2023-02-28
La Schlein si prende il Pd e Fioroni passa ai saluti. Occhi puntati sui renziani
Giuseppe Fioroni e Giorgio Gori (Ansa)
L’addio dell’ex dc apre alla fuga di cattolici e riformisti. Giorgio Gori: «Radicalizzare il partito è un errore». La sardina Mattia Santori scalpita: «Elly riconosce i talenti».Stando ai precedenti e al dna del Partito democratico, era altamente probabile che il day after della vittoria a sorpresa alle Primarie di Elly Schlein (con il 53,8 per cento dei voti) sul governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, fosse dominato dai rumors su chi sta già con le valigie in mano a causa di un esito politicamente inaccettabile. Era probabile, e così è stato: a rompere gli indugi in tempo record è stato Beppe Fioroni, ex ministro e big della componente popolare dem, il quale ha subito fatto sapere che il Nazareno non è più la sua casa e che l’orizzonte è una nuova formazione che si richiama alla tradizione cattolica (leggi democristiana) di sinistra. Fioroni ha parlato di un «avviso di sfratto» per i cattolici del Pd da parte del popolo dei gazebo che si è espresso domenica, aggiungendo che «oggi diviene un partito di sinistra che nulla ha a che fare con la nostra storia, con i nostri valori e con la nostra tradizione».Una defezione, quella di Fioroni, che non fa stracciare le vesti alla nuova segretaria e ai suoi più stretti collaboratori. Ci sono però importanti settori e personalità del Nazareno che da domenica sera sono entrati in seria fibrillazione, e alla fine della fiera Fioroni potrebbe rappresentare l’apripista di nomi ben più pesanti. Il primo discorso della Schlein pronunciato a caldo dopo l’annuncio della vittoria, nel quartier generale insediato nel quartiere Prenestino a Roma, ha lasciato poco spazio alle speranze dell’ala riformista, e non basta certo la presenza del potentissimo Dario Franceschini a rassicurare i moderati sulla loro futura agibilità all’interno del partito, data la notoria vocazione dell’ex ministro della Cultura a giocare partite che hanno il solo obiettivo di preservare il proprio peso specifico all’interno del gruppo dirigente. I fronti più «attenzionati», dunque, in questa fase, sono due: i parlamentari di Base riformista, la corrente degli ex renziani rimasti nel Pd raccolti attorno all’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini, e il cosiddetto «partito dei sindaci», che aveva puntato tutto sull’elezione a segretario di Bonaccini e che ora attende le prossime mosse della neosegretaria, per capire se c’è ancora spazio nel partito. Tra questi, uno dei più inquieti è il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, che seppure in modo edulcorato ha lanciato il primo avvertimento alla nuova dirigenza: per Gori la Schlein «può decidere di radicalizzare il Pd e farne un partito di istanze e battaglie identitarie (ma non di governo) o valorizzare le diverse anime del centrosinistra e superare i settarismi». «Spero vivamente», ha aggiunto, «che scelga questa seconda strada». Inquietudini che restano, in queste prime ore post sconfitta, sotto il pelo dell’acqua ma che potrebbero affiorare al momento della composizione dei nuovi organi dirigenti. Quello che si prospetta all’orizzonte è un mix tra dalemiani di ritorno guidati dall’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, e di millennial cresciuti lontani dalla militanza di partito, portatori di politically correct di stampo radical americano. Una segreteria in cui accanto alla poco consistente sardina Mattia Santori (che già scalpita per un posto, dicendo che la Schlein «riconosce i talenti») siedono vecchi lupi di corrente come Francesco Boccia, Nico Stumpo, Arturo Scotto o Andrea Orlando. Per quanto riguarda la nouvelle vague schleiniana, ci potrebbero essere Marco Furfaro, Chiara Braga, Chiara Gribaudo, Michela Di Biase e Giuseppe Provenzano, che è giovane ma abbastanza smaliziato da aver già fatto il ministro. Impossibile tenere fuori da tutto questo la partita dei gruppi parlamentari, nei quali prevale nettamente il numero di quanti hanno appoggiato Bonaccini. La capogruppo alla Camera, Debora Serracchiani, ad esempio, ha giocato ieri d’anticipo, dicendosi «pronta a fare un passo indietro» nel caso il nuovo gruppo dirigente volesse dei vertici parlamentari più conformi al nuovo corso. Tra i possibili sostituti, anche qui circolano i nomi di Boccia, Braga, Gribaudo, con l’aggiunta di Cecilia D’Elia.Prima di mettere mano alla macchina e di essere formalmente eletta dall’Assemblea nazionale il 12 marzo, la Schlein ieri è salita al Nazareno per il passaggio di consegne con il suo predecessore Enrico Letta, che le ha regalato un melograno come segno di buon augurio. La segretaria in pectore ha usato toni concilianti verso gli sconfitti, ma non per questo meno chiari: «Tenere insieme la comunità», ha detto, «è fondamentale, senza però rinunciare a una linea politica chiara, comprensibile, che è quella che le persone che sono venute a votare alle primarie hanno deciso di scegliere». La prima mossa annunciata, e cioè quella di riaprire subito il tesseramento, ha un’intenzione politica precisa, quella di indebolire il ruolo dei vecchi iscritti che al congresso avevano decretato la vittoria di Bonaccini, «stabilizzando» la presenza nel partito di chi l’ha votata ai gazebo. «È un’occasione straordinaria», ha detto, «per aprire le porte affinché il popolo delle primarie sia coinvolto nella scelta della nuova segretaria, ma anche per entrare pienamente a far parte di questa comunità democratica». Non una parola, per il momento, sulla guerra in Ucraina, come ha fatto energicamente notare Rosy Bindi.In un clima di fair play generale, nelle ultime 48 ore alla Schlein sono giunti i complimenti dei leader istituzionali di tutte le forze politiche sia di centrodestra che di centrosinistra, a partire dal premier, Giorgia Meloni, passando per il presidente del Senato, Ignazio La Russa, e arrivando a Silvio Berlusconi. Fuori dal coro la senatrice di Coraggio Italia Micaela Biancofiore, che ne ha parlato come di «uno strumento in mano ai volponi del Partito democratico, una splendida operazione di maquillage della solita ditta».