2025-08-18
Schillaci è rimasto solo e ora valuta di dimettersi, ma il Colle lo ferma
Intorno al ministro, che non ha ascoltato le istanze della maggioranza, cala silenzio.Alla fine il ministro della salute, Orazio Schillaci, è rimasto solo, con il cerino in mano. Il giorno dopo aver deciso di cedere alle pelose polemiche sull’inserimento di Paolo Bellavite ed Eugenio Serravalle nel Nitag, revocando nientemeno che l’intero gruppo tecnico consultivo sulle vaccinazioni, dagli ambienti di governo filtra null’altro che un gelido silenzio. Agli atti rimane la «profonda irritazione» della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, notificata ufficialmente sabato sera, e l’isolamento del titolare della Salute rispetto al governo di cui fa parte: nessuno, in Consiglio dei ministri, ha applaudito alla sua decisione. Pour cause: il pasticcio combinato da Schillaci è tutta farina del suo sacco. La decisione di rinnovare, lo scorso 5 agosto, un comitato consultivo scaduto da tempo e scegliere Bellavite e Serravalle non scaturivano infatti da un’indicazione ufficiale di partito, sebbene i nomi dei due stimati professionisti certamente rientrano in una logica di pluralismo da sempre sostenuta da Fdi. Decidendo, invece, di non difendere i due scienziati indipendenti e sciogliere l’intero comitato nonostante la maggioranza gli avesse detto di non cedere, Schillaci si è fatto più nemici che amici dentro il governo (se mai li avesse avuti prima). Non soltanto perché ha agito sin dall’inizio senza consultare nessuno - problema di metodo, dunque - ma anche perché ha deciso di ignorare i numerosi alert che pur gli sono arrivati, nei giorni precedenti la revoca, da Elisabetta Gardini, vice capogruppo di Fdi alla Camera, da Lucio Malan, presidente del gruppo Fdi al Senato, da Galeazzo Bignami, capogruppo Fdi alla camera, da Marco Lisei, presidente della Commissione Covid, da Alice Buonguerrieri, capogruppo Fdi della commissione Covid, dai rappresentanti della Lega in Commissione Covid Claudio Borghi e Alberto Bagnai e perfino dal sottosegretario di Palazzo Chigi Giovanbattista Fazzolari, che secondo le ricostruzioni, non smentite, gli aveva detto di «non toccare niente». Nella grammatica di governo, un invito del sottosegretario alla presidenza del Consiglio è una disposizione che arriva dalla linea di comando, ma Schillaci, affiancato in questi delicati passaggi istituzionali dal suo capo di gabinetto Marco Mattei e dal suo portavoce Giovanni Miele, è andato avanti per la sua strada. Forse sabato, revocando il Nitag, si è sentito temporaneamente sollevato dalla pretestuosa pressione mediatica alla quale non ha saputo tener testa, ma la sua posizione, oggi più di prima, è traballante. Sono giorni che circola l’ipotesi delle sue dimissioni: c’è chi sostiene che le avrebbe minacciate se i due scienziati indipendenti fossero rimasti in quel Nitag dove lui stesso li aveva autonomamente inseriti, c’è invece chi ha fatto filtrare la notizia che l’ex rettore di Tor Vergata le abbia offerte al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, vedendosele rifiutare. Al netto della crescente insistenza con la quale i media in questi giorni stanno ventilando un intervento più o meno discreto del capo dello Stato nella pietosa vicenda, è abbastanza esplicita - si vocifera al ministero della salute - la grande devozione del ministro verso il Colle, che però si sta trasformando in un grattacapo. Le dimissioni di Schillaci, ad ogni modo, probabilmente non basterebbero a Palazzo Chigi: sarebbe come eliminare il problema anziché risolverlo, fermo restando che verosimilmente non sarebbero sgradite. È fattuale l’ambizione di Giorgia Meloni di andare avanti sino alla fine della legislatura con la stessa compagine di governo, sottraendosi a rimpasti e inciuci (ma in fin dei conti si tratterebbe di un solo ministro); è altrettanto fattuale l’ira della premier e della maggioranza, coinvolte loro malgrado in un pasticcio architettato in beata solitudine da Schillaci: come intende risolvere la questione il ministro? L’ipotesi di un rinnovo del comitato Nitag con esponenti della stessa cupola sanitaria che ha messo nel tritacarne Bellavite e Serravalle non è certamente percorribile perché non sarebbe garantita la libertà di scelta: molto verosimilmente sulle nuove nomine ci sarà un’attenta istruttoria. Non è casuale l’accenno al pluralismo fatto da Giorgia Meloni nella sua nota di sabato sera: il governo e la premier si sono detti «da sempre favorevoli al confronto delle idee e al dibattito scientifico», stelle polari del programma di governo. Nel frattempo, lo scontro tra Schillaci e la maggioranza si sta dipanando nei dettagli: non è piaciuto, ad esempio, il riferimento agli «stakeholder» inserito dal ministro nel decreto di revoca del Nitag. Se i portatori d’interesse cui ha fatto riferimento il ministro sono gli stessi che hanno scatenato la faida di Ferragosto, è molto probabile che Schillaci dovrà fare retromarcia. L’ennesima.
Roberto Benigni. Nel riquadro, il video postato su TikTok dove l'attore è alla guida con il cellulare (Ansa)