2024-12-14
Lo sciopero contro le banche e Israele non ottiene altro che botte in piazza
Gli autonomi motivano la protesta con le accuse di genocidio: il risultato sono gli scontri a Torino. È la rivolta sociale di Landini.L’ad di Yamamay Gianluigi Cimmino: «Così le giuste richieste dei lavoratori vengono strumentalizzate senza portare a casa nulla Noi perdiamo il fatturato di un giorno, i cittadini sono danneggiati e la condizione dei dipendenti non cambia».Lo speciale contiene due articoli.«Contro il crescente coinvolgimento dell’Italia nei teatri di guerra tanto ad Est quanto nel sostegno al genocida governo israeliano», «Per una vera tassazione sui super profitti di banche e compagnie energetiche», «Contro il cosiddetto decreto Cutro che riporterà nella clandestinità migliaia di lavoratori migranti». Quelli che potrebbero tranquillamente essere i punti fondanti del manifesto di un nascente partito di sinistra estrema, sono invece i tratti distintivi delle motivazioni dell’ennesimo sciopero proclamato di venerdì dai sindacati. Questa volta non c’entrano Cgil e Uil, ma gli attori protagonisti sono gli autonomi, comanda l’Usb. Che per tutta la settimana si è presa la scena nel botta e risposta con il ministro Matteo Salvini, risolto, come da copione, dai giudici del Tar: stop alla precettazione e via libera all’ennesimo pre fine settimana di passione per gli italiani. Perché al di là delle percentuali di adesione e del balletto delle cifre tra organizzatori (che nei trasporti hanno parlato dell’80% di adesioni) e istituzioni conta l’effetto preventivo che si innesca su buona parte dei cittadini in vista dello sciopero. Gli utenti si difendono come possono e adottano le strategie difensive più fantasiose. Si parte dallo smart working e si arriva fino ai permessi più o meno concordati: tutto per evitare i possibili disagi. Storie ormai arcinote. Di ordinaria protesta all’italiana. Ma qui il punto è un altro. Le rivendicazione di cui sopra sono oggettivamente fuori contesto. Si arriva perfino a concepire la protesta per la legge di bilancio, la manifestazione indetta per chiedere di rilanciare la sanità pubblica e cancellare le leggi che hanno introdotto precarietà e liberalizzazione nel mondo del lavoro. Tutte motivazioni strumentali e pretestuose rispetto alla presenza di un governo di centrodestra, ma perlomeno attinenti al tema del contendere: l’occupazione e l’economia. Mentre diventa davvero difficile capire cosa c’entri lo sciopero con il decreto Cutro sull’immigrazione, con la tassazione sui profitti delle banche e sopratutto con il presunto genocidio di Israele a Gaza. Tant’è che a stretto giro, Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, non ha potuto fare a meno di porsi la stessa domanda. «Se da cittadini comprendiamo le ragioni di uno sciopero pur con tutti i disagi, da cittadini di questo paese ribadiamo che uno sciopero non è una piazza dalla quale si annunciano slogan di odio e distorsione [...] Parlando di genocidio si trasforma anche questo momento di rivendicazione salariale-sindacale in uno spazio prettamente prestato alla strumentalizzazione politica e alla distorsione che semina odio». Ecco, appunto. Perché sta succedendo questo? Ci troviamo davanti alla «landinizzazione» della protesta sociale che come vedremo da qui a breve ma mano sta portando alla famosa «rivolta» auspicata dal segretario della Cgil un po’ di settimane fa. Se infatti Cgil e Uil diventano di fatto dei sindacati estremi che spostano la loro protesta su temi politici come l’autonomia differenziata, l’immigrazione e la manovra contrastata con uno sciopero generale a prescindere (perché proclamato prima ancora di vederla), è normale che gli altri corpi sociali per farsi notare siano costretti a spostarsi ancora più a sinistra. A fare un altro po’ di passi di lato. E a furia di fare passi laterali si rischia di cadere. E qui arriviamo alla «rivolta sociale» incitata da Maurizio Landini. Non che il leader della Cgil invitasse esplicitamente alla violenza, ma è difficile capire come un leader navigato qual è l’ex capo dei metalmeccanici rossi non veda il rischio che si nasconde dietro al suo appello. Perché in questi casi il confine tra la protesta civile e la sommossa incivile e troppo labile e difficilmente controllabile. Soprattutto quando poi si saldano sigle e strutture alle quali basta un fiammifero per appiccare un incendio. Abbiamo visto la forza di attrazione che gli scioperi hanno verso collettivi studenteschi, centri sociali e antagonisti. E anche nell’ultimo giro non sono mancati momenti di tensione. I nuovi scontri hanno avuto come centro Torino. Protagonisti gli antagonisti (pro Pal) che hanno lanciato uova e sassi contro le forze dell’ordine prima di cimentarsi in un blitz intimidatorio alla sede della Rai. «La legittima libertà di manifestare non può essere utilizzata come alibi per seminare caos, provocare devastazioni, aggredire gli agenti di Polizia. La politica tutta, senza distinzione di colore, prenda le distanze da questi delinquenti», ha scritto su Facebook il presidente del Senato, Ignazio La Russa. «Solidarietà sincera a forze dell’ordine e vertici Rai», ha aggiunto.Il problema è che si tratta di una routine alla quale ci stiamo abituando. E considerando il numero di proteste e nuovi scioperi programmate da qui al prossimo mese non possiamo fare altro che confidare ancora nella buona sorte.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sciopero-ottiene-botte-2670452979.