferire anche all’Autorità di garanzia per gli scioperi il potere diretto di precettazione. In questo modo, i governi sono meno esposti ad attacchi strumentali per l’esercizio di un potere che incide pesantemente su uno dei più importanti diritti costituzionali». Alesse tocca il punto cruciale. Sfilare il fardello politico e ripristinare il tecnicismo della legge. Ciò non è solo un aiuto ai governi, ma anche ai cittadini che non sarebbero più in balia di una gragnola di scioperi o dell’interpretazione di un giudice amministrativo. È chiaro che la riforma dell’Autorità di garanzia deve passare anche da una vera e nuova legge sulla concertazione che consenta di sanzionare molto più pesantemente i furbetti sia dal lato dei sindacati sia da quello delle aziende. Il mondo è sempre più polarizzato e lo strumento dello sciopero diventerà ancora più incandescente se non lo si riporta nell’alveo di una Autorità super partes. È estenuante pure assistere al continuo ping pong di astensioni, come se in Italia non avessimo già un serio problema di produttività.
        La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
    
        Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
    
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico. 
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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        Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)