2018-10-13
Scioperi di venerdì: un escamotage per weekend lunghi
Nel settore pubblico vanno vietati nei prefestivi e di lunedì I sindacalisti rompano il tabù e ne parlino senza pregiudizi. Ieri Roma ha dovuto fare i conti con un nuovo sciopero paralizzante nel settore dei trasporti. Bus, tram, ferrovie locali e due linee metropolitane a singhiozzo, la terza chiusa, il resto affidato alla buona sorte. Caos per tutto il giorno, e scene di calca selvaggia nelle corse del primissimo mattino, prima dell'inizio dell'astensione.Il menu non cambia: giovedì, gnocchi; sabato, trippa. E venerdì? Sciopero! Ieri è toccato alla Capitale, con un'ennesima giornata di passione per i romani, costretti a fare i conti con un nuovo sciopero paralizzante nel settore dei trasporti. Bus, tram, ferrovie locali e due linee metropolitane a singhiozzo, la terza chiusa, il resto affidato alla buona sorte. Caos per tutto il giorno, e scene di calca selvaggia nelle corse del primissimo mattino, prima dell'inizio dell'astensione. La minuscola sigla sindacale che ha indetto la protesta si chiama Cambia-menti (mi raccomando, non dimenticate il trattino), che dice di operare «in nome della sicurezza degli autoferrotranvieri.... e di tutti i cittadini». E dunque, per il nostro bene, ci ha lasciato a piedi. Non è daescludere che, essendo ieri il 12 ottobre, qualcuno abbia anche voluto celebrare Cristoforo Colombo: che comunque con i mezzi Atac non sarebbe mai arrivato neanche a Latina, altro che America.Per rendere la giornata dei romani ancora più facile, si è aggiunta una bella passeggiata di protesta di 5.000 studenti (dalla Piramide al ministero dell'Istruzione, nel cuore di Trastevere) «per il diritto allo studio». E obiettivamente, trattandosi di una favolosa giornata da ottobrata romana, la rivendicazione del diritto allo studio, sotto un sole ancora estivo e in maglietta, non dev'essere stato un gran sacrificio.Studenti a parte, è successo mille volte di aver a che fare con scioperi imprevisti e servizi a singhiozzo, con un elemento costante, una regolarità matematica, una certezza assoluta tra mille dubbi esistenziali nelle nostre povere vite: lo sciopero arriva sempre e comunque di venerdì (o in data prefestiva o postfestiva). Sarà una coincidenza, sarà un caso, ma l'effetto di allungamento del weekend è garantito.Per portarci avanti con il lavoro, abbiamo già sottomano il calendario di novembre. 9 novembre (casualmente, venerdì), sciopero indetto dalla dirigenza medica, sanitaria e veterinaria: insomma, non ammalatevi quel giorno, e informate anche il cane o il gattino di casa. 23 novembre (guarda un po', ancora venerdì): tocca agli anestesisti e ai rianimatori. Non dubitiamo che ciascuno abbia le sue buone ragioni, la sua trattativa sindacale, la sua vertenza, la sua protesta. Però è giunto il momento di mettere in fila alcune considerazioni banali eppure rivoluzionarie in Italia.Lo sciopero è certamente un diritto costituzionale, nessuno si sogna di discuterlo. Ma un conto è il diritto di sciopero, altro conto sono lemodalità del suo esercizio, specie nei servizi essenziali e in generale nel settore pubblico. Diciamolo in modo ancora più chiaro: vanno rispettati pure i diritti dei cittadini che non scioperano, che devono lavorare e semmai rischiano di essere vittime dell'altrui sciopero. Non sono forse lavoratori anche gli utenti dei mezzi pubblici, quelli che devono spostarsi, i pendolari? Non sono lavoratori anche i dipendenti del settore privato? E non sono persone da rispettare anche gli imprenditori, gli autonomi, le partite Iva? Ai loro diritti chi ci pensa? A meno di considerarli tutti cittadini di serie b.Intendiamoci. Già esistono norme sullo sciopero nei servizi essenziali e autorità preposte alla loro attuazione, che spesso operano in modo attento. Ciononostante, accade che le regole vigenti e le loro previsioni - non dirado piuttosto blande - non siano rispettate. Allora è venuto il momento di avanzare una proposta chiara, ragionevolissima, già applicata in numerosi Paesi, riassumibile in quattro punti fermi.Primo: gli scioperi dovrebbero essere autorizzati soltanto se la maggioranza dei lavoratori vota a favore. Non può essere una minoranza a decidere. Secondo: la maggioranza deve essere vera, non finta. Quindi, per la decisione, va introdotto un quorum del 50% più uno dei lavoratori coinvolti. Terzo: nel settore pubblico deve votare a favore almeno il 40% degli aventi diritto al voto. E soprattutto, quarto e ultimo punto, decisivo per porre fine a un andazzo insopportabile: nel settore pubblico deve esserci divieto di sciopero il venerdì, il lunedì e tutti i giorni prefestivi e postfestivi, per porre fine alle tattiche di dilatazione del weekend.Come si vede, si tratta di elementi di minima ragionevolezza: niente weekend lungo, no alle giornate cruciali, maggioranze più impegnative ed elevate per indire sciopero, restrizioni nell'ambito dei servizi essenziali. È una sfida per tutti. Ci sono un nuovo Parlamento e una nuova maggioranza, che parlano spesso di cambiamento: questo è esattamente il terreno su cui un cambiamento sarebbe necessario. Anche psicologicamente: per mostrare che i cittadini non sono ostaggi da sequestrare e rilasciare a piacere.E vale anche per le forze sane del sindacato. Leggiamo di sindacalisti pronti all'ingresso in politica, ultrapresenti sui media. Sono pronti a rompere il tabù, sono disposti ad aprire una discussione franca e senza pregiudizi?
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Il Comune di Merano rappresentato dal sindaco Katharina Zeller ha reso omaggio ai particolari meriti letterari e culturali della poetessa, saggista e traduttrice Mary de Rachewiltz, conferendole la cittadinanza onoraria di Merano. La cerimonia si e' svolta al Pavillon des Fleurs alla presenza della centenaria, figlia di Ezra Pound.