
Sarà interessante ascoltare gli autorevoli commentatori che difendono la Costituzione «nata dall’antifascismo», ma hanno una gran voglia di menare le mani per farla pagare a Vladimir Putin e indirettamente a Donald Trump. Solo che gli italiani mandano a memoria l’articolo 11 e si adeguano: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». A dare manforte arrivano i contribuenti che intimano «basta soldi all’Ucraina» e i vescovi che in una nota della Cei riprendono don Milani, per dire: «La difesa della patria non si assicura solo con il ricorso alle armi, ma passa per la cura della civitas, attraverso l’obiezione di coscienza e il servizio civile».
Così il Censis nel suo rapporto - il 59° della serie - dedica un capitolo all’addio alle armi. Il 43% degli italiani disapprova un nostro intervento militare anche nel caso in cui un Paese alleato della Nato venisse attaccato. Il tanto invocato articolo 5 dell’Alleanza non piace a quasi un italiano su due. La faccenda diventa ancor più seria se si considera che ieri la Reuters ha fornito un’anticipazione dei colloqui che si sono avuti al Pentagono tra le due sponde dell’Atlantico. Gli americani hanno detto agli europei: «Dovete assumere la maggior parte della capacità di difesa convenzionale entro il 2027», aggiungendo, «siamo insoddisfatti degli impegni europei e perciò siamo pronti a smettere di partecipare ad alcuni meccanismi di coordinamento della difesa Nato». Ora bisogna cercare di convincere quel 66% (due italiani su tre) che al Censis ha detto: se per riarmarsi l’Italia dovesse tagliare la spesa sociale bisognerebbe rinunciare a rafforzare la difesa. Chissà se la baronessa Ursula von der Leyen ha mai riflettuto sul fatto che i cittadini potrebbero non essere d’accordo col riarmo. A maggior ragione se lo impone la von Truppen. Perché gli italiani hanno una scarsissima opinione dell’Europa. Il 62% è convinto che non abbia alcun ruolo decisivo sullo scacchiere globale, il 53% ritiene che l’Ue sia marginale in un mondo in cui vincono la forza e l’aggressività, anziché il diritto e l’autorità degli organismi internazionali. Oltre la metà degli italiani (il 55%) sostiene che l’Occidente è a fine corsa e a tirare oggi sono Cina e India. Se questo è il quadro si fa fatica a dare sostegno a Volodymyr Zelensky senza se e senza ma.
Sul punto si fa viva la Federcontribuenti che intima a governo e Palamento: «Fermate l’invio di fondi all’Ucraina destinati a sostenere uno sforzo bellico che, a oggi, ha già drenato oltre 1,2 miliardi di euro diretti dall’Italia e rischia di costare ai contribuenti italiani oltre 22 miliardi tra il 2025 e il 2026: 10 miliardi già nel 2025 e 12 miliardi nel 2026, secondo stime di previsione legate a spese Nato, aiuti Ue e fondi bilaterali». Federcontribuenti ricorda che 4 milioni di italiani rinunciano a curarsi, che il 40% delle scuole non è a norma, che una famiglia su dieci è in povertà, perciò è improponibile il baratto tra «welfare e armamenti» e che hanno chiuso 100.000 imprese. Da qui l’appello: «No all’abitudine alla guerra, sì alla dignità sociale ed economica degli italiani». Peraltro, i dati del rapporto Censis sono una conferma di un sentimento assai diffuso in Italia e già osservato in luglio dallo stesso istituto che aveva rilevato come solo il 16% sarebbe disposto a combattere, mentre il 39% si definisce pacifista e il 59% in caso di guerra - che metà degli italiani pensano possa essere scatenata dalla Russia mentre un terzo teme i Paesi islamici - lascerebbe l’Italia. Dunque, dai dati Censis, emerge un’esigenza di prudenza di governo e Parlamento sui temi del riarmo e della guerra.
Lo fa notare la Cei che proprio ieri ha diffuso le Conclusioni della Nota pastorale «Educare a una pace disarmata e disarmante». Scrivono i vescovi: «L’annuncio della pace esige un no deciso alla logica bellica e scelte coerenti con esso. Esige una testimonianza di speranza, uno stile di vita che abbia carattere dimostrativo e renda visibile, nell’abito esteriore e nel comportamento, l’aver scelto la pace come regola». I vescovi condannano con fermezza la corsa al riarmo e sottolineano: «La difesa, mai la guerra; occorre un rinnovato impegno internazionale per il controllo degli armamenti, sia tra i Paesi alleati che con i Paesi rivali». Ecco una «scomunica» all’Ue, a Ursula von der Leyen, a Friedrich Merz e a Emmanuel Macron lanciatissimi sui missili: «È un’istanza da promuovere anche a livello di Ue, la cui normativa è meno forte di quella italiana, e potrebbe essere ulteriormente allentata dal piano ReArm Europe. Occorre invece che l’Europa si faccia promotrice di una rinnovata cooperazione per un’agenzia unica per il controllo dell’industria militare interna e del commercio di armi con il resto del mondo». La prudenza di Giorgia Meloni sul decreto aiuti a Kiev e gli stimoli di Matteo Salvini e della Lega - che con Massimiliano Romeo ha ribadito: «Serve un provvedimento che guardi alle garanzie di sicurezza per Kiev nell’ambito del piano di pace Usa; una semplice proroga rischia di non essere allineata al percorso negoziale» - sembrano assai vicini al sentimento dei cittadini.






