2022-04-20
Scerbanenco narrò la Milano di oggi: ce l’avevano in pugno i criminali stranieri
Giorgio Scerbanenco e due dei suoi capolavori noir (Getty Images)
Le cronache di questi giorni come i romanzi neri anni Sessanta. Nessuna concessione al razzismo né al politicamente corretto.Milano, terza decade del nuovo millennio. Movida da Arancia meccanica, maxi risse, branchi di giovani sfuggiti a ogni controllo educativo da parte di genitori incapaci che hanno abdicato al proprio ruolo, impennata di stupri e di omicidi, «pandillas», letteralmente «combriccole», in realtà terrificanti gang di latinos. Con decenni di anticipo l’aveva narrata Giorgio Scerbanenco. Lui, che a Milano era giunto dall’Ucraina, ora di stretta attualità geopolitica, e da Roma, extracomunitario anzitempo per parte di padre, cogliendone il dark side nel pieno dei «favolosi» anni Sessanta.«C’è qualcuno che non ha ancora capito che Milano è una grande città. Non hanno ancora capito il cambio di dimensioni, qualcuno continua a parlare di Milano come se finisse a Porta Venezia o come se la gente non facesse altro che mangiare panettoni o pan meino. Se uno dice Marsiglia, Chicago, Parigi, quelle sì che sono metropoli, con tanti delinquenti dentro, ma Milano no, a qualche stupido non dà la sensazione della grande città, cercano ancora quello che chiamano il colore locale, la brasera, la pesa, e magari il gamba de legn. Si dimenticano che una città vicina ai 2 milioni di abitanti ha un tono internazionale, non locale, in una città grande come Milano arrivano sporcaccioni da tutte le parti del mondo, e pazzi, e alcolizzati, drogati, o semplicemente disperati in cerca di soldi…». Così parla del tessuto urbano polverizzato nella modernità il protagonista di Scerbanenco, Duca Lamberti, medico radiato dall’albo per aver praticato l’eutanasia a una vecchia signora malata di cancro e divenuto investigatore non ufficiale della Questura. Le sue frasi vengono da Traditori di tutti, melodramma di sesso, armi e vendette post belliche del 1968, che valse a Scerbanenco il Grand prix de littérature policière.Ancora Lamberti individua la morale atroce della città più genuina nell’ultimo romanzo in cui appare. «I milanesi ammazzano al sabato», recita, evocando il titolo. E subito spiega: «Perché gli altri giorni lavorano». La Milano violenta odierna non diverge da quella del boom economico. Echeggiano ancora gli spari della rapina in via Montenapoleone, il protagonismo a mano armata della banda Cavallero, il lato sanguinario di quella che un altro scrittore, Uberto Paolo Quintavalle, definì con il libro Capitale mancata.Scerbanenco, morto nell’estate del 1969, vi ambientò i quattro romanzi con Duca Lamberti, oggi tutti in ristampa. Nella storia d’esordio, Venere privata, sventa una tratta di bianche. In Traditori di tutti risolve un omicidio che ha radici nella resistenza. Quindi si addentra nel cupo giro della prostituzione con I milanesi ammazzano al sabato. Infine gli tocca un caso di stupro plurimo in I ragazzi del massacro. Il tutto negli anni del benessere generalizzato, dello sbarco sulla Luna, dei governi paternalistici che cadono uno dopo l’altro ma senza mai mettere in discussione il welfare state.La Milano di Scerbanenco è una rappresentazione precorritrice di quella attuale. Già piena di criminalità straniera. Come d’altronde doveva essere per l’unica metropoli italiana con vocazione e necessità cosmopolita. La forza di perno industriale le deriva proprio dallo sviluppo in senso globale, dalla demografia multietnica. Prima ancora di rumeni, albanesi, cinesi, cingalesi e altri: pugliesi, napoletani, calabresi, siciliani. Gli immigrati nostrani Scerbanenco era bravo a coglierli ciascuno nel tipo di malefatta più congeniale alla terra e alla cultura di provenienza. Con nessuna concessione al razzismo, ma neppure al politicamente corretto.Logico che tanto materiale narrativo fornisse poi soggetti al cinema poliziottesco degli anni Settanta. Bisogna riconoscere al defunto Fernando Di Leo l’aver tradotto Scerbanenco sullo schermo con potenza visuale. Per niente a caso. Il regista era di Foggia, segnata a sua volta da forte criminalità. Con I ragazzi del massacro (1969), riversa nelle immagini tutto l’esplicito narrativo. Milano calibro 9 (1972) è un cult, comprese le musiche di rock sinfonico di Luis Enriquez Bacalov e i napoletani Osanna. Come pure un pezzo a sé è La vittima designata (1970), di Maurizio Lucidi, non tratto da Scerbanenco, però analogo nel mostrare una cappa di angoscia sospesa su Milano. Tra l’altro, fu la pellicola che aprì al connubio complesso-orchestra con Concerto grosso per i New Trolls, il cui adagio decadente e disperato coglie la cupezza di tante mattinate invernali sotto il Duomo dopo notti che non lasciano sperare l’alba.
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