Altro scandalo tangenti in Ucraina. Soldi a deputata eletta con Zelensky

Le autorità dell’anticorruzione ucraine hanno aperto un nuovo fronte interno in un momento cruciale per il Paese. Nabu, Sapi e i servizi di Sicurezza hanno annunciato di aver smantellato un presunto sodalizio criminale riconducibile alla parlamentare Anna Skorokhod, accusata di aver preteso denaro da un imprenditore. Secondo le prime ricostruzioni, la deputata - perquisita insieme ai suoi collaboratori - avrebbe costretto un uomo d’affari a versarle 250.000 dollari. Eletta nel 2019 nel distretto di Kiev ed entrata in Parlamento sotto la bandiera di Servitore del popolo (partito del presidente Volodymy Zelensky, Skorokhod era stata espulsa dal partito solo pochi mesi dopo e ora siede nel gruppo Per il futuro.
Il caso rischia di trasformarsi nell’ennesima ferita politica per un Paese già piegato dalla guerra e dalla pressione economica. La vicenda esplode mentre Kiev combatte un’altra battaglia: quella contro una corruzione strutturale che continua a divorare risorse vitali. Le stime degli organismi internazionali mostrano un’emorragia impressionante: ogni anno scompare tra il 10 e il 15% del Prodotto interno lordo. Tradotto in cifre pre-invasione, quando il Pil si aggirava sui 200 miliardi di dollari, significa un buco compreso fra 20 e 30 miliardi annuali. Fondi che mancano per modernizzare lo Stato, rafforzare l’economia e sostenere un apparato militare impegnato in un conflitto esistenziale con Mosca. Prima del 2022, le autorità di controllo avevano già rilevato voragini nella riscossione fiscale e doganale, pari a 5-8 miliardi l’anno, cui si sommano decenni di inefficienze croniche nel settore energetico e negli appalti pubblici.
Il problema ha anche un peso reputazionale enorme. Una posizione scomoda, che alimenta la propaganda russa (non certo immune alla corruzione), e che allo stesso tempo irrigidisce le condizioni poste da Unione europea e Stati Uniti per continuare a sostenere militarmente ed economicamente Kiev. Le riforme richieste sono drastiche, tanto più che - secondo la Banca mondiale - la ricostruzione dopo la guerra supererà i 450 miliardi di dollari. Nessun donatore, osservano i partner occidentali, investirà simili somme senza garanzie forti sulla trasparenza.
La guerra, tuttavia, complica ulteriormente il quadro. Da un lato ha costretto il governo a introdurre controlli più severi; dall’altro ha generato nuove aree opache, giustificate dalla segretezza militare e dall’afflusso straordinario di finanziamenti. Gli scandali sulla fornitura di materiale all’esercito, esplosi tra il 2023 e il 2024, testimoniano quanto il comparto difesa resti molto vulnerabile: contratti gonfiati, prezzi anomali e intermediari sospetti hanno minato la fiducia dei cittadini e rafforzato il ruolo delle agenzie anticorruzione, sempre più centrali nel sistema istituzionale.
In questo clima, al vertice dello Stato si apre un altro dossier sensibile. Il presidente Volodymyr Zelensky sta valutando la nomina del vicepremier e ministro della Trasformazione digitale, Mykhailo Fedorov, alla guida dell’Ufficio presidenziale dopo le dimissioni di Andriy Yermak. Fonti del Parlamento e del governo parlano di una decisione «quasi definitiva», poi frenata all’ultimo momento. Le dimissioni di Yermak arrivano infatti sullo sfondo dell’operazione Midas, l’inchiesta che ha scoperchiato un sistema di tangenti multimilionario legato a Energoatom, il colosso dell’energia nucleare ucraina. Otto persone sono state incriminate, mentre il produttore cinematografico Timur Mindich, indicato come il dominus del gruppo, è già scomparso all’estero e nessuno ha più sue notizie.
Le ricadute politiche sono state immediate: il Parlamento ha sfiduciato il ministro dell’Energia Svitlana Hrynchuk e il titolare della Giustizia German Galushchenko, mentre l’ex ministro della Difesa Rustem Umerov risulta a sua volta tra i nomi finiti nel mirino degli inquirenti. Le indiscrezioni filtrate da Kiev raccontano anche di un possibile beneficio personale destinato a Yermak: una villa di lusso nella capitale che sarebbe stata parte del giro di corruzione.
Gli investigatori, che hanno effettuato perquisizioni nella sua abitazione e nei suoi uffici, lo avrebbero indicato nei documenti con il soprannome di «Ali Baba», un riferimento che sintetizza il clima di sfiducia e amarezza con cui l’opinione pubblica osserva l’ennesima vicenda giudiziaria. In un Paese che tenta di vincere una guerra e di agganciare l’Europa, ogni nuovo scandalo è un colpo alla resilienza nazionale. Ma anche un test: dimostrare di saper ripulire le proprie istituzioni è ormai parte integrante della sopravvivenza politica dell’Ucraina.
La capacità di Kiev di perseguire funzionari, parlamentari e dirigenti legati a reti corruttive diventa così un banco di prova non solo per la classe politica, ma anche per la società civile, chiamata a sostenere un percorso di riforme che richiede costanza, trasparenza e sacrifici.