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-protesta-politica-fa-solo-danni-cambiamo-le-regole-sulle-chiusure" data-post-id="2670452979" data-published-at="1734177391" data-use-pagination="False"> «La protesta politica fa solo danni. Cambiamo le regole sulle chiusure» Lo sciopero come strumento politico e basta danneggia i lavoratori e le aziende. I problemi della forza lavoro vanno discussi ai tavoli con le istituzioni e non fermando un Paese e chi vi lavora. È il pensiero di Gianluigi Cimmino, amministratore delegato di Yamamay che ne ha parlato con la Verità. Secondo l’imprenditore, sindacati, datori di lavoro e istituzioni dovrebbero lavorare insieme per far crescere le aziende italiane. Al contrario, le manifestazioni come quella di ieri rischiano di far male ai lavoratori. Qual è l’impatto dello sciopero di ieri su un’azienda come la vostra?«Abbiamo perso un venerdì vicino alla Vigilia di Natale, non un venerdì qualunque. In una giornata qualunque, uno sciopero ci fa perdere il 30% del fatturato di una giornata. In questo periodo la perdita è tre volte tanto. Abbiamo, in pratica, perso una giornata di lavoro a livello di entrate». Sulla Verità è stata avanzata la proposta di fare una legge che regolamenti la rappresentatività dei sindacati che indicano lo sciopero. Perché, se si deve andare a manifestare con un sindacato che ha pochi migliaia di iscritti e che blocca l’Italia, questo può essere un problema. Lei cosa ne pensa?«Credo che le ragioni che possono essere sacrosante alla base dello sciopero sono state strumentalizzate a fini politici per bloccare un Paese. Questo, alla fine, credo sia una cosa che va contro i lavoratori. E poi vedo chiaramente un intento di spaccare il mondo del lavoro perché, se si crea continuamente un disagio per andare a lavorare, è chiaro che io non potrò mai essere solidale con quelle che sono le rimostranze dei sindacati. È sacrosanto che lo sciopero debba essere fatto, ma deve essere regolamentato perché sia un atto di rimostranza, di lotta, che però non deve andare a ledere i diritti di tutti i cittadini. Sto parlando di diritto del lavoro e del diritto di muoversi». In effetti, il problema è che la ripetitività dello sciopero vi costa diversi giorni di lavoro persi in un anno.«Per tutti gli imprenditori sono diversi giorni di fatturato persi nel corso dell’anno. Ma, oltre al mio punto di vista di imprenditore, c’è anche quello dei lavoratori. Io devo fare un viaggio di lavoro dalla Lombardia alla Puglia e sto avendo problemi con gli spostamenti. Eppure sono un privilegiato che può cambiare la propria agenda. Chi deve svegliarsi la mattina presto e andare a lavorare lontano da casa non ha questa fortuna». Avete fatto un calcolo di quanto avete perso nell’anno con le giornate di sciopero?«Una stima precisa non ancora, ma sicuramente sarà costato qualche milione in un anno».Rispetto ai dipendenti come vi siete mossi per ovviare al problema?«Se qualcuno chiede cerchiamo di essere disponibili a soluzioni alternative, soprattutto per chi arriva da più lontano. Chi ha un’auto propria riesce a muoversi. Altrimenti può essere molto complicato. Non tutti riescono a raggiungere il posto di lavoro agevolmente». Lei ha sentito anche altri suoi colleghi imprenditori, sindacati? «No, ma come al solito in Italia nessuno parla, la pensiamo tutti allo stesso modo ma poi in pochi si espongono». Lei cosa farebbe da imprenditore per cercare di ovviare al problema?«Ogni imprenditore ha le sue associazioni che dovrebbero dire la loro. Da imprenditore auspico che ci siano dei tavoli civili dove si ascoltano, ripeto, le giustissime rimostranze dei lavoratori, perché è vero che gli stipendi devono crescere. Ma nel rispetto delle regole, nella revisione di un diritto che in questo momento, così com’è, non funziona. Tutto questo è diventato uno strumento pericoloso non a difesa dei lavoratori, ma in mano alla politica. Questo è quello che avverto. Tutti parlano di sciopero contro il governo, poi alla fine nel contenuto non si comprendono mai le ragioni dello sciopero. Si capisce solo che è contro il governo, per bloccare il Paese, per rivoltare lo Stato come un calzino senza un vero ascolto delle ragioni alla base delle manifestazioni. Questo non fa bene a nessuno, soprattutto ai lavoratori, che non sono tutelati».Nemmeno agli imprenditori come lei?«Gli imprenditori sono lavoratori e i sindacati, le organizzazioni, dovrebbero stare tutte dallo stesso lato perché dovrebbero tutte quante lavorare difendendo gli interessi dei lavoratori. Dovrebbero lavorare per far crescere il Paese. Dovremmo essere tutti quanti dallo stesso lato. L’imprenditore senza il lavoratore non va da nessuna parte, il lavoratore senza l’imprenditore non va da nessuna parte. E quindi bisogna cercare di lavorare insieme, di ascoltare quelle che sono le ragioni visibili e di farle comprendere al governo. Questo esecutivo sta facendo il massimo di quello che può fare con i mezzi che ha a disposizione cercando di non bloccare la crescita di questo Paese. Perché noi adesso, di decimale in decimale, di questo passo arriveremo a un 2025 che sarà negativo».Sta parlando dell’Italia?«Se il Paese cresce, crescono anche le aziende. Invece, da noi, la produzione industriale non cresce, i consumi non crescono. L’occupazione è l’unica cosa che cresce, ma la produzione è ferma. Sosteniamo il Pil con il turismo, che sicuramente non calerà, però noi per sostenere la crescita del Paese abbiamo bisogno di un clima che non sia contro il consumo, che non sia un clima di lotta. Quindi questo dovrebbe essere l’appello, non alla lotta, non alla divisione, ma al dialogo, all’ascolto».
Alfredo Mantovano (Imagoeconomica)
Ranieri Guerra (Imagoeconomica). Nel riquadro, Cristiana Salvi