2023-01-05
Schillaci rimuove Magrini dall’Aifa. Letta & C. difendono l’uomo dei flop
Nicola Magrini (Imagoeconomica)
Il governo manda via il direttore generale prima che scada l’incarico in virtù della recente riforma dell’ente. La stampa: «È spoils system». Insorge il Pd, per il segretario è una «scelta faziosa». Sandra Zampa: «Senza parole».Oddio, fanno lo spoils system. Oddio, compiono «scelte faziose». Ci lasciano «senza parole». Sanciscono la «discontinuità». Non era per questo, che gli italiani hanno votato Giorgia Meloni? Volevano mica tenersi Roberto Speranza e i suoi burocrati? I collezionisti di fallimenti che, durante la pandemia, oltre a sbagliare tutto, hanno contribuito alle vessazioni di Stato?Ieri, Orazio Schillaci, successore in lungotevere Ripa del leader di Articolo Uno, ha fatto recapitare una lettera al direttore generale dell’Aifa, Nicola Magrini, annunciandogli il suo siluramento. Per il 23 gennaio, il farmacologo clinico lascerà la carica, che era comunque destinata a sparire: a metà dicembre, infatti, la Camera ha approvato la riforma dell’agenzia, con la quale è stata abolita la figura del dg. Manca solo il decreto del dicastero della Salute che, di concerto con quello della Funzione pubblica, con il Mef e con la Conferenza Stato-Regioni, dovrebbe definire modalità di nomina e funzioni di presidente, direttore amministrativo e direttore tecnico-scientifico. Il riassetto scatterà dopo la nomina del nuovo vertice. Il fatto che l’esecutivo non abbia atteso neppure la fine del mandato di Magrini testimonia, dunque, la volontà di congedare con disonore l’ultimo residuato bellico di Speranza. Piazzato all’Aifa a gennaio 2020, all’alba dell’emergenza Covid. Non a tutti, invero, è piaciuto il riordino dell’ente. C’è chi sostiene che l’eliminazione del dualismo ai piani alti dell’organizzazione concentri troppi poteri nelle mani di un dirigente unico, gradito alla politica. Desta preoccupazione, poi, l’accorpamento delle due commissioni che si occupano di prezzi, rimborsi e valutazione scientifica dei farmaci: i membri passano da venti a dieci, ma la mole di lavoro non sarà dimezzata. Certo, finora l’Aifa si è limitata a ratificare i pareri dell’Ema; e per mettere il timbro sulle decisioni di Amsterdam, basta un manipolo di passacarte. Adesso, bisognerà conferire a qualcuno un incarico di traghettamento. Si parla di un interim dell’attuale presidente, Giorgio Palù. Il licenziamento del dg, però, ha scatenato un vespaio. I media, ad esempio, si sono stracciati le vesti per l’impiego disinvolto dello spoils system. Come se - rispettando le norme vigenti, ovviamente - gestire le nomine non fosse una prerogativa del governo. Come se la Meloni e Schillaci fossero obbligati a ingurgitare i tecnici installati dalla sinistra. Surreale, da questo punto di vista, è lo scandalo che ha suscitato nel Pd la mossa del ministro. L’ex sottosegretario alla Salute, Sandra Zampa, si è lanciata in un grottesco panegirico di Magrini: «Ha guidato Aifa in uno dei momenti più difficili del Paese. […] Lascia davvero senza parole la fretta» con cui è stato esonerato. Per Enrico Letta, segretario anche a lui con la data di scadenza, la rimozione del funzionario «è una scelta di discontinuità grave e sbagliata. Una scelta di parte che è anche un segnale pericoloso e preoccupante. Su salute, protezione dei più deboli e lotta alla pandemia, c’è bisogno non di scelte faziose ma di continuità». Schillaci avrà fatto una «scelta faziosa». E quella di Speranza, cos’era? Al netto delle pretese «qualità» di Magrini, pare che il grande merito del bolognese, ex segretario del comitato per i farmaci di base dell’Oms ed ex responsabile dell’area valutazione del farmaco dell’Agenzia sanitaria e sociale dell’Emilia Romagna, fosse un altro. Magrini era vicino a Giovanni Bissoni, cesenate, già nel cda di Aifa e Agenas, nonché - correva l’anno 1995 - assessore alla Salute nella giunta di Pier Luigi Bersani. Ovvero, del fondatore di Articolo Uno, il partito di Speranza. Un gioco di scatole cinesi - o meglio, emiliano-romagnole - tanto partigiano quanto la risoluzione del governo Meloni. Dulcis in fundo, vogliamo ripercorrere le imprese dell’eroe che avrebbe gloriosamente gestito l’Agenzia del farmaco nell’era buia Covid? A ottobre 2020, Magrini snobbò la fornitura gratuita di monoclonali, offerti da Eli Lilly per una sperimentazione clinica. Mesi più tardi, l’Italia dovette riacquistarli alla modica cifra di 400 milioni. Un preclaro esempio di «protezione dei più deboli e lotta alla pandemia», come da predica del nipotissimo. Qualche tempo dopo, a gennaio 2021, partecipò alla solenne presentazione del vaccino italiano di Reithera. Che era solo alla fase 1 dei test e del quale, alla fine, si sono perse le tracce. Inoltre, egli ha ignorato a lungo la richiesta di utilizzare anakinra per curare i casi di polmonite ingravescente. E sicuramente non ha profuso immani sforzi nell’allestire un meccanismo di farmacovigilanza attiva sugli effetti avversi delle punture anti Covid. In compenso, come atto conclusivo da direttore dell’Aifa, ha rilasciato un’intervista a Repubblica, accusando la Meloni di ostacolare la campagna per le quarte dosi. E già che c’era, ne ha approfittato per riproporre la sesquipedale balla delle iniezioni utili «per non portare il virus in famiglia, qualora ci fossero dei fragili». Curioso che l’uomo che avrebbe agito con «competenza e rigore» (Zampa) sia l’ultimo mohicano a considerare i vaccini capaci di bloccare la trasmissione del Sars-Cov.2. Caratteristica per la quale - l’ha ammesso Pfizer - non sono mai stati testati. Il direttore dell’Aifa non ha letto le carte dei trial? Ecco. Magari è questo che dovrebbe lasciarci «senza parole».
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