2023-02-24
Scende il prezzo del gas sale quello della tassa CO2 così l’energia rimane cara
Il sovraccosto del meccanismo Ets che tutti pagano in bolletta è un sussidio nascosto alle fonti rinnovabili. Il costo dell’elettricità difficilmente scenderà sotto i 150 euro/MWh.Il prezzo delle quote di emissione di CO2 sul mercato europeo Ets (Emission trading system) è tornato attorno ai 100 euro a tonnellata, prezzo già toccato lo scorso agosto. Da allora il prezzo era sceso rapidamente fino ai 70 euro nei mesi di settembre e ottobre, per poi cominciare una risalita che da metà gennaio si è fatta più ripida fino al massimo di martedì.Il prezzo del gas, dal canto suo, dai massimi registrati proprio ad agosto (oltre 340 euro/MWh) è sceso drasticamente fino ai minimi di due giorni fa, a 48 euro/MWh.È proprio il calo delle quotazioni del gas a dare spazio al prezzo della CO2 per salire. Per come è fatto il meccanismo Ets, infatti, i produttori di energia elettrica che usano gas o carbone sono tenuti ad acquistare questi «permessi» ad emettere. La ratio del sistema è che, facendo pagare ai produttori la CO2 emessa, questo disincentivi l’utilizzo di combustibili fossili per la produzione di energia elettrica, e incentivi al contempo la produzione da fonti rinnovabili.Quando il produttore di energia elettrica offre sul mercato la propria energia, tiene dunque conto di questo costo aggiuntivo obbligatorio, che assume la caratteristica di costo variabile di produzione e che viene ribaltato a valle sugli acquirenti. Al prezzo attuale di 100 euro/tonnellata e con i rispettivi parametri per tecnologia, significa che ogni megawattora di energia elettrica porta con sé un costo di circa 40 euro/MWh se prodotto con il gas e di 85-90 euro/MWh se prodotto con il carbone. A ciò si deve aggiungere il costo del combustibile, naturalmente, e gli altri costi variabili.Il sistema di prezzo marginale in vigore per l’energia elettrica scambiata sui mercati regolamentati fa in modo che siano quasi sempre gli impianti a gas a fissare il prezzo marginale di sistema. Dunque, anche se il prezzo del combustibile scende, il prezzo finale dell’energia elettrica non scende in misura direttamente proporzionale, perché il costo della CO2 in salita mantiene alti i prezzi dell’energia elettrica. Con un prezzo del gas spot a 50 euro/MWh e un prezzo della CO2 a 100 euro/tonnellata il prezzo marginale dell’energia elettrica non può scendere sotto i 140-150 euro/MWh. Certo, rispetto agli oltre 400 euro/MWh di dicembre, o ai 670 euro/MWh di agosto, è una passeggiata di salute. Ma dai primi di gennaio il Prezzo unico nazionale dell’energia elettrica (Pun), fissato giornalmente, si è stabilizzato poco sopra i 150 euro/MWh e non accenna a scendere sotto questa soglia, non a caso. Il calo dei prezzi del gas non si riflette pienamente in un calo dei prezzi dell’energia elettrica, a causa dell’aumento dei prezzi della CO2. L’effetto perverso di questo sistema è che tutti pagano di più, non solo chi emette CO2. Il prezzo della CO2 è un costo per chi produce energia elettrica con gas e carbone, ma è un anche un ricco profitto per chi produce con le rinnovabili. Il sovraccosto della CO2, che tutti pagano in bolletta ed è sommerso nel prezzo dell’energia elettrica, è un sussidio nascosto alle fonti rinnovabili. Sembra che, passata momentaneamente la tempesta sul gas, il sistema nel suo complesso sia deciso a fare in modo che produrre energia elettrica con combustibili fossili come gas e carbone rimanga costoso. Il sistema Ets è del resto disegnato esattamente a questo scopo. Anno dopo anno, le quote di CO2 assegnate gratuitamente calano, così che lo stock dei permessi a emettere rimanenti, da comprare obbligatoriamente, costi di più. In assenza di un drastico cambio nel mix degli impianti di produzione di energia elettrica, le quote CO2 costeranno sempre di più perché l’offerta si contrae artificialmente (i permessi vengono ritirati dal mercato da chi li rilascia, cioè l’Unione europea).Anche la Cina ha lanciato da poco un proprio mercato dei permessi di CO2, il quale però ha prezzi molto bassi (circa 8 euro a tonnellata il prezzo medio delle transazioni di gennaio) e volumi ancora più bassi. Il controvalore degli scambi cinesi è stato a gennaio di soli 1,9 milioni di euro, un’inezia.Tornando all’Italia, le condizioni del parco produttivo italiano sono tali per cui ancora per lungo tempo saranno gli impianti a gas a fissare il prezzo marginale di sistema. Ipotizzando che il prezzo del gas resti su questi livelli, attorno ai 50 euro/MWh e sapendo che il prezzo della CO2 è tendenzialmente destinato a salire, visto che il mercato è disegnato proprio con questo intento, il prezzo dell’energia elettrica difficilmente potrà scendere sotto i 150 euro/MWh. Le incognite sul prezzo del gas restano e sono legate soprattutto all’andamento dell’economia cinese. Al momento i prezzi del gas stanno scendendo perché c’è abbondanza di gas, non solo per l’inverno mite che ha lasciato quasi pieni gli stoccaggi, ma anche perché il mercato del gas naturale liquido (Lng) non ha subito particolari tensioni. La domanda cinese, uno dei maggiori elementi che concorrono alla formazione del prezzo, è infatti rimasta bassa, a causa del ritmo lento assunto dalla ripresa cinese dopo la fine delle misure straordinarie per il contenimento del virus Covid-19. Questo ha determinato un rilassamento delle quotazioni Lng, che seguono grosso modo i prezzi che si formano sul mercato europeo del Ttf, ma una accelerazione della domanda cinese potrebbe ravvivare le quotazioni.Il sistema Ets continua a rappresentare un costo che pesa sull’elettricità che tutti, famiglie e imprese, consumano. L’aumento dei prezzi della CO2 impedisce che il prezzo dell’energia elettrica scenda seguendo la discesa del prezzo del gas. Il tutto, per incidere su un quantitativo irrisorio di emissioni di CO2. Prosegue dunque a pieno regime il piano dell’Unione europea di distruggersi da sé.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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